Lo scenario internazionale, caratterizzato fin dagli ultimi mesi del 2020 da forti aspettative sulla ripresa, ha indotto enormi aumenti nei prezzi delle commodity.
Le quotazioni in dollari di fonte World Bank consentono di seguire gli andamenti delle materie prime sui mercati internazionali. Gli aumenti dei prezzi sono stati fortissimi: per il rame in agosto siamo al +40% da ottobre 2020, per il ferro al +35%. E sono stati molto diffusi: riguardano non solo i metalli, ma anche alimentari, legno, petrolio. Questi andamenti dei prezzi contano molto per le imprese e i consumatori italiani, perché l’Italia è un paese di trasformazione manifatturiera e quindi i volumi di commodity importate sono molto ampi.
Per alcune commodity si nota di recente una pausa o una parziale flessione, ma i prezzi restano comunque molto alti. In agosto in particolare si è registrata ampia volatilità: forti ribassi, ad esempio per il ferro, insieme a nuovi rincari, come per il grano. Per i metalli, in media, e anche per gli alimentari, il prezzo ha toccato il picco a maggio 2021, mostrando poi un lieve calo. Con molta eterogeneità: per il rame gli ultimi tre mesi sono stati di graduale correzione al ribasso, mentre il ferro è caduto nell’ultimo mese. Ciò nonostante, in agosto si registra ancora un rincaro dei metalli di +39% rispetto ad ottobre 2020.
Per gli alimentari siamo a +25%, con un +18% per i cereali. Ci sono differenze marcate anche tra il grano, che ha registrato di recente un calo e poi una risalita e il mais, che invece prosegue in una graduale flessione da giugno.
C’è una forte differenza anche nei livelli raggiunti dalle varie commodity. Ciò dipende dal fatto che nella prima parte del 2020 alcune commodity, come il petrolio, avevano subìto una profonda caduta, altre solo un calo limitato, ad esempio il rame e il ferro. Per il petrolio, quindi, il rialzo è stato in realtà un recupero (più che pieno) del prezzo: in agosto è al +6% dal valore pre-crisi. Il legno è in condizioni simili (+5%), il grano poco più su (+16%). Per altre commodity, invece, i prezzi sono ben oltre: ferro +75%, rame +54% dal pre-crisi. Rispetto ai picchi storici, toccati nel 2011-2012, il livello dei prezzi alimentari si è avvicinato molto quest’anno, quello dei metalli l’aveva quasi raggiunto a maggio.
Ma quali sono state le cause? Anzitutto, va detto che si tratta di rincari che vengono da fuori, non nascono nell’economia italiana: tutte queste commodity, infatti, sono quotate su mercati internazionali.
Va notato che i prezzi di molte materie prime, storicamente, sono molto legati a quello del petrolio: la correlazione tra grano e petrolio è dell’82%, per il rame dell’87%. Un motivo è che c’è una componente comune, legata alle aspettative di crescita/caduta dell’economia mondiale. Un altro motivo è che l’energia è un input importante in varie produzioni. La parte di correlazione residua è dovuta al fatto che numerose commodity fungono anche da asset finanziari, non solo il petrolio, su cui grandi operatori finanziari realizzano acquisti e vendite, spesso correlate, legate ai fondamentali dei singoli mercati o solo alle aspettative globali.
Questa “speculazione finanziaria” è responsabile, per molte commodity, dell’accentuazione delle oscillazioni dei prezzi.
Questo ci conduce a una domanda: i rincari nel 2021 sono dipesi dalla speculazione o da una carenza di produzione nei vari mercati fisici mondiali? Per il petrolio è in atto un riequilibrio, un decumulo di scorte dopo l’enorme accumulo della primavera 2020, cioè non c’è una vera scarsità di offerta, che è contenuta dai produttori, Opec in testa. Per il rame, invece, c’è stata davvero scarsità, sin dal 2020: la domanda mondiale è molto sopra la produzione. Per il grano, no: la produzione è cresciuta, nonostante rischi legati al clima, ed è rimasta sopra la domanda, pure in aumento.
E allora, riusciamo a capire se si tratta di rincari temporanei o permanenti? Non si può generalizzare, proprio perché le condizioni di mercato fisico mondiale sono così diverse. Se i prezzi di alcune commodity hanno seguito il rialzo del petrolio, via speculazione finanziaria comune, e se è vero che il greggio ha iniziato a fermarsi, è atteso stabilizzarsi entro il 2021 e poi in flessione nel 2022, allora questi rincari potrebbero essere temporanei. È il caso, per esempio, del grano, che infatti ora sta oscillando, su un livello alto ma non abnorme, e non ha più un trend di rincaro.
In altri mercati, invece, i prezzi potrebbero restare molto alti, forse anche nel 2022, mostrando solo parziali correzioni. Questo perché i recenti, enormi, rincari sono stati causati da una effettiva scarsità di offerta mondiale e, dunque, occorre tempo per investire e per riorganizzare le filiere produttive. È il caso del rame.
Preoccupa che, intanto, vari settori industriali in Italia stanno risentendo dei rincari delle commodity sul fronte dei costi operativi e quindi dei margini. I dati Istat, che arrivano al secondo trimestre 2021, per l’aggregato dell’industria fotografano un forte aumento del costo degli input e mark-up erosi, nonostante un certo rialzo, in risposta, dei prezzi alla produzione. Naturalmente, l’impatto sui costi è maggiore nei settori che fanno più uso delle commodity con i più forti rincari. E la risposta dei prezzi al cancello della fabbrica è stata molto eterogenea.
Alcuni settori più a monte, produttori di beni intermedi, sono riusciti a rialzare parecchio i listini (+11,1% da ottobre 2020 a luglio 2021). Invece, quelli più a valle, che producono beni di consumo e sono a contatto con la domanda finale, non sono riusciti ad andare oltre un rincaro moderato (+2,1%).
Questo indica condizioni molto differenti e, quindi, che il dato medio per i margini della manifattura, in questa fase, non coglie l’effettiva sofferenza di alcuni comparti.
Nella seconda metà del 2021, se i rincari saranno in parte temporanei, la situazione dei margini potrebbe alleggerirsi per alcuni settori. Penalizzati resterebbero quelli che usano commodity con rincari più permanenti. Tutti i settori si stanno giovando del forte rimbalzo dell’economia: più domanda significa qualche spazio per un ritocco al rialzo dei listini. Finora, i piccoli cali delle commodity non energetiche tra giugno e agosto non intaccano molto i rincari precedenti (ancora +27% da ottobre 2020) e dunque i costi delle imprese restano alti. Perciò, la sofferenza dei margini, in diversi settori, per ora resta. Peraltro, l’assottigliarsi del mark-up, per ogni unità di prodotto venduto, comprime anche il cash flow generato dalle imprese, sommandosi a valori già molto ridotti nel 2020 che hanno condotto a un serio problema di carenza di liquidità.
Non è tutto. C’è anche un crescente problema di scarsità di materiali. Molte imprese italiane devono affrontare difficoltà nel reperire varie materie prime e alcuni semilavorati. Difficoltà segnalate sempre più spesso. I dati Istat suggeriscono che non è un problema generale di scarsità di input, ma la questione è molto seria in alcuni comparti: per esempio, nel settore a valle dei metalli.
Gli imprenditori segnalano pure un rischio: data l’incertezza su quantità e prezzi, per le imprese potrebbe non essere più possibile adottare la gestione just in time. Ciò significa dover tenere magazzini più ampi, con un aumento del fabbisogno finanziario delle imprese.
Questo scenario di prezzi alti e scarsità è un oggettivo ostacolo alla ripresa dell’industria italiana. Il cui impatto si sta già vedendo nella frenata della produzione negli ultimi mesi.