Quanto pesa un bicchiere pieno d’acqua? Poco, pochissimo. E se si dovesse tenere in mano per un’intera giornata? Beh, allora il discorso cambia e alla fine ci troveremmo con il braccio paralizzato per la fatica. Nel suo primo libro In viaggio con il tuo talento – La formula per liberare ciò che ti rende straordinario, edito da Franco Angeli, Antonio Fazzari ricorre a questo esempio per spiegare il potere “distruttivo” delle convinzioni limitanti, pensieri ricorrenti nel vissuto di qualsiasi persona e apparentemente innocui, che tuttavia impediscono di intraprendere un cambiamento, seppure desiderato a parole: dal mettersi a dieta al cambiare lavoro, dallo studiare una lingua al praticare uno sport, gli esempi sono infiniti.
Fazzari, che di mestiere fa il generale manager alla Fater, joint venture fra la multinazionale Procter&Gamble e il Gruppo Angelini attiva nel settore dei prodotti assorbenti per la persona e nei prodotti per la pulizia dei tessuti e della casa, ha provato a mettere nero su bianco un metodo per aiutare le persone a tirare fuori il meglio di sé, forte anche di una lunga esperienza come formatore. Un libro, dunque, destinato “a chi è interessato a un cambiamento personale o professionale”, spiega l’autore, “nel quale sono presenti molti spunti pratici”. Il tutto accompagnato da otto interventi di manager di successo che Fazzari ha incontrato nel suo percorso professionale e che sono stati fondamentali nella sua crescita.
Qual è lo scoglio più duro da superare?
L’inerzia, ovvero l’abitudine a procedere secondo la strada già tracciata. Tutti noi siamo il frutto di scelte pregresse che ci hanno condotto a un certo punto della nostra vita. Riconsiderare questa condizione è difficile ma possibile, partendo, ad esempio, dall’identificare quelle convinzioni su noi stessi che si sono stratificare nel tempo – “non sono una persona creativa” oppure “non so comunicare” – e dall’avere il coraggio di ridiscuterle. Io stesso non avrei mai pensato di scrivere un libro, a scuola detestavo fare i temi, poi ho capito che era una mia autoconvinzione. Ecco, con questo lavoro vorrei instillare la convinzione che certe cose si possono cambiare.
Una volta capito, bisogna iniziare…
Esatto. Nel libro teorizzo che diversi aspetti concorrono a creare il cambiamento: il talento, la visione, l’emozione e la perseveranza. A mio avviso, però, quest’ultima vale doppio. Tutti noi abbiamo un talento, ma ciò che fa la differenza è la capacità di rialzarsi e mantenere la direzione. La perseveranza è come un muscolo: va allenata.
Tipicamente cosa accade?
Che si sposta nel tempo il momento di cominciare. Rinviare il cambiamento al futuro, perché prima c’è sempre una scadenza più importante, è una classica tecnica di auto-sabotaggio. E ancora più pericolosa è la tentazione di rinviare il momento di cambiare al passato dicendo “ormai è troppo tardi per iniziare”. Si tratta di un comprensibile e biologico meccanismo di autodifesa verso il nuovo. Qualcosa legato all’istinto di sopravvivenza che nella storia dell’evoluzione della specie umana ha garantito la nostra sopravvivenza. Quindi un istinto naturale che basta riconoscere e riprogrammare.
Nel libro infrange il mito del multitasking. È molto diffuso?
È diffuso e celebrato. Molti, anzi, si sentono fieri di praticarlo. Il fatto è che il nostro cervello non è programmato per lavorare allo stesso tempo su più cose, è scientificamente dimostrato. Nel libro cito diverse ricerche di neuroscienza che dimostrano come il saltare da un compito all’altro provochi grandi cadute di efficienza nel nostro cervello. Ecco perché credo che sia necessario fare un “patto sociale”, anche in azienda, in virtù del quale devono esserci spazi di autonomia e silenzio per consentire alle persone di immergersi veramente in un’attività chiave.
Non la fa un po’ troppo facile? Quando propone questo metodo cosa le dicono?
La prima reazione è sempre la stessa: è bello teoricamente ma nella pratica non funziona così. Attenzione, però. Anche questa è una tecnica di auto-sabotaggio perché per evitare di cambiare estremizziamo i comportamenti pensando che debbano essere applicati a tutto. È lo scetticismo tipico di chi ha paura di cambiare. Faccio un esempio: se in una riunione tutti guardano il proprio smartphone mentre una persona sta parlando, questa avrà la sensazione di non essere ascoltata. Posare lo smartphone è un cambiamento possibile.
A un certo punto del libro parla di empatia e affronta proprio il tema dell’ascolto. Un esercizio di umiltà che appare distante anni luce dalla continua promozione di noi stessi alla quale siamo spinti, complici anche i social media. Cosa ne pensa?
In generale sono ottimista. Quando sono entrato in azienda, ormai più di vent’anni fa, vigeva un modello di leadership piuttosto machista e presenzialista. Oggi vedo affermarsi tutt’altro modello. Ad esempio, quando nei giorni scorsi è scomparso il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, si è parlato di lui come di un leader gentile. Ecco, l’ascolto è senza dubbio la prima forma di gentilezza verso l’altro. I leader di oggi che parlano alle nuove generazioni sono leader che sanno ascoltare e spesso hanno anche un sorriso di autoironia.
D’altra parte, la sua carriera è cominciata proprio con una frase che un’impiegata dell’ufficio Media prossima alla pensione le disse: “Bisogna crederci, ma con ironia”.
Proprio così ed è diventato un mantra personale. L’ironia è uno strumento di mediazione, tanto più prezioso quanto più i problemi si fanno complicati. È in queste occasioni, infatti, che apprezzi la capacità del tuo interlocutore di non prendersi troppo sul serio.
Non è che in generale il concetto di leadership venga troppo enfatizzato? In una squadra di calcio, per fare un paragone, non possono essere tutti attaccanti. Servono anche difensori…
Il punto sta nell’intendersi sulla definizione di leader. Secondo me il leader non è il capo o l’attaccante, ma colui che genera in un’altra persona un desiderio autentico di cambiamento. In questo senso, credo che ci sia spazio per un modello di leadership diffusa, che non diventa autoaffermazione o celebrazione del ruolo bensì capacità di “risuonare” nell’altro. Come accade in un’orchestra.
Le nuove generazioni vogliono questo?
C’è una forte richiesta di autenticità e ascolto. Nei corsi che tengo all’università (Fazzari collabora con gli atenei Lumsa e Luiss di Roma, ndr) i ragazzi fanno tantissime domande su temi di grande importanza, dall’ambiente alla parità di genere. È difficile fare paragoni con la nostra generazione, occorre leggere le cose nel loro contesto storico, ma credo che le nuove generazioni siano più coraggiose e altruiste. E questo mi infonde grande ottimismo per il futuro.
I colloqui di lavoro per esempio sono cambiati. I ragazzi chiedono come possono essere utili alla comunità, all’ambiente. E più la persona è di talento, più lo screening non è banale e il colloquio diventa un confronto. Oggi, inoltre, il peso del lavoro all’interno della propria vita è cambiato rispetto a ieri e, se si hanno capacità, si vuole esprimerle anche in altri ambiti.
Tornerà alla scrittura?
Credo di sì. Un libro lo fai perché “ti scappa”. Con In viaggio con il tuo talento avevo bisogno di cristallizzare quello che avevo imparato in tanti anni di coaching e renderlo fruibile alle persone. Penso a un secondo libro sulle “distorsioni della vita aziendale”, uno strumento per capire come l’azienda funziona e come potrebbe cambiare in meglio. Insomma, vorrei mettere a disposizione quello che ho imparato dopo 25 anni di lavoro.
NOTA SUL VOLUME:
Acquistando il libro, il ricavato dei diritti d’autore sarà totalmente devoluto all’organizzazione Susan G. Komen Italia, che organizza la più grande manifestazione per la lotta ai tumori al seno Race for Cure.