
Per garantire il ricambio generazionale, ciascuna donna nel corso della propria vita dovrebbe avere in media 2 figli. In Italia, nel 2020, di figli le donne ne hanno avuti 1,24. E non si tratta solo dell’effetto negativo sulle nascite dovuto alla pandemia di Covid-19.
Dalla seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso, la fecondità italiana è scesa sotto ai 2 figli per donna e da lì ha continuato a calare fino ad assestarsi negli anni Novanta ai livelli più bassi della fecondità europea e mondiale: nel 1995 abbiamo toccato il minimo storico di 1,19 figli per donna. Da lì, salvo una breve e limitata risalita nei primi anni Duemila, la fecondità non si è più ripresa e, anzi, continua a soffrire delle crisi economiche (e non solo) che negli ultimi 15 anni si stanno abbattendo sul nostro Paese e sulle giovani generazioni.
Tra le cause si annovera il senso di incertezza crescente dovuto alla globalizzazione dei mercati, alle recessioni, alle debolezze del mercato del lavoro specie giovanile e femminile, e, non da ultimo, alla pandemia di Covid-19 e in prospettiva, probabilmente, alla guerra tornata oggi in Europa: sotto tali condizioni, un figlio è percepito come un rischio e una responsabilità che non ci si può permettere.
Eppure, accanto a questo senso di incertezza che rende difficile la decisione di mettere al mondo dei figli, altri fattori di natura culturale potrebbero operare nella medesima direzione, verso cioè una riduzione della fecondità.
L’ipotesi è che, dopo decenni in cui di figli se ne sono fatti molto pochi, avere un (altro) figlio potrebbe non essere più una (o la) priorità nella vita di molti giovani e meno giovani, perché non avere figli o averne solo uno è diventato la normalità. Questo spiegherebbe almeno in parte l’elevata incidenza del numero di coppie con un solo figlio e l’incremento della quota di donne che, arrivando al termine della vita riproduttiva senza figli, dichiarano di non averne mai desiderati: sono le così dette “childfree”, ovvero quelle donne che decidono di non avere figli, contrapponendosi a quelle che non hanno figli seppur li desiderino.
I DATI DEL RAPPORTO GIOVANI DELL’ISTITUTO TONIOLO
L’ipotesi della normalizzazione dei comportamenti di bassa fecondità (non avere figli o averne solo uno) è supportata anche da alcune evidenze empiriche che, seppur solo di natura descrittiva, suggeriscono l’utilità di ulteriori studi in tal senso.
Utilizzando i dati del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, raccolti attraverso un’indagine condotta a novembre 2020 su un campione di 7mila giovani italiani di età compresa fra i 18 e i 34 anni, è stato possibile descrivere gli atteggiamenti delle donne nei confronti della maternità, e in particolare il loro grado di motivazione ad avere figli: nello specifico è stato loro chiesto se avere un certo numero di figli (da 0 a 3+) fosse una condizione essenziale per sentirsi realizzate nella vita.
In particolare, se consideriamo le donne di 30-34 anni (coloro cioè che si trovano a dover fare i conti con un tempo più limitato davanti a sé per realizzare eventuali progetti di fecondità) possiamo constatare che, tra le donne senza figli, il 50% di queste non desidera (20%) o non è motivata (30%) ad avere un figlio; fra quelle con un figlio, il 60% non desidera (10%) o non è motivata (50%) ad avere un secondo figlio. Si tratta di cifre importanti se si considera che la percentuale di donne senza figli in quella fascia d’età si aggira intorno al 70%, mentre del rimanente 30% oltre la metà ha un solo figlio.
La bassa motivazione ad avere (altri) figli, anche fra coloro che affermano di desiderarne, sembra essere associata a un maggior investimento di queste donne in altri aspetti della propria realizzazione personale, soprattutto di carattere lavorativo. Sono donne, infatti, che più spesso sono ancora inserite all’interno di un percorso di formazione, mentre quelle che lavorano dichiarano di avere redditi in media più elevati di coloro che aspirano a diventare (nuovamente) madri.
I MOTIVI DEL NO ALLA MATERNITÀ
Alle donne è stata chiesta anche la ragione per cui non desiderano avere figli al momento. L’incertezza percepita legata alla propria condizione economica e reddituale e le prospettive incerte sul proprio futuro sono tra le ragioni maggiormente dichiarate dalle donne poco motivate ad avere (altri) figli.
Almeno per loro, quindi, è possibile ipotizzare come, accanto a ostacoli istituzionali e congiunturali che rendono la decisione di avere un figlio altamente rischiosa in termini di reddito, lavoro e prospettive future, vi sia anche una componente culturale che legittima la condizione di chi non vede la genitorialità come un aspetto particolarmente rilevante per la propria realizzazione personale.
Possiamo immaginare queste donne come molto impegnate sul fronte della realizzazione in campo lavorativo, magari anche desiderose di diventare (ancora) madri, ma sicuramente non propense – almeno al momento – a sacrificare la propria carriera per avere (altri) figli.
VERSO UNA NUOVA NORMALITÀ?
Proprio perché le donne poco motivate ad avere un (altro) figlio sono un gruppo molto consistente fra chi ha appena varcato la soglia dei trent’anni, età in cui però si concretizzano la maggior parte delle nascite, in prospettiva le loro possibili mancate decisioni di fecondità potrebbero far compiere alla società un ulteriore passo verso l’accettazione di una nuova normalità senza o con pochi figli. O, al contrario, potrebbero invertire la rotta della fecondità italiana se sospinte da politiche integrate efficaci (per la famiglia e la conciliazione, ma anche per il lavoro e il contrasto alla povertà) che rimuovessero quegli ostacoli che ancora rendono la scelta di avere figli inconciliabile con le altre opportunità della vita.
Sintesi dell’articolo pubblicato su RPE – Dicembre 2021. Per scaricare il capitolo integrale cliccare qui
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Nota sull’autrice

FRANCESCA LUPPI
Francesca Luppi è ricercatrice in demografia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Collabora con l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo alla realizzazione delle indagini del Rapporto Giovani.
Precedentemente ha ottenuto un dottorato in scienze politiche e sociali presso l’Universitat Pompeu Fabra (Spagna). I suoi attuali temi di ricerca sono la fecondità, le politiche per la famiglia, il benessere soggettivo e la transizione alla vita adulta.