“Per il futuro guardiamo con attenzione a ulteriori diversificazioni e integrazioni, con complesse sfide tecniche e tecnologiche, che ci sono di stimolo. Siamo anche ben attenti alle innovazioni dell’organizzazione, che abbiamo attuato più volte in passato. Personalmente, poi, ho sempre creduto fermamente nell’impegno associativo e verso le organizzazioni internazionali, tanto da avere l’onore – e onere – di diventare, primo esponente del settore privato, presidente del Consiglio dell’Organizzazione Internazionale del Caffè per il biennio 2022-2023”.
A parlare è Massimiliano Fabian (nella foto in alto), presidente e Ad di Demus, impresa specializzata nella lavorazione del caffè e da lungo tempo attiva nei mercati africani. Ci siamo fatti raccontare la sua esperienza in questi paesi. Ma prima facciamo un passo indietro per conoscere meglio l’azienda. “Demus nasce nel 1962 a Trieste, primo porto del Mediterraneo per il caffè, come joint venture della mia famiglia assieme alla multinazionale svizzera Coffex, con sede a Sciaffusa, nel paese elvetico – racconta Fabian –. Nel 1981 mio nonno, Fulvio Mustachi, ne acquista la totalità, quando il resto della multinazionale viene ceduto al colosso tedesco Jacobs Souchard. Nel 1991 mio nonno purtroppo muore e io prendo le redini dell’azienda”.
Come è cambiata Demus sotto la sua guida?
L’evoluzione negli anni è stata importante, sia in termini quantitativi che qualitativi, e si è basata soprattutto sulla ricerca e sull’innovazione, partendo da una buona base d’industria chimica alimentare a medio-alta tecnologia. Numerosi sono stati i brevetti portati a mercato, così come le nuove tecnologie implementate internamente con continuità. Da anni siamo iscritti all’apposito registro nazionale delle (piccole) imprese (industriali) innovative.
Fra le tappe più significative citerei lo sviluppo del laboratorio con relativo accreditamento nel 2005, che ha poi inglobato la parte di analisi genetiche, l’implementazione industriale della decaffeinizzazione ad acqua nel 2015 e l’allargamento del plesso produttivo, grazie all’acquisizione di un vicino, nel 2022.
Come siete strutturati?
Attualmente abbiamo poco meno di 30 dipendenti e il nostro fatturato annuo si avvicina ai 9 milioni di euro. Essendo poi una Pmi innovativa, abbiamo una buona percentuale di personale ben qualificato, di cui per fortuna la nostra area è ancora discretamente ricca.
Essendo poi anche un’azienda gasivora e ad alto consumo di elettricità, abbiamo affrontato una dura sfida durante la recente crisi energetica, che ci ha portati a rivedere la nostra politica di vendita e, al contempo, a ripensare i nostri processi. Alla fine, il rischio si è rivelato anche un’opportunità di miglioramento di estrema rilevanza.
Passiamo al vostro rapporto con i paesi africani, ad oggi tra i principali produttori di caffè al mondo. Qual è il vostro rapporto e quali mercati rappresentano le vostre principali aree di interesse?
L’Africa è il continente con maggiore potenzialità di crescita produttiva per il caffè verde ed è dove il caffe è nato: infatti, la varietà genetica che si trova in particolare in Etiopia è unica nel suo genere. Inoltre, ci sono alcuni paesi, come ad esempio l’Uganda, che stanno affermandosi sempre più come produttori di assoluto rilievo.
Personalmente, però, auspico che tutto il continente sappia prendere spunto da chi ha una produttività e qualità elevate e sappia anche affrontare le sfide del cambiamento climatico, della crescita urbana e di tutti gli aspetti della sostenibilità: economica, sociale e, appunto, ambientale. Se così fosse, potrebbe essere l’elemento chiave per contribuire in maniera determinante a soddisfare la crescente domanda mondiale di caffè.
Guardando invece alle nostre vendite, devo dire che tutto il bacino del Mediterraneo è per noi un mercato di sbocco attuale ma, ancor più, dalle interessanti potenzialità. Nel complesso, definirei, quindi, il nostro un rapporto di lunga durata e con buone prospettive future. Tra l’altro, dal 2001 sono console onorario del Camerun per il Friuli Venezia Giulia, a riprova della mia storica vicinanza, pure personale.
Quali sfide ha dovuto affrontare operando sui mercati africani?
A livello di sfide, relazionarsi con i paesi africani è talvolta complicato, soprattutto a livello finanziario e burocratico. Le opportunità, tuttavia, sono numerose, sia lato acquisti che lato vendite, queste ultime in particolare in Africa Settentrionale e Medio Oriente. Sono comunque fiducioso che tutta l’area possa divenire sempre più vivace dal punto di vista economico e quindi accrescere la domanda.
In Africa vi è poi un problema infrastrutturale, che impatta sulla logistica delle persone e delle merci. Ci sono stati passi avanti ma – per usare una metafora che suona divertente in questo contesto – la strada da percorrere è ancora lunga.
Parliamo adesso del rapporto tra sostenibilità e industria del caffè. Quali misure avete adottato per garantire la tutela dell’ambiente?
Demus è certificata ISO 14001, per il sistema di gestione ambientale, e ISO 50001, per la gestione dell’efficienza energetica: il tutto perseguendo un obiettivo di “qualità totale” ancora più ampio, che ricomprende altre otto certificazioni, prevalentemente in ambito di sostenibilità.
Volendo citarle tutte, sono la ISO 9001 per il sistema di gestione della qualità, la FSSC 22000 per la sicurezza alimentare, la ISO 45001 per il sistema di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro, la ISO 17025 ACCREDIA ILAC per le analisi di laboratorio, la Rainforest Alliance per la conservazione della biodiveristà e la garanzia di condizioni di vita sostenibili, trasformando le pratiche di uso del suolo, commerciali e il comportamento dei consumatori, quella Kosher per la religione ebraica e Halal per la religione islamica e, infine, quella biologica.
Il settore caffeicolo sta sempre più lavorando per impattare virtuosamente sulla sostenibilità di tutta la filiera, dal chicco alla tazzina.
Quali sono i vostri obiettivi a lungo termine?
Sviluppare sempre più le nostre relazioni in entrambi i sensi, sia come fornitori, di caffè verde in particolare, sia come clienti dei nostri prodotti e servizi.
Cosa direste ad un’azienda che vuole internazionalizzarsi sui mercati africani?
Suggerirei di approfondire con attenzione il singolo paese con il quale ci si rapporta, focalizzandosi sulle sue peculiarità. Confindustria Assafrica & Mediterraneo ci è stata di aiuto grazie al suo network, ai rapporti istituzionali che le sono propri e che includono, ad esempio, anche quelli con istituzioni finanziarie, che è bene conoscere prima di addentrarsi in quelle splendide zone.
(Prossima uscita l’8 dicembre)
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