La prima stretta di mano, informale, è avvenuta nell’ottobre del 2013, quando a Roma si tenne la country presentation “Sudan: a trading bridge to Africa and the Arab world”. In quell’incontro – organizzato da Confindustria Assafrica & Mediterraneo in collaborazione con il Ministero degli esteri e le rispettive ambasciate – i rappresentanti di Africa City Technology, polo tecnologico della capitale sudanese Khartoum, conobbero quelli della Water & Soil Remediation, azienda di Mantova specializzata in sottosuolo, bonifiche ambientali e trattamento di acque e terreni contaminati nei settori oil&gas e industria con 70 dipendenti.
Meno di due anni dopo, e precisamente il 28 luglio scorso, all’Expo di Milano quella stretta di mano c’è stata di nuovo, stavolta per sottolineare la firma dell’accordo di cooperazione tecnologica avvenuta alla presenza del ministro degli esteri sudanese Ibrahim Ghandour, della loro ambasciatrice presso l’Italia Amira Gornass e dell’ambasciatore italiano a Khartoum Fabrizio Lobasso in occasione del Sudan Economic Forum.
Cosa prevede l’intesa? Ne abbiamo parlato con Alberto Prandi, presidente e amministratore delegato dell’azienda: “Africa City Technology – spiega – è un’istituzione pubblica nata con l’obiettivo di creare un incubatore tecnologico e imprenditoriale nella capitale attivo in più settori: industria, Ict e agricoltura. Il nostro impegno sarà quello di trasferire le competenze e l’esperienza maturati dalla nostra azienda su progetti legati al ciclo dell’acqua e concordati con l’Act. Il paese infatti ha problemi di siccità, aggravati dal fatto che i terreni vengono gestiti il più delle volte come latifondi e quindi in maniera poco efficiente”.
Quale know how siete in grado di offrire?
Abbiamo cominciato 25 anni fa occupandoci di bonifiche in situ, la cui particolarità consiste nel fatto che gli interventi si effettuano senza movimentare il terreno. In quel periodo si trattava di metodi totalmente nuovi, inventati anni prima in Nordamerica e che noi, insieme a pochi altri pionieri, abbiamo introdotto in Italia.
Negli anni ci siamo specializzati nel settore ambientale, occupandoci di risanamento di terreni, acque e falde acquifere, trattamento di rifiuti industriali, recupero di risorse naturali, sostenibilità sociale. Fin dall’inizio abbiamo sviluppato in parallelo anche le attività di formazione, rese necessarie dal fatto di divulgare un mestiere nuovo.
Formerete, dunque, la manodopera locale?
Certamente. Con Giacomo Rosa, il nostro international commercial manager, vogliamo trasmettere un modo di fare agricoltura che sia rispettoso della salute delle persone e sostenibile per il territorio. Le faccio un esempio, l’area che si affaccia sul Mar Rosso presenta un altopiano dove scarseggia l’acqua e c’è un progressivo degrado del territorio perché le porzioni di foresta rimaste rischiano di essere definitivamente distrutte dall’uso massiccio fatto dalla popolazione. Ecco, insieme con i nostri idrogeologi stiamo mettendo a punto dei progetti per aiutare le comunità locali, distribuite in villaggi, a reperire l’acqua, ad allestire e gestire impianti di microirrigazione per le coltivazioni del sorgo, il cereale qui più diffuso. Tutto questo va fatto naturalmente “in punta di piedi” e nel rispetto delle popolazioni locali, che sono poi quelle che applicheranno in concreto i principi di questa agricoltura conservativa.
Chi sono i vostri concorrenti?
In questa fase il Sudan è interessato ad acquistare tecnologia e know how di qualità e per questo si rivolge soprattutto ai paesi europei. Tedeschi e inglesi sono presenti, così come i francesi, che si dimostrano molto efficaci dal punto di vista commerciale.
Qual è la percezione dell’imprenditoria italiana nel suo complesso?
Positiva, noi italiani sappiamo essere molto concreti e attenti al rapporto costi-benefici. Nel caso specifico credo che Act abbia trovato in noi un partner ben disposto ad ascoltare quali fossero le loro necessità. È stato apprezzato l’approccio di filiera insito nel progetto, il fatto cioè di partire dalle attività di ricerca delle falde acquifere fino a includere il training alle persone, che è la parte più difficile dato che ci rivolgiamo a popolazioni che non parlano la >
nostra lingua e hanno cultura e abitudini differenti. Peraltro colgo qui l’occasione per ringraziare espressamente Pierluigi D’Agata, Direttore generale di Confindustria Assafrica & Mediterraneo, per il supporto ricevuto nella presentazione del progetto.
Qual è l’impressione complessiva del paese?
Le previsioni sono positive, in particolare nel settore agricolo, che dovrebbe trainare la crescita dei prossimi anni. Le amministrazioni pubbliche, inoltre, si dimostrano molto intraprendenti nella ricerca di investimenti esteri e nell’acquisizione di tecnologie dai paesi avanzati. Per quella che è la nostra esperienza, posso dire che i loro funzionari sono persone preparate, moderne, e le figure apicali con cui ci siamo confrontati sono interlocutori davvero di alto profilo. Tutto questo ha agevolato il nostro lavoro.
Il Sudan potrebbe essere una base per esplorare i paesi limitrofi?
Direi di sì. Sempre attraverso l’Act sappiamo che potrebbero aprirsi opportunità in Etiopia e, andando più a sud, in Mozambico nell’ambito della gestione dei rifiuti. Qualche anno fa avevamo avviato progetti in Libia, Tunisia ed Egitto, ma con la “primavera araba” si sono interrotti.
Cosa occorrerebbe per aiutare le Pmi in Africa?
Abbiamo cominciato a interessarci a queste aree a seguito della crisi in Italia. In precedenza avevamo realizzato dei progetti in Croazia e Slovenia. In Africa in questi sette anni ci siamo resi conto che l’aspetto più difficile è la ricerca del partner locale, indispensabile per avviare qualsiasi attività. Servirebbe quindi un maggior supporto da parte dei funzionari locali delle nostre istituzioni per verificare l’affidabilità dei soggetti sul posto.