L’11 aprile a Forlì si è svolto il secondo incontro intitolato “Competenze del futuro e persone al centro”, a seguire un estratto dai contributi di Alessandra Lanza e Stefano Molina, che sono intervenuti sul tema.
Se una tra le tante ragioni della scarsa competitività del sistema Italia è il basso livello delle competenze della forza lavoro, proprio questo può essere un punto di partenza per recuperare terreno nei confronti dei competitor. Il ritorno economico dell’investimento in formazione delle risorse umane è infatti decisamente elevato e, da questo punto di vista, la bassissima propensione alla mobilità “job-to-job” della popolazione lavorativa italiana, da vincolo alla crescita, può trasformarsi in un ulteriore incentivo alle imprese per investire nel proprio capitale umano.
Peraltro, il circolo virtuoso che si innesterebbe tra miglioramento delle competenze individuali, incremento della produttività e livello dei salari (specie se accompagnato da una riduzione del carico fiscale) potrebbe costituire un volano di attrazione per le risorse umane skilled provenienti dall’estero.
Ovviamente questo è solo un esempio di come le molteplici difficoltà che caratterizzano il sistema produttivo italiano possano rappresentare, se adeguatamente affrontate, un possibile trampolino di sviluppo: rispetto alla semplice leva del basso costo del lavoro esistono infatti molte altre strade che le imprese italiane potrebbero percorrere, molto più consone a un manifatturiero il cui obiettivo è ambire alle prime posizioni in Europa in termini di sviluppo.
L’adozione di tecnologie informatiche e digitali è una di queste. Per rendersene conto basti pensare che solo l’8% delle imprese italiane è attrezzata per ricevere ordinativi via internet, mentre questa soglia in Germania raggiunge il 22%. Gli ordinativi via internet superano il 6% del totale per le imprese tedesche, percentuale che invece, per le imprese italiane, si attesta poco sopra al 2%. Ancora, mentre l’87% delle imprese tedesche possiede un sito internet, solo il 71% di quelle italiane ha raggiunto questo “obiettivo”.
Il quadro è relativamente più confortante per quanto riguarda l’adozione dei principali standard informatici e digitali, ma anche qui rimangono dei gap da colmare nei confronti delle principali economie europee: più in generale, l’adozione di strumenti tecnologici moderni, e lo sfruttamento dei canali di informazione digitale, rappresentano un possibile terreno di rincorsa per le imprese italiane nel panorama competitivo internazionale.
Un altro ambito su cui le imprese italiane possono investire risorse con l’obiettivo di migliorare la propria performance riguarda la qualità del management. Statisticamente, ad una maggiore qualità della gestione aziendale è infatti associato un miglioramento complessivo della performance, in termini sia di fatturato, sia di margini e quote di mercato.
Al di là dell’età media relativamente più elevata – che rispecchia a grandi linee quella della popolazione complessiva – i risultati dell’ultima “World Management Survey” segnalano > come i manager italiani siano mediamente sotto-performanti in tutte le principali aree di indagine, superando solo quelli spagnoli nella classifica dei principali competitor europei.
Favorire il ringiovanimento del “parco” manager italiano, sostenendo l’accesso di risorse più giovani e, quindi, più propense all’adozione di tecnologie di gestione moderne, è uno dei possibili strumenti con cui le imprese potrebbero migliorare la performance complessiva, con effetti di spillover di cui potrebbe beneficiare l’intero sistema produttivo italiano.
Il tema del management non si declina peraltro solo sulla qualità o l’età delle risorse che rivestono ruoli dirigenziali, ma anche sulla provenienza (interne o esterne alla famiglia proprietaria) delle stesse.
Normalmente una guida “esterna” tende infatti ad essere più flessibile e reattiva nell’apportare cambiamenti, più propensa all’innovazione e all’esplorazione di nuove strategie, caratteristiche importanti soprattutto in un ambiente competitivo complesso in cui i fattori che condizionano il successo (concorrenti, mercati, tecnologie, etc.) sono sempre più in rapido mutamento. Questa interpretazione trova supporto analizzando più in dettaglio la relazione tra dimensione settoriale e forma di governance all’interno del comparto manifatturiero.
Non è quindi un caso se tra i settori dell’industria italiana a maggiore vocazione manageriale esterna si annoverano quelli più innovativi e, al tempo stesso, quelli dalle produzioni più tradizionali vedono prevalere nei ruoli dirigenziali/gestionali figure interne alla proprietà. La relazione positiva che lega la provenienza del management alla performance trova ulteriore supporto nell’analisi econometrica: una ricerca di Prometeia stima il “premio” alla managerialità esterna in un differenziale di performance, per il totale economia, del 2,4% per il fatturato, del 2,6% per l’occupazione e dello 0,9% per la produttività (in termini di crescita media annua tra il 2000 e il 2013).
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