L’Unione Industriali Napoli celebra un secolo di storia con un evento che guarda al futuro. Perché questa scelta?
Insieme con Confindustria nazionale abbiamo organizzato un programma articolato di appuntamenti nel corso del quale saranno approfonditi vari temi in più tappe, ma con una vision unica: vogliamo porre le basi per le strategie future dell’Unione.
Napoli, tra potenzialità e criticità, è sempre stata motore dell’innovazione nel Sud: celebrare i cento anni dell’associazione significa anche interrogarsi sul modo in cui la città può rilanciare questa spinta propulsiva trasformando sé stessa, riconvertendo aree dismesse in poli produttivi, di promozione dell’industria della cultura e del turismo, di ricerca e innovazione, di attrazione di risorse economiche, umane e imprenditoriali.
Significa comprendere quali investimenti possano essere funzionali al modello di sviluppo che la città vuole darsi. Il Centenario punta, quindi, a essere una serie di eventi in cui la città, la sua storia, la sua cultura, il suo ingegno e la sua vision possano identificarsi per ritrovare insieme una centralità perduta di pensiero e azione.
Il territorio napoletano si presenta molto eclettico sotto il profilo industriale. Quali fattori hanno reso possibile lo sviluppo di tradizioni così diverse?
La nostra città ha sempre avuto una grande tradizione nell’impresa.
Napoli e l’industria costituiscono un binomio storico: capitale di un regno fra i più ricchi d’Europa, la città ha primeggiato negli anni per capacità organizzativa e produttiva con le sete di San Leucio, la lavorazione del corallo, gli arsenali di Castellammare con la più grande industria navale del Paese, le officine di Pietrarsa con la prima ferrovia italiana.
Anche dopo l’unificazione, l’intraprendenza imprenditoriale ha portato la città ad affiancare le associazioni del nord nella rappresentanza degli interessi industriali e nella modernizzazione del Paese.
Pur tra luci e ombre, l’impresa trova ancora oggi espressioni di qualità in tanti settori, dall’automotive al packaging, dall’agroalimentare all’elettromeccanica, dall’abbigliamento all’aerospazio e all’armamento, senza dimenticare il valore assoluto dei giacimenti culturali.
Quali momenti hanno segnato un passaggio importante in termini di crescita imprenditoriale?
In un certo senso Napoli ha precorso i tempi della globalizzazione perché capitali e imprenditori di origine straniera hanno concorso per decenni allo sviluppo dell’impresa locale. Queste figure imprenditoriali operavano, tra l’altro, ben prima della legge speciale del 1904 per la rinascita economica della città, che portò alla realizzazione dell’Ilva di Bagnoli e rappresentò il primo provvedimento di politica industriale dello Stato unitario.
All’intervento per la crescita produttiva si affiancarono una profonda trasformazione urbanistica, con grandi opere che cambiarono il volto della città, e i primi investimenti nelle reti infrastrutturali al servizio dello sviluppo industriale. In questo scenario, l’Unione Industriali è sempre stata un punto di riferimento della classe produttiva del territorio, esprimendo figure straordinarie come Maurizio Capuano, Giuseppe Cenzato, Costantino Cutolo (tutti e tre presidenti dell’Unione, ndr) e tanti altri.
Qual è il rapporto tra le imprese napoletane, l’innovazione e l’industria 4.0?
La voglia d’impresa è connaturata alla città, e si rinnova attraverso le generazioni in tanti modi come, ad esempio, le tante startup innovative: siamo quarti in Italia per numero, vantando peraltro il primato nel settore green economy. Presidiamo inoltre, insieme a università e centri di ricerca, anche le tecnologie avanzate, tanto da aver attratto l’attenzione di un gigante come Apple.
A questo proposito si è molto parlato dell’Academy istituita dalla Federico II con Apple per formare sviluppatori di app. Cosa rappresenta per il territorio? Quali sinergie si potrebbero realizzare con il mondo imprenditoriale campano?
Il Polo di San Giovanni a Teduccio, sede dell’Academy, è il sito che un tempo ospitava la Cirio e sorge nell’area est della città, cuore pulsante dell’impresa napoletana fino alla dismissione dell’industria pesante iniziata negli anni Settanta.
È dunque un esempio di effettiva riconversione, icona tangibile di quell’attività di ricerca e innovazione vocata a integrarsi con l’impresa e la digitalizzazione dei suoi processi produttivi. La riconversione dell’area, pur tra tante difficoltà dovute a lentezze burocratiche, è stata avviata da un gruppo qualificato di privati nell’ambito di un costruttivo partenariato con il pubblico.
L’industria ad alto tasso di innovazione tecnologica è una delle opzioni naturali per il futuro dell’area, ma c’è bisogno di un fronte compatto di stakeholder che utilizzi l’innovazione come opportunità per far compiere all’intera zona un salto di qualità in termini di vivibilità sociale e agibilità imprenditoriale.
Dobbiamo promuovere l’innovazione: collaboreremo con l’Università Federico II, anche alla luce del piano nazionale Industria 4.0, per sostenere la competitività delle imprese del territorio e favorire investimenti mirati.
Quale eredità auspica possano lasciare le celebrazioni per il Centenario, non solo a Napoli ma in tutto il Mezzogiorno?
Il Centenario non deve essere pura celebrazione del passato: vogliamo piuttosto che, partendo dalla consapevolezza dello straordinario patrimonio di conoscenze e capacità che il territorio vanta, si possa avviare a Napoli un “laboratorio” di una nuova, più responsabile e lungimirante modalità di pianificazione e creazione di sviluppo, ottimizzando logistica, trasporti e intermodalità, reti energetiche e piattaforme tecnologiche. Il nostro territorio deve essere più vivibile e capace di attrarre investimenti internazionali. L’Unione Industriali Napoli ha indicato da tempo le priorità d’intervento, dal rilancio dell’industria manifatturiera allo sviluppo di turismo e cultura, fino alla rigenerazione urbana di aree dismesse. Serve un programma di rinascita della città, che parta anche dal protagonismo dei singoli imprenditori e delle loro imprese-comunità.
Napoli e il Sud possono crescere solo nell’ambito di un programma di sviluppo complessivo del Paese, di cui sono parte essenziale.
Serve che la classe dirigente abbia una comune visione strategica. Auspichiamo in tal senso un Patto strategico con le istituzioni locali e con il governo centrale e in quest’ambito il partenariato pubblico privato può esprimere il suo grande potenziale.