Il clima cambia, lentamente, e le catastrofi naturali modificano, in maniera repentina, le condizioni di vita e di lavoro, di una quota rilevante della popolazione mondiale.
Un terremoto o un uragano possono determinare il dislocamento della popolazione locale; l’aumento della temperatura media o la siccità può impedire la crescita delle colture e la perdita dei raccolti, ma entrambi i fenomeni possono impoverire così profondamente la popolazione da non permetterle di coprire i costi associati alla migrazione.
D’altra parte, un mutamento climatico lento può determinare una propensione a adattarsi a condizioni di vita più avverse, spingendo la popolazione locale verso una trappola della rassegnazione che la veda impossibilitata a muoversi e a modificare le proprie scelte.
Inoltre, ciò che accade in un luogo può non manifestarsi automaticamente in un altro e la generalizzazione del nesso di causa ed effetto può dipendere da elementi di mediazione quali le potenziali alternative, il sostegno pubblico, la coesione sociale. Determinarne la rilevanza, la significatività, la sistematicità e la direzione causale tra shock ambientali e le migrazioni non è, dunque, un esercizio semplice.
Quanto i fenomeni migratori possano essere determinati o possano rafforzarsi in seguito a shock ambientali è un argomento sempre più dibattuto all’interno delle istituzioni nazionali e internazionali. La ricerca scientifica svolge, quindi, un ruolo essenziale nel fornire al dibattito pubblico l’informazione necessaria a quantificare e a specificare la rilevanza del legame tra i fenomeni.
Per fare ciò non è sufficiente fare affidamento su un solo studio scientifico, per quanto accurato esso sia, ma bisogna trarre informazione da tutti gli studi effettuati sul tema, in modo da trarre vantaggio dalla eterogeneità dei casi studiati in modo da inferire dall’insieme di questi la significatività di un effetto medio. E in modo da poter valutare, a partire da questo, le differenze che esistono tra l’effetto di mutamenti climatici lenti e quello di catastrofi naturali, tra l’effetto in regioni o paesi a basso o ad alto reddito pro capite, in presenza di un tessuto produttivo, agricolo o industriale, reattivo o statico, aperto al commercio internazionale o dipendente dalla domanda interna, in presenza o assenza di politiche pubbliche di emergenza ma anche di medio periodo, che favoriscano sia lo spostamento della popolazione ma anche l’eventuale rientro nei paesi di origine.
Nuove metodologie di revisione sistematica dalla letteratura, la disponibilità di banche dati bibliografiche e lo svilupparsi di un dibattito scientifico sull’uso di meta-analisi, in cui i singoli studi siano considerati in modo analogo a quello delle osservazioni nelle rilevazioni statistiche, sono state progressivamente adottati in numerosi campi di indagine aventi in comune la valutazione dell’impatto di specifiche politiche o di shock esogeni.
Dalla statistica medica all’analisi degli effetti causali delle politiche economiche, dalla epidemiologia alla valutazione degli effetti dei progetti di sviluppo, la rassegna sistematica della letteratura e la meta-analisi si sono affermate quale metodo di indagine e di sintesi dei risultati scientifici.
L’applicazione di tali approcci alla produzione scientifica sul tema delle migrazioni causate da mutamenti climatici e/o da catastrofi è discussa nel nostro saggio, recentemente pubblicato dalla Rivista di Politica Economica.
Partendo dal contenuto di quel contributo, la successiva analisi ha preso in esame 151 articoli e attraverso un procedimento di emersione della struttura relazionale dei diversi saggi, basata sul numero di citazioni bibliografiche in comune, ha raggruppato in quattro sottoinsiemi i medesimi articoli, pubblicati o in forma di working paper.
Il primo risultato di sintesi è che la produzione scientifica ha iniziato a prestare attenzione alla potenziale rilevanza degli eventi naturali sulle migrazioni solo a partire dal 2003, nonostante il tema avesse già acquisito rilevanza nel dibattito globale già due decenni prima.
Il secondo è che la componente maschile tra gli autori arriva al 60%. Il terzo è che il tema ha un carattere multidisciplinare: anche se le riviste specializzate in economia ed econometria rappresentano la maggioranza di quelle facenti parte del campione di indagine, è possibile trovare anche fonti specializzate in altre discipline, come studi sullo sviluppo, la demografia, la geografia, gli studi urbani e quelli politici.
Il quarto è che la letteratura sul tema, composta dai 96 articoli selezionati, può essere suddivisa in gruppi di contributi (vedi Figura 1) che tendono a differenziarsi sia per le caratteristiche dell’indagine svolta che per i risultati ottenuti.
Nota: Il cluster 1 (viola) è composto da articoli caratterizzati da una forte collaborazione, co-autorialità tra gli autori e una media di citazioni più elevata. Le analisi si concentrano principalmente sui cambiamenti climatici a un livello di analisi micro (principalmente a livello individuale e familiare), con risultati molto eterogenei a seconda dei contesti nazionali di applicazione e dei canali di trasmissione.
Il cluster 2 (azzurro) è composto da articoli principalmente incentrati sui disastri naturali piuttosto che sui cambiamenti climatici a un livello di analisi micro, con risultati generalmente positivi (solo 5 articoli riportano effetti non significativi).
Il cluster 3 (arancione) è composto da articoli di recente pubblicazione, dal 2015 al 2020, con una media di citazioni bassa e una correlazione media tra i fenomeni negativa o non significativa.
Il cluster 4 (verde) è caratterizzato da studi a livello macro focalizzati specificamente sulla migrazione internazionale in cui l’effetto dei fattori ambientali sulla migrazione è significativo e positivo.
Gli studi empirici presi in esame si caratterizzano per una molteplicità di dimensioni specifiche, come ad esempio il tipo di migrazione (rispettivamente, internazionale o interna), il campione di paesi presi in considerazione e i periodi (rispettivamente, legati all’evento catastrofico o ad un intervallo temporale prefissato) presi in esame, le prospettive (studi a livello macro oppure micro-economico) e le strategie e le tecniche di stima.
Tuttavia, il fattore di eterogeneità forse più importante riguarda non solo la misurazione della migrazione, del clima e dei rischi naturali ma anche i canali (come la variazione nel reddito, la disoccupazione, i mutamenti nelle condizioni di salute, ecc.) attraverso i quali clima e disastri possono influenzare la migrazione.
I contributi che rilevano un impatto significativo del clima sulla migrazione internazionale trovano che le condizioni climatiche influenzano la migrazione attraverso i salari e la produttività agricola, soprattutto nei paesi dipendenti dall’agricoltura e con una bilancia agro-alimentare in passivo. Un quadro in qualche modo simile si rileva per la migrazione interna e per i processi di urbanizzazione. Le analisi empiriche che confermano l’ipotesi che i fattori climatici, come le precipitazioni e la variazione della temperatura, influenzino i flussi di migrazione interna mostrano risultati quantitativamente rilevanti e significativi.
Purtuttavia, se da una parte c’è evidenza empirica che la siccità aumenti la migrazione, dall’altra parte i risultati sull’effetto delle precipitazioni in eccesso sono sia positivi che negativi. Riguardo alle variazioni della temperatura, è stato studiato soprattutto l’effetto del clima eccessivamente caldo, in modo coerente tra gli studi, e i risultati riscontrano un impatto positivo sulla migrazione interna. Anche i pochi studi che indagano sulle temperature al di sotto della media trovano un effetto positivo, mentre ogni volta che nello stesso studio sono state prese in considerazione sia la temperatura che le precipitazioni, la temperatura si è generalmente rivelata il fattore più importante nel determinare la migrazione.
Va tenuto presente che tale evidenza riguarda principalmente le regioni povere dell’Africa, del Sud America e dell’Asia meridionale.
Riguardo ai disastri naturali, il quadro che risulta dagli studi internazionali è meno chiaro. Mentre alcuni studi rilevano che i disastri naturali, come le inondazioni, determinano o rafforzano i movimenti migratori, molti recenti studi macroeconomici non trovano alcuna evidenza dell’effetto dei disastri naturali sulla migrazione internazionale. I disastri naturali tendono ad avere effetti migratori interni soprattutto a breve periodo, mentre i risultati su un arco temporale a medio e lungo termine sono più contrastanti.
Dopo aver escluso dai 151 saggi quelli puramente teorici o quelli contenenti analisi empiriche non sufficientemente dettagliate, è stato possibile riassumere, attraverso metodologie di meta-regressione consolidate, tutte le stime dei 96 saggi rimanenti in un unico coefficiente: l’effetto complessivo sulla migrazione degli eventi legati ai mutamenti climatici sembra essere positivo e significativo per l’intero campione.
Allo stesso tempo, l’impatto dei disastri naturali è positivo ma non significativo. Tuttavia, quando la meta-analisi è svolta separatamente, cluster per cluster, emerge un quadro diverso, dai risultati assai meno netti e omogenei.
La complessità del fenomeno non permette quindi di affermare che in ogni caso esista un legame diretto tra emergenza ambientale e flussi migratori, legame che risulta assai chiaramente solo in presenza di mutamenti climatici e migrazioni internazionali. Infine, la necessità di confermare l’evidenza odierna richiede alla comunità scientifica molta più ricerca di quanto non sia stata fino ad ora effettuata, in modo da informare in modo corretto e puntuale il dibattito pubblico sul tema.
di Maria Cipollina, Luca De Benedictis ed Elisa Scibè
(Per scaricare il capitolo integrale cliccare qui)
PER CONTATTARE GLI AUTORI
Maria Cipollina, professore associato di Politica economica e del Commercio internazionale, Università degli Studi del Molise [email protected]
Luca De Benedictis, professore ordinario di Economia internazionale, Università degli Studi di Macerata e Luiss [email protected]
Elisa Scibè, dottoranda di Quantitative Methods for Policy Evaluation, Università degli Studi di Macerata [email protected]