A dispetto di molta della narrativa pre-pandemia, che parlava di un de-finanziamento consistente del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) nell’ultimo decennio, la spesa sanitaria pubblica è aumentata da 734 euro nel 1990 a 1.179 euro nel 2000, 1.861 euro nel 2010, per arrivare a 1.904 euro nel 2019 (Figura 1). Fatta eccezione per alcuni anni, l’andamento crescente si riscontra anche se, invece che considerare i valori nominali, consideriamo i valori reali della spesa (cioè aggiustati per l’inflazione).
Negli ultimi trent’anni la spesa reale mostra un calo nei primi anni Novanta dovuto alla necessità di garantire il rispetto dei parametri fissati nel Trattato di Maastricht, seguito però da una fase di forte crescita a partire dal 1995 durata fino alla “Grande Recessione” del 2008-09, periodo dopo il quale la spesa reale subisce nuovamente un lieve calo. La spesa sanitaria in termini reali (ai prezzi del 2015) passa da 1.380 euro pro capite nel 1990 a 1.856 euro pro capite nel 2019.
Cosa determina queste variazioni, in termini nominali e reali? Una spiegazione ovvia è quella che chiama in causa l’aumento del numero di anziani sul totale della popolazione. In base alle evidenze disponibili, gli anziani sono il gruppo della popolazione che con più probabilità consuma servizi sanitari. Tuttavia, siccome l’invecchiamento della popolazione è andato avanti senza sosta, mentre la spesa reale in alcuni anni si è ridotta, sembra ragionevole pensare che la dinamica di breve periodo sia influenzata principalmente da altre variabili, ad esempio relative all’offerta (come il numero di posti letto negli ospedali o le unità di personale dipendente) o a decisioni politiche (come il livello del finanziamento del SSN).
L’invecchiamento della popolazione, assieme all’evoluzione della tecnologia in ambito sanitario, spiega invece ragionevolmente la dinamica di lungo periodo della spesa.
FIGURA 1: SPESA SANITARIA PUBBLICA NOMINALE E REALE PRO-CAPITE
FONTE: ISTAT – HEALTH FOR ALL
Queste intuizioni vengono confermate dalle analisi empiriche. Testare il ruolo dell’invecchiamento sulla spesa non è esercizio complicato e considerare i dati della spesa nelle regioni italiane, caratterizzate da una variabilità non banale nella quota di anziani sulla popolazione, consente, volendo semplificare, di confrontare le dinamiche di spesa in regioni “giovani” con quelle di regioni “meno giovani” nell’arco dei trent’anni tra il 1990 e il 2019.
I risultati di un esercizio di questo genere, basato su stime econometriche, indicano che ad impattare positivamente sulla spesa è la quota di persone con un’età compresa fra 65 ed 85 anni (gli “anziani”), mentre la quota di persone più anziane di 85 anni (i “grandi anziani”) appare essere poco significativa.
Questo risultato può avere diverse spiegazioni. Da un lato, a parità di patologia, nei soggetti particolarmente anziani si utilizzano cure meno aggressive e diagnosi meno costose: ad esempio, la spesa specialistica netta in convenzione arriva al picco attorno ai 77-78 anni e poi decresce, tanto che la spesa per un ottantacinquenne è paragonabile alla spesa per un settantenne, e quella per un novantenne addirittura con quella per un sessantacinquenne.
D’altro canto, la spesa per l’assistenza continuativa dei “grandi anziani”, svolta da lavoratori domestici o presso case di riposo, viene meglio classificata come spesa socio-assistenziale e non spesa sanitaria, e quindi non viene catturata guardando solo a quest’ultimo aggregato. L’impatto degli anziani, in ogni caso, sembra perdere valore esplicativo quando si analizzano dinamiche di breve periodo; ad esempio, limitandosi ad analizzare un singolo decennio, le dinamiche di offerta sembrano essere la principale causa dell’andamento della spesa sanitaria.
C’è però un ruolo ulteriore degli anziani che si nasconde dietro la dinamica della spesa. Questi, infatti, non solo consumano i servizi sanitari, ma contribuiscono anche a votare i politici che poi legiferano sulle politiche sanitarie pubbliche e ne definiscono il finanziamento.
Analizzando i dati delle ultime quattro elezioni politiche, nei Comuni caratterizzati da una presenza maggiore di anziani si è registrato un più alto tasso di preferenze verso piattaforme politiche di centrosinistra. In altre parole, gli anziani sembrano votare per formazioni politiche tradizionalmente orientate ad una maggiore spesa pubblica di carattere sociale, inclusa una maggiore spesa sanitaria. Questo comportamento dell’elettorato potrebbe rendere più complicata qualsiasi ipotesi di riforma e di riqualificazione della spesa sanitaria; e, in assenza di riforme, la spesa sanitaria potrebbe finire su un percorso di crescita a tassi non sostenibili.
Questa preoccupazione è rafforzata dall’ultimo dei ruoli che giocano gli anziani, quello che li vede come contribuenti: c’è ampia evidenza circa il fatto che gli anziani – che sono per la larghissima maggioranza pensionati – siano caratterizzati da consumi inferiori rispetto alle persone in età lavorativa; e, anche se in misura minore, sono anche caratterizzati da redditi inferiori. Considerato che la maggior parte del finanziamento al SSN arriva dalla compartecipazione regionale all’Iva (circa il 70%, in base ai dati del 2019) e che l’addizionale regionale Irpef vale un ulteriore 9%, una riduzione di consumi e redditi indotta dall’invecchiamento della popolazione rischierebbe di rendere in prospettiva più complicato il finanziamento della spesa senza riformarne la struttura odierna. A questo si aggiunge che la spesa sanitaria privata è tendenzialmente più elevata nei soggetti anziani e la relativa detraibilità costituisce una “spesa fiscale” che fa ulteriormente calare il gettito Irpef.
L’invecchiamento della popolazione non è quindi solo un problema di una maggiore domanda di servizi; è anche un problema di come si governa questa maggiore domanda di servizi e come la si finanzia, due questioni influenzate dall’invecchiamento ma in direzione opposta rispetto a quello che richiederebbe l’aumento della domanda.
Luca Gerotto, Luca Salmasi e Gilberto Turati
Sintesi dell’articolo pubblicato su RPE – Dicembre 2021. Per scaricare il capitolo integrale cliccare qui
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Nota sugli autori:
Luca Gerotto è assegnista di ricerca in Scienza delle finanze e docente a contratto di Economia sanitaria, presso la facoltà di Economia (campus di Roma) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; in precedenza, ha lavorato anche presso l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani. Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in economia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia nel 2018; nello stesso anno, ha ricevuto il premio AMASES “Marida Bertocchi” per il miglior paper presentato da un giovane ricercatore presso la conferenza annuale dell’associazione.
Luca Salmasi è professore associato di Politica economica presso la facoltà di Economia (campus di Roma) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Economia e finanza presso l’Università di Verona nel 2012. È stato ricercatore in Economia politica presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Perugia, dove precedentemente ha svolto un periodo da assegnista di ricerca presso il dipartimento di Medicina Sperimentale e Sanità Pubblica. Ha svolto un periodo di visiting presso l’Institute for Social & Economic Research (ISER) all’Università dell’Essex.
Gilberto Turati è professore ordinario di Scienza delle finanze presso la Facoltà di Economia (campus di Roma) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Dal 2018 è il coordinatore della laurea magistrale in Management dei servizi presso il Campus di Roma. È membro del Comitato direttivo della Società Italiana di Economia Pubblica (Siep). Fa parte della redazione de lavoce.info, del comitato di redazione di Politica Economica – Journal of Economic Policy e del comitato scientifico della Rivista di Politica Economica e della Fondazione Utilitatis. Da maggio 2019 presiede l’Organismo Indipendente di Valutazione della Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino.