
La gente è stata la vera protagonista: con una media di 116mila persone al giorno e 273mila nel giorno record, sabato 10 ottobre, è innegabile che l’Esposizione, malgrado le sue contraddizioni tutte italiane, sia stata un grande successo. Ore e ore in fila in balia di temperature vertiginose o delle prime piogge autunnali non hanno rappresentato un deterrente, anzi. Proprio negli ultimi mesi hanno fatto registrare un grande, e forse inatteso, picco di ingressi.
Tra loro giovani, adulti, anziani, famiglie, comitive in pullman, turisti, scolaresche. Per tutti questi spettatori, ognuno dei 148 Paesi presenti, ha sviluppato liberamente il tema del cibo sostenibile, in base a scelte culturali, di stile, e alle diverse possibilità di investimento.
Ore ed ore di fila per visitare la mostra di Palazzo Italia, per il padiglione giapponese o per mangiare nei ristoranti presi d’assalto soprattutto da fine agosto in poi. C’è chi ha infilato nei passeggini bambolotti o ragazzini già cresciuti pur di scavalcare le code e chi è tornato più volte per vedere pezzo per pezzo tutta l’Esposizione. Milioni di foto e di selfie scattate, milioni di condivisioni sui social network.
Nel bene e nel male, questa è l’Italia. Un’Italia che ha vinto un’importante sfida culturale ma anche, soprattutto, di civiltà.
Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sala, Commissario Unico Delegato del Governo per Expo Milano 2015 e con Luigi Scordamaglia, Presidente di Federalimentare.
Sala: un successo organizzativo

GIUSEPPE SALA
Quali sono stati i risultati di Expo?
Expo Milano 2015 si è chiusa con circa 21,5 milioni di visitatori, provenienti in buona parte da tutta Italia – più di 14 milioni – e dall’estero – oltre 6 milioni. In sei mesi abbiamo avuto il piacere di ospitare oltre 60 capi di Stato e di Governo e circa 300 delegazioni straniere hanno fatto visita al sito espositivo. Questi numeri danno la cifra e la misura effettiva del riscontro positivo che la manifestazione ha avuto e delle opportunità che ha aperto per Milano e per l’intero paese.
Cosa ha funzionato di più e cosa poteva essere migliorato?
Ha funzionato la macchina organizzativa nel suo complesso. Ogni attore coinvolto nella gestione della manifestazione ha fatto la sua parte. Nei 184 giorni di apertura dell’Esposizione Universale la metropolitana, i bus, i treni, la viabilità e il sistema di mobilità studiato hanno dimostrato di essere all’altezza dell’enorme impegno richiesto, per consentire al pubblico di raggiungere il sito espositivo. E una volta all’interno, i visitatori hanno trovato un ambiente pulito, ordinato, sicuro, accessibile e ben attrezzato, anche sul fronte del pronto intervento sanitario. Con il senno di poi, e un po’ di pignoleria, sicuramente ci sono aspetti su cui avremmo potuto fare meglio. Ma il fatto che molti visitatori siano tornati più volte sul sito e che la maggior parte abbia consigliato a parenti e amici di fare l’esperienza di Expo è il miglior riconoscimento che potessimo ricevere.
Quale è stato l’elemento caratterizzante con cui, secondo lei, verrà ricordata questa edizione milanese dell’Esposizione Universale?
Credo che l’edizione 2015 dell’Esposizione Universale sarà ricordata per il suo tema. “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” è stato il leit motiv che ha guidato i paesi nella costruzione dei padiglioni – ricordo lo spazio espositivo della Malesia che riproduceva tre chicchi di riso, oppure la tipica cesta per alimenti che sovrastava il padiglione del Qatar – e nell’allestimento delle mostre al loro interno. Il tema è stato il protagonista indiscusso, grazie ai dibattiti dedicati al futuro dell’alimentazione e alle azioni concrete che possiamo mettere in campo quotidianamente per ridurre la fame >
nel mondo, a partire dall’impegno di cui si fa portavoce la Carta di Milano fino alle best practices raccontate nell’affascinante e profonda riflessione offerta dal padiglione Zero.
Che fine faranno ora le strutture dei padiglioni in fase di smantellamento?
Alcuni padiglioni saranno smontati e ricostruiti nei paesi che li hanno realizzati o in altre località, come quello di Monaco che sarà nuovamente assemblato in Burkina Faso e destinato a scopi umanitari. Resteranno, invece, il Padiglione Italia, il Padiglione Zero e l’Albero della Vita.
E che progetti concreti ci sono per l’area espositiva di Rho?
La competenza sulla destinazione d’uso futura dell’area spetta ad Arexpo. Ad oggi l’ipotesi più accreditata è la realizzazione di un campus universitario, cui si aggiunge il progetto di un polo tecnologico di eccellenza, come proposto di recente dal governo.
Quale sarà il futuro del Commissario Unico di Expo?
Non so ancora cosa farò. Vorrei avere un po’ di tempo per mettere ordine alle idee, ma non è semplice. Nel frattempo un paio di opportunità, pur non totalizzanti, si sono già concretizzate. Sono entrato nel CdA di Cassa Depositi e Prestiti. Ed è emersa anche un’opportunità a livello internazionale: sono stato invitato a far parte dell’Advisory Board di WPP, gruppo presente in più di 100 paesi e leader mondiali nella comunicazione. Un’ulteriore gratificazione è quella di essere il primo italiano cui viene riservato tale onore.
Scordamaglia: un bilancio decisamente positivo

LUIGI SCORDAMAGLIA
Siamo arrivati alla fine dell’EXPO Milano 2015, quali sono, secondo lei, i motivi di questo successo?
L’alimentare italiano ha vinto la sfida Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita, posta da questo Expo. I numeri raccontano solo in parte gli ambiziosi traguardi e le opportunità che siamo stati in grado di cogliere. In questi mesi abbiamo consolidato l’immagine dell’industria e del modello produttivo italiano, il migliore al mondo in termini di sostenibilità ambientale e uso efficiente delle risorse, qualità, sicurezza e innovazione di processo e di prodotto. “Non” abbiamo perso un’occasione unica, quella di offrire al mondo il nostro modello alimentare. E ora il mondo sa che la nostra proposta per nutrire il pianeta è la più coerente e sostenibile per rispondere alle sfide poste da Expo.
Quale il bilancio per Federalimentare? E per il paese in generale?
Il nostro bilancio è decisamente positivo: oltre 450 mila visitatori alla mostra Fab Food. La Fabbrica del gusto italiano” e quasi 300 mila visitatori al Padiglione “Cibus è Italia”. 200 eventi seminariali e convegni scientifici e promozionali, circa 5.000 incontri b2b tra le aziende del padiglione e oltre 300 buyer, retailer e distributori provenienti da più di 40 paesi, che hanno prodotto oltre 200 visite aziendali in stabilimenti produttivi.
L’immagine dell’alimentare italiano che abbiamo dato al mondo è quella di una filiera unita in tutte le sue componenti – agricoltori, industria di trasformazione e distribuzione – capace di superare antiche rivalità. Un modello di cooperazione che ci permetterà di essere più competitivi nello scenario nazionale e internazionale, grazie anche al sostegno delgoverno che ha dato un supporto inedito all’alimentare, mettendolo al centro della sua politica di rilancio del paese. Federalimentare auspica che questo approccio non resti un episodio isolato, ma sia un punto di partenza per il rafforzamento dell’agroalimentare italiano. Questo settore infatti, con le sue enormi potenzialità, rimane un asset strategico per il rilancio del paese, anche ora che la manifestazione è finita.
Aggiungo che Expo è stato il primo vero momento di rilancio per il paese dopo 7 anni di crisi. Perciò, non possiamo permetterci di disperdere questa eredità. Ora serve continuare sulla strada delle riforme per rilanciare i consumi e sostenere le esportazioni.
Quali prospettive di crescita può generare per l’export agroalimentare made in Italy? L’obiettivo dei 50 mld entro il 2020 è raggiungibile?
Come ho accennato, le prospettive del nostro “food and beverage” sui mercati internazionali sono enormi. L’obiettivo dei 50 miliardi di export agroalimentare nel 2020 non è velleitario. Basta tenere il passo espansivo attorno al +7% mantenuto quest’anno dall’export agroalimentare per far raggiungere, ai 36,8 miliardi previsti a fine 2015, la quota promessa. Una mano fondamentale potrà darla il mercato USA, assurto al secondo posto quest’anno fra i nostri sbocchi, dopo la Germania, con tassi di espansione ben oltre il 20%. E un’altra mano dovrà darla il ritmo di crescita dei mercati dei paesi emergenti, dopo il diffuso appannamento emerso quest’anno.
Federalimentare ha in programma azioni per consolidare l’immagine conquistata durante la manifestazione dei prodotti alimentari made in Italy?
Sono diversi i progetti in gestazione. Tra essi, ricordo: la replica del format del padiglione in altri eventi di elevato valore promozionale, commerciale e sociale in Italia e all’estero; il varo di un Osservatorio permanente sull’Italian sounding; la creazione di un team permanente per favorire le sinergie di tutti gli attori nella attività di incoming dei buyer stranieri; infine, una maggiore presenza collettiva delle aziende alimentari italiane nelle principali fiere internazionali.
La caratteristica peculiare di “Cibus è Italia” è stato il mix di esposizione e degustazione dei prodotti (con quasi 300 mila visitatori, per lo più esteri), convegnistica, incontri business con i buyer esteri ed italiani. La 18° edizione della fiera Cibus, a Parma nel maggio 2016, sarà il primo evento padiglione post “Cibus è Italia”, e in esso si replicherà il concept dell’esperienza capitalizzata durante Expo. Cercheremo di internazionalizzare l’impatto mediante l’organizzazione di collettive italiane ad altre fiere in Asia – come Thaifex e Wofb-World of Food Beijing – ed anche negli Usa, come la Fmi Connect di Chicago ed il Fancy Food (entrambe le edizioni, summer e winter). Preciso che la cennata opportunità, proposta da Federalimentare e da Fiere di Parma al governo italiano, di creare un Osservatorio permanente sull’italian sounding rappresenterebbe uno strumento del tutto nuovo, esso consentirebbe infatti, per la prima volta, di monitorare con puntualità e su base annuale il fenomeno della contraffazione agroalimentare.
Si sta lavorando anche attorno a un nuovo format “shop-in-shop” per i retailer esteri. Cibus, con questo soggetto aggregante, punta a presentare ai retailer esteri soluzioni “chiavi in mano”, capaci di potenziare l’eccellenza del paniere di prodotti italiani da offrire e vendere ai consumatori esteri.
La Carta di Milano considerata una delle principali eredità dell’Esposizione universale è vista da alcuni generica e lacunosa. Quale il suo giudizio?
Ricordo che essa è stata già sottoscritta da oltre 1,5 milioni di persone – tra istituzioni, associazioni, enti e singoli cittadini – con l’obiettivo di diffondere nel mondo l’eredità immateriale di Expo Milano 2015 appena concluso. Federalimentare ha contribuito alla redazione di questo documento partecipando attivamente agli eventi di avvio “Le idee di Expo” (Milano, 7 febbraio 2015) e di conclusione “Expo dopo Expo” (Milano 10 ottobre 2015), in cui sono stati discussi e approfonditi i temi della Carta di Milano attraverso 42 tavoli tematici.
Si tratta, a mio giudizio, di un manifesto concreto di lotta alla denutrizione, alla malnutrizione e allo spreco, che promuove un accesso equo alle risorse naturali tramite una gestione sostenibile dei processi produttivi. Aggiungo che, in generale, ho apprezzato il percorso di stesura, corale e partecipativo, che ha permesso a tutti i soggetti coinvolti di dare il proprio contributo.
Quale futuro vede per le aree espositive di Rho così strategicamente collocate?
L’industria alimentare italiana guarda con favore alla proposta del governo di creare una cittadella dedicata alla scienza nell’area espositiva “Human technopole. Italy 2040”. Questo progetto renderebbe Milano uno dei poli mondiali della ricerca e della tecnologia. Per l’industria alimentare italiana, che è formata da un mix di grandi, medie e piccole imprese, è fondamentale poter contare su un hub della conoscenza. Il nostro settore ha tutto l’interesse a sviluppare sapere ed innovazione nell’ambito di una sinergia sempre più stretta tra pubblico e privato. È in quest’ottica di cooperazione sinergica che stiamo sperimentando nuove forme di collaborazione all’estero con il Mise e le altre due importanti fiere alimentari italiane – Vinitaly e TuttoFood – al fine di spronare la coesione aziendale e creare un ponte diretto con le Istituzioni e la Ricerca.
Dopo Expo, cibo e nutrizione resteranno punti fondamentali anche di “Italia 2040”. In questo modo si consacra la centralità strategica di questo settore nel futuro del Paese, con una visione che va oltre i 6 mesi di Expo, per continuare a valorizzare l’agroalimentare italiano, simbolo di eccellenza nel mondo. Sarebbe una iattura se il “dopo Expo” si riducesse a una guerra campanilistica. In tema di cibo e nutrizione dobbiamo rimanere coesi per offrire un punto di riferimento di valenza mondiale.
Lei pensa davvero che il mondo abbia fatto un passo avanti dopo Expo verso la sicurezza alimentare?
Ricordo quanto affermato dalla Fao: “Garantire che tutti, in ogni momento, abbiano accesso fisico, sociale ed economico ad un’alimentazione sana, sufficiente e nutritiva, per far fronte alle necessità e alle preferenze alimentari necessarie per condurre una vita sana e attiva”. È un obiettivo che comporta l’obbligo di lavorare su più dimensioni contemporaneamente: la fame non è determinata solo dalla mancanza di cibo, ma è piuttosto il risultato di complesse dinamiche politiche, sociali, economiche e ambientali. In generale si può dire che il mondo, dopo Expo Milano 2015, ha capito che non è possibile individuare un approccio univoco per nutrire in modo sostenibile e salutare 9 miliardi di persone nel 2050. È necessario, piuttosto, riconoscere la necessità di perseguire simultaneamente strade e soluzioni personalizzate. Il know how italiano è una risorsa imprescindibile in questo senso.