La Casit è un’azienda di piccole dimensioni: 20 dipendenti e 2,0 milioni circa di fatturato nata a metà degli anni ‘50 opera nel comparto dell’automazione cancelli, barriere e sistemi di apertura.
E stata la prima impresa a sperimentare il progtto Broad Pitt. A illustrarci i risultati ottenuti è Elena Ramella, responsabile commerciale Export di Casit
Cosa ha rappresentato per voi Broad Pitt e a quali esigenze ha risposto?
È stato il prodromo di un percorso indirizzato al cambiamento e di una filosofia orientata al sostegno delle piccole aziende da parte di Piccola Industria. Il progetto si fa portavoce di un modus operandi che si traduce nel fare sistema, nell’aver fiducia nelle istituzioni e nel condividere le esperienze guardando oltre la sola valutazione economico-finanziaria.
Come pmi eravamo in via di definizione di una strategia per affrontare le sfide del mercato con leve nuove. Una prova difficile che richiede tempi lunghi, risorse indefinite e un’interminabile fase di ricerca per identificare gli skill necessari: innovazione, sviluppo di prodotto, analisi di mercato, R&D, Engineering. Broad Pitt ha catalizzato le risorse qualificate che cercavamo e ha portato dialogo e collaborazione sia in azienda sia all’interno dell’associazione in modalità co-working, contatti qualificati provenienti dall’Università e da un network consolidato di professionisti del territorio, concretezza nel raggiungimento di obiettivi pianificati, visibilità e creazione di una nuova linea di prodotti.
Una “due-diligence” progettuale di questo tipo è di grande aiuto per accelerare processi innovativi all’interno delle Pmi che, a differenza delle startup, possiedono un metodo di lavoro consolidato e faticano a implementare modelli di management diversi. Pensiamo sia necessario promuovere mentoring di questo tipo, ancor più quando si verifica un passaggio generazionale. Broad Pitt ha svolto anche un ruolo di “temporary manager” fornendo una serie di strumenti utili al neo-imprenditore per fare innovazione e rilanciare la produzione.
Che cosa vi ha spinto a partecipare a questo progetto e quanto conta l’innovazione per la Casit?
La forza motrice è stata la concretezza espressa dal progetto, il coaching e la capacità di apportare contenuti nuovi attraverso un incubatore esterno. Ha inciso molto anche la nostra specifica mission aziendale che da sempre si muove con un codice etico basato sul commitment totale quando si tratta di nuovi progetti e di risultati. Per noi l’innovazione incrementale è una necessità. Da produttori progettiamo soluzioni per diversi clienti: resistenza estrema, automazioni per ingressi militari e prodotti custom. Lavoriamo anche come private label per altre ditte estere non avvantaggiandoci della visibilità del nostro marchio. Era il momento per dare alla nostra produzione non solo un’ottima meccanica, ma anche un’impronta originale e innovativa e ora abbiamo le coordinate giuste.
Quali sono stati i vostri partner e quanto ha influito la sinergia tra i vari attori per la buona riuscita dell’iniziativa?
Sin dall’inizio il progetto si è mosso in modo coassiale facendo perno su Piccola Industria e sul team di lavoro, collegando e valorizzando tutte le sfere interessate. Intesa Sanpaolo ha curato l’analisi dati personalizzata, con l’attivazione della rete estera per scouting di mercato e internazionalizzazione dell’azienda, benchmark, posizionamento competitivo nel mercato domestico e internazionale, formazione e non ultimo il miglioramento del rating aziendale, operato su elementi intangibili.
La Casit ha messo a disposizione il suo know-how per la meccanica e la progettazione delle componenti dovuto ad oltre 60 anni di esperienza. Il Politecnico di Torino e il Dipartimento di Energia per l’attività di R&D, con un gruppo di studenti di ingegneria gestionale, hanno fornito la competenza tecnico scientifica. L’industrial design, infine, ha dato il “tocco”, per immettere sul mercato un prodotto riconoscibile come made in Italy, aspetto per niente scontato per una piccola impresa.
Broad Pitt ha creato i link per avere i profili che cercavamo e che non sapevamo come rintracciare: abbiamo scoperto un ventaglio di offerte da parte della banca, degli enti camerali e dell’università. La collaborazione tra i vari attori è stata fondamentale per creare l’empatia necessaria a un metodo di lavoro inedito.
Che cosa avete realizzato attraverso Broad Pitt?
Prima di Broad Pitt non avevamo definito un metodo efficace che ci consentisse di apportare soluzioni tecniche in tempi ridotti.
Grazie a questo percorso abbiamo implementato un modello non solo operativo, ma di organizzazione del lavoro e definito i segni distintivi del prodotto. Inoltre, ne abbiamo verificato la fattibilità e ancora oggi stiamo sviluppando un percorso di innovazione “pura” legato all’energia green. Il prodotto attualmente è in fase di prototipazione. Questo è solo l’inizio di un percorso innovativo ambizioso per essere attori di contesti futuri come le smart city e per proporre prodotti integrati in ambito home automation.
È ripetibile per altre sperimentazioni della Casit ed è facilmente replicabile in altre aziende?
Assolutamente sì. Fondamentale è la codifica di ogni aspetto evolutivo con report e confronti diretti per permettere ad altre aziende come la nostra di vivere la medesima esperienza, che acquista ancor più credibilità proprio se replicabile.
L’aspetto prodigioso è il valore unico dello scambio “esperienziale”: pensiamo che un modello di questo tipo sia vincente se mette a frutto il know-how del team, il metodo e se rende disponibile l’esperienza dell’azienda precedente a quelle future in modo da apportare un processo migliorativo continuo e la creazione di una vera e propria community dell’innovazione.