Valorizzare il patrimonio culturale e sostenere le industrie creative, elaborando un pacchetto di indicazioni, spunti e suggerimenti da mettere a disposizione delle istituzioni e di quanti operano nel settore. È questa la missione del Ravello Lab, promosso da Federculture e dal Centro universitario europeo per i Beni culturali, che da tredici anni dà appuntamento in autunno a un qualificato gruppo di esperti per discutere i problemi del settore.
La prossima edizione si terrà dal 24 al 26 ottobre e ospiterà due panel: il primo dedicato agli “Strumenti e metodi di Partenariato Pubblico-Privato per la valorizzazione delle risorse culturali”, il secondo incentrato sulla “Valutazione delle performance economiche e sociali dell’offerta culturale”.
Nel frattempo il 19 settembre sono state presentate a Roma, presso la sede di Confindustria, le raccomandazioni elaborate al termine dell’edizione 2018 del Ravello Lab. In quel caso i temi al centro della riflessione erano stati “Audience engagement, audience development: la partecipazione dei cittadini alla cultura” e “L’impatto economico e sociale dell’Impresa culturale”.
Con Claudio Bocci, direttore di Federculture, abbiamo approfondito qualche aspetto.
Un primo punto che è emerso è la necessità di nuovi strumenti per analizzare la domanda culturale. Qual è la situazione di partenza?
Dai dati che abbiamo a disposizione ci siamo fatti l’idea che a frequentare i luoghi di cultura siano sempre le stesse persone. I dati elaborati dall’Istat sono giocoforza generalisti perché i siti culturali fanno fatica al loro interno a raccogliere informazioni sul loro pubblico. A nostro avviso sarebbe invece interessante studiare i profili di coloro che visitano per esempio un museo per cominciare a lavorare sui diversi pubblici.
Perché non succede?
Da noi non c’è ancora una cultura della valutazione. È un processo complicato e costoso, che richiede anche competenze specifiche rispetto a quelle orientate alla conservazione e al restauro, da noi più diffuse. Eppure è un passaggio fondamentale per accrescere la partecipazione culturale dei cittadini, un diritto vero e proprio sancito dalla Convenzione di Faro che auspichiamo il nuovo Parlamento ratifichi al più presto.
Fra le raccomandazioni si legge l’invito a incentivare l’azione coordinata tra pubblico e privato. Cosa vuole dire in concreto? Ci fa qualche esempio di collaborazione virtuosa?
Il tema è quello della gestione culturale, che deve essere più innovativa e diremmo market oriented. Come le dicevo prima non esiste un solo pubblico, c’è il cittadino, c’è il turista, e così via. Il partenariato a nostro avviso deve partire dal soggetto pubblico che individua tramite il modello gestionale una visione di sviluppo attraverso la cultura, introducendo elementi di performance a metà tra economico e sociale.
Un esempio positivo è il Museo egizio di Torino inquadrato giuridicamente come Fondazione, nel quale oltre alla Regione Piemonte e al Comune sono confluite anche fondazioni bancarie. Segno che diversi livelli istituzionali sono stati capaci di promuovere un modello organizzativo in grado di attrarre i privati.
Misurare l’impatto sociale dell’impresa culturale è un altro obiettivo che come Ravello Lab avete posto. Come si fa?
Costruire le nuove metriche è senz’altro complicato. Ciò include anche la revisione dei codici Ateco per consentire all’impresa culturale e creativa da poco introdotta di funzionare appieno. Ci stiamo lavorando insieme al sistema delle Camere di Commercio, ma naturalmente occorre una visione politica che voglia imprimere una gestione innovativa al tutto. Al prossimo Ravello Lab parleremo anche di questo.