Il recente lockdown ha risvegliato un grande interesse per il lavoro virtuale e termini come smart working e lavoro agile sono diventati fra i più usati (a volte abusati). In pochissimo tempo gli uffici si sono trasformati in gruppi di lavoro virtuali.
È bizzarro pensare che questi nuovi modelli di lavoro, che si basano sulla flessibilità e sulla libertà, siano diventati centrali in un momento storico di ferree restrizioni. Se pensiamo che la virtualizzazione possa essere un virtuoso trend per il futuro e non una semplice moda manageriale “tirata” da aspetti contingenti, se crediamo che questa nuova modalità di lavoro possa essere elemento centrale per definire un vero New Normal, è fondamentale che i virtual team siano in grado di “portare risultati”, non sono economici.
Un virtual team è “un gruppo di persone che interagiscono tra loro al fine di conseguire un obiettivo comune, ma sono distanti fisicamente, temporalmente o organizzativamente e sono collegati grazie all’uso di un’interfaccia tecnologica” (Martone e Ramponi, 2021).
Un leader virtuale (alla guida di un virtual team) deve gestire le distanze supportando la creazione di relazioni, facilitando la socializzazione, fornendo un supporto personalizzato ai singoli membri, ma deve anche essere in grado di monitorare puntualmente lo stato di avanzamento del lavoro del gruppo e il raggiungimento degli obiettivi, anche definendo processi e regole stringenti. Questa è “leadership strabica” (ma si tratta di strabismo di Venere), in quanto sa mantenere assieme elementi apparentemente contrapposti o leadership RAMP (Relation, Accountability, Motivation and Process) in quanto pone grande attenzione a relazioni, responsabilità, motivazione e processi.
Oltre la leadership, vi sono altri elementi che sostengono la performance dei virtual team, alcuni sono orientati alle attività e ai risultati, altri a preservare le dinamiche socio-emozionali. Nella prima categoria rientrano il lavorare per obiettivi, la definizione di processi di regole e la comunicazione. Nella seconda, invece, rientrano la coesione, la fiducia e lo human touch.
Lavorare per obiettivi in un ambiente virtuale, è must in quanto, inevitabilmente sarebbe troppo oneroso e complesso controllare il “come” vengono svolte le attività. Occorre, quindi, indicare e poi monitorare i risultati, lasciando maggiore libertà nello svolgimento delle attività, grazie a sistemi di gestione molto più agili ed orientati ai risultati di business e ad una forte responsabilizzazione dei membri dei gruppi di lavoro (accountability).
Altro pilastro della performance dei virtual team è la comunicazione. Dal momento che è mediata dalla tecnologia, la comunicazione virtuale è, mediamente, meno efficace ed efficiente di quella in presenza. Alla luce di ciò, necessita di protocolli e target ben definiti per poter sfruttare i punti di forza di ogni mezzo di comunicazione. In un ambiente virtuale bisogna utilizzare una comunicazione essenziale, chiara e semplice e non commettere l’errore di far proliferare la comunicazione “molti a molti”: essa genera “infodemia” e ciò produce incertezza che, a sua volta, impatta negativamente sulle performance del gruppo.
Gli individui, i gruppi e la società non solo necessitano di regole ma le ricercano. I gruppi virtuali enfatizzano anche questo aspetto: devono darsi rigide regole di funzionamento (sociali e operative) per preservare contemporaneamente la performance del gruppo e la libertà individuale. Le regole passano anche dai processi che devono essere ben definiti e formalizzati: se per i membri di un team virtuale le occasioni di interazione sono limitate, è bene che ognuno sappia cosa deve fare, come farlo e, soprattutto, quali risultati ci si aspetta.
Per non incidere negativamente sulla performance e per evitare una deriva burocratica, i processi e le procedure devono essere ben definiti e ben comunicati ma anche semplici e snelli per poter essere applicati anche in autonomia. Necessitano anche di strumenti di coordinamento efficaci per far operare al meglio persone distanti.
Guardando all’ambito socio-emotivo, le performance dei virtual team sono sostenute dalla capacità di favorire la coesione sociale del gruppo (che difficilmente sarà pari a quella di un gruppo tradizionale): serve investire tempo, attenzione e risorse affinché le persone si sentano parte del gruppo anche se distanti.
Un altro elemento cardine è la fiducia: è sicuramente più complesso fidarsi di una persona senza poterla incontrare dal vivo. Per favorire la creazione di un clima di fiducia in un gruppo virtuale è bene esplicitare le competenze tecniche dei membri del gruppo (che se non riconosciute portano le persone a diffidare l’una dell’altra) e superare le differenze culturali (che generano incomprensioni), valorizzando le peculiarità di ogni singolo membro del gruppo.
Un ultimo aspetto da presidiare è l’umanizzazione delle relazioni (human touch) in quanto la mediazione da parte delle tecnologie porta a dover rinunciare alle componenti istintive del rapporto che si attivano quando vi sono gli incontri dal vivo. Serve creare un’atmosfera “emotivamente calda” anche attraverso momenti ed attività progettati ad hoc: occorre fare consciamente ciò che “dal vivo” accade inconsciamente.
In molti pensano che la tecnologia sia il fattore abilitante più critico per la virtualizzazione del lavoro. Non è così: sicuramente la parte infrastrutturale (rete, connessione) è indispensabile, ma più come acceleratore degli elementi sino ad ora ad analizzati, che come fattore in sé.
La virtualizzazione del lavoro è una sfida manageriale che richiede un forte cambio culturale; se vogliamo vincerla dovremmo ricercare un delicato equilibrio fra libertà e regole, passato e futuro, tradizione ed innovazione: in una parola uno stile di “management strabico”.
NOTA SUGLI AUTORI
Andrea Martone è professore associato di Organizzazione aziendale presso l’Università LIUC Carlo Cattaneo, direttore del centro di competenze “Strategic management & Family Business” e director Research and Studies presso la von Rundstedt, in Svizzera.
Massimo Ramponi è docente universitario, consulente e fondatore di KIP Consulting. Svolge attività di formazione, consulenza e temporary management in ambito HR e project management per supportare le aziende a diventare “a prova di futuro”, mettendo al centro il valore del capitale umano.
Insieme sono autori del libro Virtual Team – Nuove sfide manageriali fra libertà e regole, FrancoAngeli Edizioni, pp. 156 € 21.