
Errare humanum est. Capita a tutti di sbagliare, ma oggigiorno in un contesto di continuo cambiamento e di criticità emergenti, sbagliare è sempre più facile. Ed è sotto gli occhi di tutti che – quando si parla di impresa – errori, piccoli o grandi che siano, possono avere esiti molto diversi, da impatti minimi fino a danni incommensurabili. Il caso Ferragni ne è un esempio emblematico.
Da dove nascono le crisi oggi e che cosa ne influenza l’esito? È possibile prepararsi o difendersi? Ci si può nascondere? Viviamo in un contesto permanente di crisi (geopolitiche, economiche, culturali, etc.) che si influenzano vicendevolmente e mettono a rischio l’attività e la reputazione delle imprese, rendendo sempre più complesse le relazioni con tutti gli interlocutori aziendali.
L’incremento di richiesta di responsabilità al mondo imprenditoriale e l’aumento dell’esame del loro operato da parte dell’opinione pubblica si accompagna, per assurdo, ad un contesto politico di sempre maggiore irresponsabilità, almeno a livello formale, dove la politica – da quello che si evince da manifestazioni e slogan – sembra non curarsi di coerenza, accountability ed etica. Le aziende, dalle più grandi alle più piccole, si sentono così lasciate sole e temono che anche il più piccolo inciampo, amplificato dai media e dagli altri influencer, possa trasformarsi in una crisi da cui difficilmente ci si possa riprendere.
Il caso Ferragni ha lasciato un forte segno nell’immaginario collettivo. Il passo dalle stelle alle stalle, si è capito, può essere molto breve. La lezione che le aziende ne potrebbero trarre è semplice:
- non osare/non rischiare: se il mare è agitato meglio stare in porto!
- limitare al massimo la visibilità del proprio brand corporate e di prodotto, del proprio management e del proprio operato: meno si è famosi, meno si può essere infamati.
Se la tentazione del tirare i remi in barca a prima vista può apparire sensata, pensiamo possa essere utile fare una valutazione dei rischi-benefici, come sempre quando si deve affrontare una decisione. Ma soprattutto comprendere se e perché le crisi aziendali sono in aumento. E se la comunicazione, che in molti casi ne è causa, può anche essere una chiave di soluzione.
SEMPRE PIÙ CRISI? SÌ, MA PERCHÉ?
I motivi sono essenzialmente due. Da una parte l’incremento progressivo della regolamentazione e della responsabilità delle aziende (responsabilità di legge, ma anche di fatto). Fare un passo falso in un mondo iper-regolato è estremamente facile. Dall’altro il proliferare di media, influencer, comunità, che fanno da cassa di risonanza e amplificazione, stimolando l’attivazione di altri stakeholder chiave come politica, magistratura, associazioni di consumatori, associazioni di volontariato e altre terze parti che si influenzano a vicenda.
Tanto per dare un parametro, nell’ultimo anno il dibattito sulle crisi aziendali online è cresciuto del 50%, sia in termini di menzioni totali (7.000 vs 4.700) sia nella media delle discussioni giornaliere (19 vs 12). E tutte queste conversazioni sono state generate da crisi originate da svariati fattori causali: dalle ristrutturazioni aziendali alla comunicazione non trasparente, da non conformità di prodotto a vertenze legali, da scontri con istituzioni o altri stakeholder ad incidenti di varia natura.
DOVE SI GENERANO LE CRISI DI COMUNICAZIONE?
Si sa che per definizione le crisi sono imprevedibili. Ciò detto, statisticamente è possibile individuare gli ambiti dove queste sono più frequenti. Se guardiamo in base all’esperienza professionale e al monitoraggio online di quest’ultimo anno gli ambiti prevalenti di generazione di crisi sono essenzialmente due: l’ambito relativo al prodotto e quello inerente all’aspetto corporate/istituzionale; entrambi poi al loro interno presentano elementi di rischio prevalenti. Partiamo dal primo.
SICUREZZA E TUTELA DEL CONSUMATORE AL CENTRO
Il prodotto è sempre più sotto esame e le normative più stringenti rendono richiami e avvisi di varia natura sempre più frequenti. In questo scenario, l’attenzione al consumatore sotto il profilo della sua tutela in termini di sicurezza, salute e qualità della vita, soprattutto in settori come quello alimentare, della cosmesi o degli acquisti online, è in cima alle priorità di chi si fa garante dell’utilizzatore finale. Per le aziende che producono beni o che offrono servizi, i potenziali rischi in ambito consumer afferiscono oggi a due ambiti principali.
Il primo ambito è il prodotto o servizio stesso, sempre più oggetto di analisi di conformità per fugare potenziali criticità, quali difetti di fabbricazione o di progettazione, etichettatura errata o prodotti contaminati, per i quali, in particolare nell’epoca post Covid, è stato alzato il livello di allerta e si è intensificata la frequenza dei ritiri, anche in via cautelativa. Questo perché la comunicazione oggi, attraverso i media ma ancor più i social media, può generare un impatto immediato anche a partire dal singolo post di un consumatore coinvolto e impattato negativamente da un prodotto, creando un immediato ritorno mediatico. In questa direzione, i social media possono dall’altro lato diventare uno strumento valido per allertare e avvisare preventivamente i consumatori, facendo dialogare le aziende direttamente con loro e trasferendo un messaggio di cura da parta del brand.
Il secondo ambito è la filiera, un’area tipicamente al centro di crisi, per esempio, nel settore agro-alimentare, dove la complessità dei processi, la numerosità degli attori coinvolti, la richiesta di tracciabilità, i rischi ambientali e le violazioni dei diritti umani dei lavoratori lungo la catena di fornitura, hanno portato a imporre obblighi più stringenti alle aziende nelle filiere nazionali e globali. Avvalersi, lungo la filiera, di una rete di partner e di associazioni qualificate nei territori in cui le aziende agiscono, diventa in questo contesto un elemento di grande valore su cui poter fare leva in qualità di stakeholder in caso di criticità o di crisi impreviste, per confermare l’attenzione e l’impegno su processi, qualità e gestione responsabile delle risorse impattate lungo l’intera catena.
In entrambi questi contesti, una comunicazione di crisi e una strategia di marketing efficaci e immediate possono esercitare un ruolo strategico per informare in modo trasparente e chiaro e per rendere il consumatore consapevole lungo il processo di un richiamo o di una crisi, con l’obiettivo di agire da azienda responsabile, proteggere la reputazione, mantenere la fiducia dei consumatori e mitigare i rischi, sempre a favore della tutela delle persone.
LA RESPONSABILITÀ D’IMPRESA NELLA TRASFORMAZIONE CONTINUA
Il secondo ambito prevalente di generazione di crisi è quello corporate/istituzionale. Oggi le aziende sono chiamate ad una trasformazione continua per restare sul mercato e cogliere tutte le opportunità che si possono presentare. Questo comporta necessariamente una gestione dinamica e ossessiva delle relazioni con i propri interlocutori interni ed esterni che sappia affrontare tutti i diversi scenari che si presentano di volta in volta. Il rischio che in questo processo laborioso si creino conflitti di diversa natura è estremamente elevato. Se poi aggiungiamo che responsabilità e accountability nei confronti degli stakeholder sono, come abbiamo già avuto modo di dire, in continuo aumento ed estensione anche lungo l’intera filiera, risulta evidente che le situazioni di rischio reputazionale aumentano significativamente.
Gli ambiti più frequenti di generazione di crisi sono diversi. Ad esempio, tutti i processi di adeguamento e trasformazione della forza lavoro (right sizing, up-skilling, re-skilling, etc), oppure tutti i processi di finanza straordinaria (fusioni, acquisizioni, cessioni, etc.) che hanno impatto su vari interlocutori aziendali.
In particolare, le relazioni con i dipendenti sono un ambito di alta sensibilità considerato che il mondo digitale ha reso tutte le aziende più permeabili. Recentemente le dichiarazioni di un’imprenditrice in merito alle politiche di recruitment aziendali hanno scatenato una crisi ad alta visibilità.
Poi se consideriamo le tre dimensioni dell’Esg, ovvero ambiente, società e governance aziendale, qui forse è proprio dove l’attenzione degli stakeholder è cresciuta a dismisura. L’esame dell’impatto ambientale e della coerenza delle aziende in questo ambito è aumentato significativamente e si è esteso a tutte le realtà, anche a quelle che per loro natura hanno un’impronta ambientale minore. E non è sufficiente la norma di legge per essere al riparo: agli imprenditori si chiede di avere un atteggiamento precauzionale assoluto, per cui anche uno studio scientifico singolo e magari nemmeno concludente, non supportato da consenso o evidenze sufficienti, può diventare causa scatenante di una crisi rilevante per l’azienda.
Se poi veniamo alle tematiche di impatto sulla società (diversità, equità, inclusione, community engagement, etc.), sappiamo quanto si tratti di un capitolo importante anche a causa del fenomeno woke, ovvero dell’emersione di soggetti particolarmente attivi sulla rete nel promuovere il rispetto di gruppi, categorie e diritti civili. I casi più e meno recenti di crisi reputazionali sono tantissimi e hanno toccato aziende di tutte le tipologie, in Italia e all’estero. In questo momento il caso estremo di boicottaggio di Tesla è sotto gli occhi di tutti.
Ultima per ordine ma non per rilevanza, la governance aziendale, sia relativamente all’ambito della compliance ad una normativa sempre più complessa, sia di modalità di gestione del business (trasparenza, etica, etc.), è probabilmente l’asset reputazionale che più presenta profili di rischio e di esposizione a criticità.
Spesso, infatti, nelle crisi quello che prevale non è tanto il fatto in sé, ma la correttezza e la “buona fede” dell’azienda nell’operare. Se pensiamo, per citare un esempio noto, al Diesel Gate di qualche anno fa, l’industria automotive non è stata tanto accusata per l’impatto sull’ambiente connesso al suo operato, ma per avere agito in maniera non corretta e trasparente.
In conclusione, se le aziende risultano a tutti gli effetti sempre più esposte alle crisi, come è possibile minimizzare il rischio? Astenersi dal comunicare e abbassare il profilo del brand può essere la soluzione possibile?
LA CATTIVA NOTIZIA: OGGI NON ESISTE L’OPZIONE DI NASCONDERSI
Se un tempo esistevano alcuni settori e alcuni business – soprattutto del mondo B2B – e alcune aziende di dimensioni più contenute che potevano stare sul mercato non preoccupandosi del proprio brand e del suo valore per i clienti e gli stakeholder, oggi – anche per i motivi sopra esposti – non esistono più aziende che possono permettersi di non avere adeguate strategie di brand. La pervasività della comunicazione fa sì che chi non comunica e posiziona il proprio brand sul mercato (b2b o b2c che sia), sia condannato all’irrilevanza per i propri clienti e stakeholder e all’uscita dal mercato.
LA BUONA NOTIZIA: OGGI PER LE AZIENDE È PIÙ FACILE PREPARARSI E DIFENDERSI
Oggi l’infosfera rappresenta un grande alleato per le aziende per mettere in atto strategie di ascolto attento degli stakeholder che consentono di vedere da lontano i possibili rischi e pericoli. Se un tempo la mappa dei rischi di comunicazione di un’azienda poteva essere fatta solo a tavolino o al massimo studiando le rassegne stampa, oggi si tratta di un processo continuativo di ascolto attivo (active listening) che permette – se effettuato con attenzione – di individuare le possibili aree di criticità (le cosiddette issue) per tempo e preparare adeguati piani di risposta (contingency plans) per gestire al meglio situazioni che possono evolvere in crisi di comunicazione.
E così i vecchi manuali di crisi, statici e rigidi, lasciano il posto a documenti vivi in grado di rispondere in maniera efficace alle situazioni e agli scenari che di volta in volta si possono presentare e che vengono elaborati continuativamente in maniera collaborativa dai team coinvolti; strumenti che vengono aggiornati e corretti in tempo reale in base all’evoluzione degli scenari e alle iniziative poste in essere dagli stakeholder.
Sono vere e proprie linee guida step by step per l’azienda, su come comportarsi e comunicare per minimizzare l’impatto reputazionale della crisi/issue. E, nel caso di crisi, oggi per le aziende è molto più facile difendersi, raccontando in prima persona sui propri canali la propria storia e le proprie ragioni e le azioni che si intendono intraprendere. Il ruolo preponderante che un tempo avevano i media nel raccontare la crisi è ora fortemente ridotto e i consumatori e gli stakeholder considerano la narrazione aziendale altrettanto credibile di quella effettuata dai media. Questo purché si tratti di una narrazione proattiva, autentica, trasparente e tempestiva.
Quindi la prima preoccupazione dell’azienda in caso di crisi, grande o piccola che sia, deve essere proprio questo: definire quale sia il suo racconto autentico e trasparente. E, subito dopo, avere il coraggio di esporlo direttamente e proattivamente ai propri stakeholder, attraverso il proprio sito e i propri canali.
Sembra semplice ma siamo consapevoli che si oppongono tante considerazioni di varia natura: ragioni legali, organizzative, commerciali e personali del management. E che spesso, più che il racconto, prevalga l’atteggiamento dello struzzo o la vecchia gestione per “statement” o comunicati stampa. Questi nostri tempi richiedono però il “metterci la faccia”, l’esserci. Anche con risposte parziali o non risposte o scuse. L’azienda, di qualsiasi dimensioni, deve dimostrare di essere consapevole e di lavorare per risolvere le criticità.
In moltissimi casi, le issue e le crisi si convertono in grandi opportunità di trasformazione aziendale e di miglioramento. Sono momenti di verità che – se superati – permettono di riconnettersi con gli stakeholder con un aumentato livello di attenzione.
IN CONCLUSIONE
Se è pur vero che le crisi sono numericamente in aumento, è impossibile sapere quante situazioni di potenziale rischio sono state contenute e trasformate in opportunità da piani efficaci di preparazione alla crisi. Così come le aziende hanno imparato a raccontarsi sui propri canali e a rafforzare i legami con i propri network, così devono oggi sempre più attrezzarsi ad affrontare il contesto critico che le circonda con piani di preparazione alla gestione della crisi dedicati. Si tratta di un percorso alla portata di tutte le aziende e commisurato al business e allo scopo aziendale. Un percorso che può portare, oltre che alla maggior consapevolezza e protezione del brand, ad un approccio più attento nella gestione delle relazioni con tutti gli interlocutori di impresa e quindi ad una maggior efficacia nel raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Nota sugli autori

CORRADO TOMASSINI
Corrado Tomassini è vice presidente, membro del Consiglio di amministrazione e partner presso Havas PR Milan. È responsabile della crescita e sviluppo dell’agenzia; si occupa in particolare delle aree Healthcare & Wellbeing, Public Affairs & Lobbying, Comunicazione interna e Crisis&Issue Management. Da luglio 2024 è inoltre membro del board di UN Women Italy.
Vanta oltre 25 anni di esperienza come consulente in comunicazione aziendale e relazioni istituzionali, con una significativa esperienza nella comunicazione in salute e sanità, nei public affairs, nella gestione della reputazione sia nel settore privato che in quello pubblico, nella comunicazione di crisi, nella responsabilità sociale d’impresa.
Prima di ricoprire il ruolo attuale, è stato Patient Access Manager presso Pfizer e responsabile della comunicazione corporate e del new business presso Edelman Italy. È docente di corporate communication, di Crisis e di healthcare communications presso RCS Academy, 24ore Business School e l’Università di Milano.

CINZIA TREZZI
Cinzia Trezzi è Consumer & Brand director di Havas PR. In questo ruolo gestisce offre consulenza strategica e creativa alle aziende dell’area consumer attive in differenti settori – lifestyle, beauty, sport, home care, food, pet food, beverage, innovazione, app, e-commerce, automotive – attraverso un team di professionisti con competenze ed expertise verticali nei diversi ambiti. Con oltre 20 anni di esperienza nella comunicazione integrata, ha un focus nella creazione di storytelling e percorsi di posizionamento tramite progetti speciali e iniziative per diffondere la purpose del brand, i suoi valori e prodotti/servizi all’interno di nuovi territori al fine di attrarre potenziali target.
Laureata Scienze della comunicazione presso lo Iulm di Milano, ha conseguito un master in Progettazione & organizzazione eventi presso lo IED Comunicazione della medesima città.