Fare impresa significa assumere dei rischi. Il concetto di rischio è fisiologicamente legato all’attività d’impresa in quanto connesso alla vocazione a intraprendere, nonché all’aleatorietà degli eventi riferiti all’ambiente e al mercato nei quali l’impresa stessa opera. Il rischio è connaturato all’attività economica: l’assunzione del rischio è ovvia premessa all’attesa di un ritorno economico. Questa semplice constatazione implica che l’identificazione del rischio è prerequisito per la sua gestione, il che non necessariamente incide con la sua riduzione. Infatti, l’aspettativa di maggiori ritorni può giustificare, in linea con il concetto di rischio/rendimento, l’assunzione di maggiori rischi.
I principali rischi rilevanti per l’impresa possono così riassumersi:
- rischi di business, ai quali l’azienda è naturalmente esposta per il solo fatto di operare nel suo core business e che rappresenta il rischio proprio dell’attività in essere, correlato naturalmente al profitto dell’impresa;
- rischi di mercato, derivanti dall’esposizione alle oscillazioni dei prezzi/valori di mercato per le variabili di riferimento (tra questi, anche il rischio di tasso di interesse e di cambio);
- rischi di credito, ovvero che una controparte non onori gli obblighi di natura finanziaria assunti, generando una corrispondente variazione imprevista del valore della posizione creditoria;
- rischi operativi, che racchiudono in senso ampio danni legati al normale svolgimento delle attività economiche dell’impresa e che possono annoverare, ad esempio, il rischio di perdite derivanti dalla inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure, risorse umane e sistemi interni.
Assume quindi rilievo centrale la gestione del rischio (Risk Management), cioè l’insieme dei processi mediante i quali si individuano, si analizzano e si valutano i rischi aziendali e successivamente si sviluppano strategie per governarli, in modo da minimizzare le perdite e massimizzare le opportunità. È ormai realtà che l’ambiente in cui le imprese agiscono è molto più complesso e dinamico e che questo nuovo scenario ha incrementato l’interrelazione dei rischi e la complessità degli stessi, evidenziando come un’insufficiente valutazione e gestione dei medesimi può condurre a strategie non efficaci e inadeguatezza dei processi interni che, a loro volta, possono avere un impatto notevole sulle performance e sul valore della società.
In pratica, emerge in modo netto la necessità di una pianificazione d’impresa rafforzata da una gestione integrata del rischio aziendale, nell’ambito del quale il concetto di valore assume un rilievo strategico in quanto la sua creazione, conservazione o riduzione, sono intimamente connesse alle decisioni, sia strategiche che operative, dell’imprenditore e del management. Essa raggiunge il livello più elevato quando il top management è capace di conseguire un eccellente equilibrio fra gli obiettivi di crescita, redditività e rischio ed è in grado di gestire in modo efficace le risorse disponibili al fine di soddisfare i piani aziendali. La massima efficacia viene raggiunta quando il sistema integrato di risk management entra a far parte della cultura aziendale e influisce in modo positivo sull’implementazione delle strategie e sul perseguimento della mission aziendale.
La grandissima maggioranza delle aziende italiane appartiene alla categoria delle piccole e medie imprese (Pmi) e questa rappresenta la caratteristica della nostra realtà imprenditoriale. Solo la metà delle Pmi ha in qualche modo affidato la gestione del rischio ad una funzione aziendale (anche in via non esclusiva). L’ostacolo principale è rappresentato dalla convinzione che il costo d’implementazione supererebbe i benefici attesi; ciò secondo una concezione ancora molto diffusa per cui la gestione del rischio è un’attività onerosa che non produce profitti concreti per le aziende.
Questi aspetti presentano uno spaccato di questo importantissimo segmento imprenditoriale, che rappresenta il vero tessuto produttivo italiano e nel quale la cultura del rischio non si è ancora affermata nel suo “codice genetico”; quando si parla di rischi, infatti, l’attenzione è ancora principalmente rivolta all’ambito assicurativo e/o ai rischi finanziari.
È indiscutibile che un certo impulso ad una visione orientata all’analisi del rischio è venuto dall’emanazione della norma ISO 9001, anche per via della diffusione delle certificazioni qualità nelle Pmi. Una delle modifiche più importanti del nuovo standard riguarda il cambiamento del processo per le azioni preventive, che viene sostituito dal risk-based thinking. La norma ISO 9001:2015 richiede infatti di applicare un approccio basato sui rischi alla gestione della qualità. Ciò comporta l’adozione di una visione globale dei rischi dell’attività aziendale e coinvolge l’alta direzione nell’intero processo della loro mitigazione.
Per favorire la diffusione e l’efficace applicazione di processi di valutazione del rischio è quindi necessario individuare un modello in grado di aiutare il management aziendale a gestire efficacemente i rischi connessi al conseguimento degli obiettivi pianificati. Si può far riferimento, anche in rapporto ai requisiti di proporzionalità e ragionevolezza, a due tra i modelli di risk management più diffusi: ISO 31000:2018 e ERM Enterprise Risk Management – Integrated Framework 2017, entrambi accomunati da caratteristiche di rilevante modularità, in quanto adattabili a qualsiasi tipo di rischio, settore, tipologia e dimensione d’impresa.
Secondo questi una gestione del rischio efficace richiede di essere:
- integrata con le altre attività dell’impresa;
- strutturata e globale per poter fornire risultati concreti e confrontabili;
- personalizzata: la struttura di riferimento e il processo di risk management sono personalizzati e proporzionati al contesto esterno e interno e agli obiettivi;
- basata sulle migliori informazioni disponibili, in termini di tempestività e chiarezza, sia che si tratti di dati storici, rilevazioni correnti o previsioni future, considerando altresì le eventuali incertezze associate alle aspettative future;
- dinamica, per poter anticipare, rilevare, riconoscere e reagire ai cambiamenti del contesto in modo appropriato e tempestivo;
- comprensiva dei fattori umani e culturali, data la loro rilevante incidenza su tutte le attività aziendali;
- costantemente revisionata in un’ottica di miglioramento continuo attraverso l’apprendimento e l’esperienza.
Abbiamo visto nei precedenti contributi 10 e 11 che, per l’impresa di oggi, l’adeguatezza degli assetti organizzativi rappresenta un elemento essenziale dell’organizzazione interna societaria per lo svolgimento dell’attività di impresa, sia in un’ottica di continuità aziendale, sia quale strumento di prevenzione e gestione della crisi di impresa.
Abbiamo anche visto come gli assetti organizzativi risultano “adeguati” allorquando permettono la chiara e precisa indicazione dei principali fattori di rischio aziendale e ne consentono il costante monitoraggio e la corretta gestione. Quindi, la struttura organizzativa può essere ritenuta adeguata quando:
- si sia tenuto conto delle dimensioni della società e della natura dello scopo sociale;
- sia stato redatto l’organigramma aziendale con evidenziate le aree di responsabilità;
- la direzione della gestione sia concretamente esercitata dagli amministratori;
- esista una chiara documentazione riportante le direttive e le procedure aziendali e ne sia stata fatta una opportuna divulgazione;
- il personale sia dotato di adeguata competenza per svolgere le mansioni affidate;
- la programmazione, cioè l’organizzazione ottimale dei fattori della produzione esistenti o di immediata acquisizione, abbia come riferimento il budget d’esercizio;
- la pianificazione, ovvero lo sviluppo della struttura aziendale, abbia come riferimento il business plan;
- i rischi aziendali siano analizzati e valutati e siano implementate strategie per governarli, secondo le logiche del risk management.
(Contributo 12/16. Prossima uscita: 10 marzo)
Articoli precedenti:
Capire la crisi, cambiare il paradigma: appunti per ripartire (pubblicato il 16 settembre 2022)
L’impresa ha un’anima: il cambiamento nei modelli organizzativi (pubblicato il 30 settembre 2022)
Il “next new normal”: collaborare per crescere e ripensare il modello di business (pubblicato il 14 ottobre 2022)
Come allineare strategia e azione: lo strumento della Balanced Scorecard (pubblicato il 28 ottobre 2022)
Il piano industriale: cos’è, a cosa serve, chi lo elabora (pubblicato l’11 novembre 2022)
Il piano industriale: fasi e contenuti (pubblicato il 25 novembre 2022)
Il piano industriale: un esempio di struttura (pubblicato il 9 dicembre 2022)
Il controllo di gestione: strumenti per un monitoraggio efficace (pubblicato il 23 dicembre 2022)
La valutazione dell’impresa (pubblicato il 13 gennaio)
I nuovi doveri degli organi di gestione e controllo (pubblicato il 27 gennaio)
Cogliere gli indizi di crisi per tutelare la continuità aziendale (pubblicato il 10 febbraio)
Nota sull’autore
Andrea dalla Chiara è partner dello Studio dalla Chiara 1884, che conduce come rappresentante della quarta generazione, ed esercita e coordina l’attività di consulenza societaria, tributaria, legale e di controllo di gestione. Si è laureato nel 1989 in economia e commercio all’Università di Torino ed è iscritto dal 1990 all’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili. Ha seguito numerosi corsi di approfondimento e master di specializzazione nelle seguenti materie: diritto tributario, societario, finanza e controllo, contenzioso tributario. Fa parte del gruppo di studio dell’Ordine dei dottori commercialisti di Torino per i Piani industriali. È consulente del Tribunale e della Procura della Repubblica di Torino, nonché revisore contabile.