IL RAPPORTO DI CONFINDUSTRIA SULLA FILIERA DELLA SALUTE METTE IN
LUCE IL VALORE DELL’INDUSTRIA DELLA SANITÀ. PARLA ROSARIO BIFULCO,
PRESIDENTE DEL GRUPPO TECNICO SCIENZE DELLA VITA
Possiamo essere soddisfatti del sistema della salute italiano?
Si può guardare alla filiera della salute sotto due punti di vista: come cittadini e come imprese, cioè come consumatori o produttori. In entrambi i casi, l’eccellenza del settore è motivo di orgoglio poiché la filiera, nel suo complesso, costituisce uno dei principali motori dell’economia e dello sviluppo del Paese. Come cittadini e come imprenditori possiamo essere soddisfatti di vivere in un Paese in cui la sanità continua a essere un ambito ad alta concentrazione di innovazione, con diretti benefici sulla salute e sulla qualità della vita.
Sanità vuol dire, inoltre, leadership nelle terapie d’avanguardia e network di eccellenze, grazie ad una collaborazione che vede coinvolti il mondo accademico, i centri di ricerca, le startup e le imprese. Anche da questo punto di vista, ci sono numerosi motivi di soddisfazione. Infine, c’è un ultimo aspetto di cui essere soddisfatti, quello associativo: Confindustria e le sue associazioni sono davvero il cardine di tale sistema. L’esperienza ci conferma che moltiplicano la loro forza se lavorano insieme.
Pubblico e privato convivono in modo proficuo?
Non possiamo limitare il dibattito sulla sanità alla sola accezione di “spesa pubblica”, da misurare e contenere in relazione all’andamento demografico. Serve un diverso approccio che tenga conto dei risultati complessivi delle prestazioni in termini di salute e benefici socio-economici. La domanda di salute in crescita e una spesa statale che è rimasta costante negli ultimi dieci anni hanno generato squilibri e fatto lievitare la spesa privata dei cittadini, che ormai ha toccato i 50 miliardi per servizi e prestazioni non coperte dal servizio pubblico. Una spesa sempre più rilevante che viene intermediata solo per il dieci per cento da sistemi organizzati, quali assicurazioni o fondi. Come Confindustria immaginiamo un modello in cui questa collaborazione pubblico-privato sia rafforzata, attraverso il cosiddetto “secondo pilastro”, ottenendo in tal modo maggiore equità e facendo contribuire in misura maggiore chi ha la possibilità di farlo. È l’idea in fondo che sta dietro alle proposte che abbiamo avanzato alle Assise di Verona.
Molte aziende si sono già attivate con strumenti di welfare aziendale finalizzati a sostenere i propri dipendenti, e spesso le loro famiglie, nel ricorso alle cure sanitarie di cui
hanno bisogno. Credo però che, intervenendo ad esempio con una defiscalizzazione dei fondi negoziali dal lato delle imprese, potremmo diffondere maggiormente queste
pratiche con benefici, più o meno diretti, per tutti i cittadini.
Possiamo fare di più per far crescere la filiera?
Vista la delicatezza del tema e la cultura anti industriale che permane ancora nel nostro Paese, parlare di sviluppo della filiera della salute richiede sensibilità e consapevolezza delle importanti esternalità positive che ne derivano. Le prestazioni sanitarie, se riconosciamo i risparmi che possono derivare dall’uso appropriato delle terapie, diventano investimenti e non costi.
Serve però una strategia nazionale di lungo periodo, soprattutto per quanto concerne l’innovazione, superando la frammentazione nella ricerca e promuovendo la crescita
degli investimenti e dei processi di nuova imprenditoria. In prospettiva, anche sul versante dell’assetto di governance e ferme restando le competenze regionali in materia, si potrebbe fare di più per assicurare un quadro di riferimento quanto più possibile omogeneo.
A causa di un apparato legislativo frammentato, le imprese devono, infatti, confrontarsi con sistemi di regolazione diversi, oltre che con un quadro giuridico di riferimento
instabile e non sempre chiaro. Una maggiore chiarezza, necessaria per le imprese, andrebbe inoltre a beneficio dei cittadini italiani, che devono poter avere la garanzia di un accesso alle cure uniforme e d’eccellenza in tutto il Paese.