Si tratta di un risultato in controtendenza con l’andamento recessivo dell’economia, all’interno di uno scenario che ha visto sfumare dal 2008 ad oggi circa il 25% della capacità produttiva del nostro paese.
Questi risultati evidenziano in modo significativo che la riqualificazione dei sistemi energetici può costituire un importante volano per la crescita economica del paese. Tuttavia questi risultati devono essere valutati con cautela e con opportuno riferimento ai tre obiettivi prioritari che la Commissione Europea ha definito nel pacchetto clima-energia al 2020:
1. Efficienza: la capacità del sistema elettrico di soddisfare il fabbisogno di consumo, di sostenibilità ambientale e di sicurezza, con il minor costo possibile per il sistema.
2. Efficacia: l’attitudine di trasformare l’efficienza in una riduzione dei prezzi per il consumatore, aumentando la competitività del sistema economico.
3. Volano di innovazione e crescita industriale: trasformare la sfida ambientale in un’ opportunità di evoluzione tecnologica per uno sviluppo strutturale dei settori della green economy.
La verifica del raggiungimento di questi tre obiettivi implica necessariamente anche una riconsiderazione critica degli strumenti, ovvero delle forme di mercato e delle misure di regolazione, adottati nelle scelte di linee politica energetica del settore elettrico.
Nel caso italiano l’importante mole di investimenti ha portato ad una significativa azione di efficientamento del parco termoelettrico italiano, coinvolgendo oltre il 52% degli impianti attuali contro il 38% degli impianti esistenti negli anni ’90.
Inoltre i consistenti investimenti nella produzione di energia da fonte rinnovabile hanno fatto sì che il nostro paese nel 2013 abbia immesso in rete energia rinnovabile per oltre il 34% dell’elettricità totale e che nei soli primi sei mesi del 2014 questa percentuale abbia superato il 40%.
Le evidenze del mercato elettrico fanno ritenere l’obiettivo al 2020 raggiunto con largo anticipo.
Tuttavia, se valutiamo la relazione tra investimenti effettuati ed il fabbisogno di domanda, possiamo osservare una capacità installata netta che ha raggiunto oltre i 134 GW a fronte di una domanda massima alla punta pari a poco oltre 54GW, considerando inoltre che dal 2008 al 2013 il consumo di energia elettrica italiano è diminuito di circa l’8%.
Da questi primi dati appare evidente che la regolamentazione del mercato ha prodotto delle inefficienze in quanto il mercato ha determinato una capacità di generazione eccessiva, ovvero un uso sub-ottimale del capitale investito nel settore.
Contrariamente alle attese sul piano economico questa situazione non ha determinato i benefici attesi infatti, nonostante l’eccesso di capacità di generazione installata rispetto alla domanda di mercato, il prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica presenta un differenziale di oltre il 30% rispetto alla media europea.
Questa differenza sale al 38% se confrontiamo i prezzi italiani con la media dei prezzi europei al lordo delle componenti fiscali e parafiscali, come evidenziato in tabella.
Questo differenziale nel prezzo dell’energia italiano per consumatori finali ,rispetto ai principali paesi UE, è dovuto in primo luogo al differenziale nel costo dell’energia nel mercato elettrico (vedi grafico 1) mediamente superiore alla media degli altri mercati europei di oltre il 40% anche per un diverso mix di combustibili.
In secondo luogo è dovuto alla forte crescita delle componenti parafiscali che incentivano le fonti rinnovabili ovvero la componente A3 che negli ultimi 4 anni è aumentata del 373%.
Il costo di incentivazione delle fonti rinnovabili (vedi grafico 2) è ormai superiore al costo del MWh negoziato nel mercato elettrico.
Questi dati ci consentono di formulare delle prime valutazioni con riferimento alla relazione tra investimenti e obiettivi prioritari del processo di liberalizzazione del mercato elettrico. Con riferimento all’efficienza, l’Italia ha sicuramente migliorato le performance del parco di generazione termoelettrico (soprattutto attraverso gli investimenti nelle centrali a ciclo combinato) risolvendo in larga misura anche le problematiche di sicurezza che avevano caratterizzato i blackouts del sistema elettrico italiano nel periodo periodo 2001-2003.
Tuttavia il dimensionamento della capacità di generazione risulta eccessiva rispetto al fabbisogno della domanda interna di elettricità. Basti pensare che nel 2013 la capacità efficiente netta disponibile risultava oltre 124 GW (senza importazioni), rispetto ad un domanda di punta di poco superiore ai 53,94 GW.
La presenza di fonti rinnovabili non programmabili e le strozzature che ancora insistono sulla direttrice Nord-Sud della penisola richiederanno ulteriori investimenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico.
Con riferimento agli obiettivi di efficacia del processo di liberalizzazione possiamo osservare che nonostante un situazione strutturale di eccesso di capacità installata, il mercato Italiano non riesce a riallineare il prezzo finale a quello prevalente nei principali mercati europei.
Più in generale il processo europeo di integrazione dei mercati non ha prodotto gli effetti attesi in termini di convergenza dei prezzi.
Prima di approfondire il terzo obiettivo relativo alla capacità del sistema elettrico di essere volano di sviluppo industriale è dunque necessario, soffermarci sulle principali criticità di funzionamento del mercato e sulle possibili linee di intervento.
L’attuale assetto organizzativo del mercato elettrico italiano trae origine dall’impostazione storica del processo di liberalizzazione europeo avviato con la Direttiva 62/96/UE, che era strutturalmente orientata alla creazione di un assetto concorrenziale tra generatori termici convenzionali.
Il ruolo della produzione di elettricità da fonte rinnovabile era limitato. Il modello competitivo prefigurato era di “concorrenza nel mercato”. Si riteneva che lo sviluppo di una adeguata struttura di mercati primari e secondari (mercato del giorno prima e mercati dei servizi ancillari, inclusa la gestione della sicurezza) e dei relativi mercati a termine (fisici e finanziari) sarebbe stata in grado di fornire “segnali di prezzo” in grado di orientare il comportamento degli stakeholders (consumatori, produttori e responsabili del servizio di dispacciamento e trasmissione) per garantire una gestione efficiente e tecnicamente sicura della commodity elettrica a beneficio dell’intera collettività europea.
Il processo prevedeva la creazione di mercati nazionali e la progressiva integrazione degli stessi che si sarebbe completata entro il 2014.
Successivamente, con il recepimento della Direttiva 28/09/UE nei principali stati membri, è stato stabilito che lo sviluppo della produzione elettrica da fonte rinnovabile doveva seguire il modello dei prezzi amministrati, ovvero i “prezzi” dell’energia prodotta da fonti rinnovabili dovevano essere in larga misura “predeterminati” (i.e. aste per accesso alla produzione, incentivi amministrati feed in premium/feed in tariffs) al fine di raggiungere l’obiettivo vincolante nazionale definito nell’accordo di burden sharing.
Nel mercato elettrico italiano la coesistenza di due “segnali di prezzo”, uno derivante da un modello di “concorrenza nel mercato” e l’altro da un modello “procurement/amministrato”, ha determinato la sovrapposizione di due cicli di investimento – per quanto in fasi temporali diverse – che ha portato ad un significativo eccesso di capacità produttiva rispetto al fabbisogno.
Queste inefficienze sono state inoltre amplificate dall’incapacità dell’attuale piattaforma di mercato di fornire una corretta valorizzazione dell’energia elettrica rispetto all’impatto delle diverse tecnologie di produzione sul sistema di trasmissione nazionale.
Evidenza empirica di questa anomalia è che il costo del servizio di bilanciamento per mantenere in equilibrio la rete negli ultimi tre anni è aumentato di oltre il 400% (ovvero da circa 3 Euro/MWh ad oltre 11 Euro/MWh).
Un sistema di prezzi efficienti relativo alle diverse fonti di produzione elettrica dovrebbe essere in grado di esprimere la sintesi del costo industriale di produzione dell’energia dalle singole fonti, inclusivo del costo del dispacciamento (esternalità di rete, positive e negative) e delle esternalità ambientali (costi evitati della CO2 e risparmio di energia primaria).
Su questo punto è necessario rivedere l’integrazione del mercato elettrico con quello dell’Emission Trading Europeo: è evidente la distorsione nel funzionamento del sistema nel momento in cui si considera che il costo evitato della CO2 con le fonti rinnovabili elettriche, pari ad oltre 150 euro per tonellata, risulta del tutto incoerente con le quotazioni del mercato ETS, pari in media a circa 6 euro per tonellata di CO2.
Identificare le criticità di funzionamento del mercato elettrico diventa prioritario al fine di pervenire ad una nuova politica energetica del settore in grado di integrare anche gli obiettivi di sviluppo tecnologico e crescita dell’indotto italiano.
Se consideriamo peraltro che la Commissione UE, con la Comunicazione di gennaio 2014, sta individuando ambiziosi obiettivi per la sostenibilità ambientale al 2030 ( – 40% CO2 rispetto al 1990; + 27% FR sul consumo di energia; 25% di efficienza energetica come obiettivo implicito per raggiungere gli altri due), dobbiamo affermare che lo sviluppo dell’industria legata alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica può giocare un ruolo fondamentale per la crescita economica del paese.
È quindi opportuno ridisegnare il mercato elettrico per cogliere, le opportunità di sviluppo, nel medio e lungo periodo, legate al settore dell’efficienza e delle rinnovabili.
Oggi la green economy italiana produce un valore aggiunto di 100.762 milioni di euro, pari al 10,6% del totale prodotto e occupa 3.056 mila unità (considerando il settore pubblico ed il privato), pari al 13,3% dell’occupazione totale, con un potenziale ancora di oltre 3 milioni di occupati nel campo dei green job (dati al 2012).
Sono i meccanismi di un mercato e un assetto regolamentare stabile a garantire processi di innovazione tecnologica e la crescita industriale sani. Il mercato elettrico può svolgere un ruolo importante per lo sviluppo della green economy solo se saremo di riformare l’attuale quadro di funzionamento, ormai datato.
Le linee di azione per un nuovo assetto organizzativo del mercato elettrico dovrebbero partire dalla razionalizzazione delle fonti termoelettriche (riduzione progressiva dell’eccesso di capacità nel rispetto degli obiettivi di sicurezza) attraverso di un nuovo sistema di negoziazioni in grado di integrare anche la valorizzazione economica delle fonti rinnovabili, ovvero determinare un unico sistema di prezzi di riferimento che costituisca la sintesi completa di tutti i oneri necessari per il dispacciamento in sicurezza delle diverse fonti nel mercato elettrico
Questo processo di razionalizzazione deve procedere rapidamente anche in relazione ai nuovi obiettivi comunitari di sostenibilità previsti per il 2030.
Il nuovo assetto del mercato dovrebbe essere in grado di rappresentare correttamente il valore del costo ambientale delle diverse fonti di produzione elettrica. La nuova regolazione del mercato dovrà quindi integrare nella valorizzazione della commodity elettrica il mercato europeo delle emissioni, al fine di promuovere correttamente le fonti energetiche rinnovabili più efficienti.
Un assetto strutturalmente stabile del mercato elettrico rappresenta la condizione imprescindibile per garantire l’efficienza nella produzione, la sicurezza del sistema e la sostenibilità ambientale quale volano di sviluppo industriale ed economico.