Nel nostro Paese appena il 18% delle posizioni regolate da un contratto da dirigente sono occupate da donne, una percentuale che negli ultimi dieci anni è cresciuta di appena lo 0,3%, rimanendo quindi sostanzialmente invariata. A ciò si aggiunge il fatto che è proprio nei ruoli manageriali che emergono le maggiori differenze di retribuzione di genere.
Inoltre, l’effetto pandemia ha determinato un rischio di fuoriuscita dal mercato del lavoro di quasi due volte più alto per le donne rispetto alla controparte maschile, anche a causa della difficoltà di conciliare i carichi lavorativi e familiari.
È quanto emerge dal terzo Rapporto dell’Osservatorio mercato del lavoro e competenze manageriali “Nuovi orizzonti manageriali. Donne al timone per la ripresa del Paese”, presentato il 15 dicembre in modalità webinar alla presenza di Elena Bonetti, ministra delle Pari Opportunità e Famiglia e Nunzia Catalfo, ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali (nella foto, da sinistra Fulvio D’Alvia, direttore 4.Manager, Stefano Cuzzilla, presidente Federmanager e 4.Manager, e Maria Cristina Origlia, giornalista de “Il Sole 24 Ore. Collegata in video la ministra Bonetti, ndr).
L’ampio studio sulle politiche di uguaglianza di genere sulla leadership femminile è stato realizzato dall’Osservatorio di 4.Manager, attingendo a fonti diverse:
- i dati messi a disposizione dalla Community Think4WomenManagerNetwork;
- i rapporti periodici sulla situazione del personale maschile e femminile nel biennio 2018-2019 inviati da 1.336 imprese italiane;
- l’analisi degli strumenti di comunicazione digitale di 10mila imprese e l’analisi delle best pratice aziendali di 640 imprese, di cui 500 sono aderenti alla Carta per le Pari Opportunità.
Lo studio propone anche un confronto con l’Europa e analizza gli effetti registrati a seguito della pandemia, la quale sta mettendo in pericolo le conquiste ottenute negli ultimi decenni sulle asimmetrie lavorative di genere.
Tra il 1977 e il 2018 in Italia il tasso di occupazione femminile è aumentato di 16 punti percentuali (dal 33,5% al 49,5%). L’Italia ha progredito verso la parità di genere a un ritmo più sostenuto rispetto a molti Stati membri ma è ancora al 14° posto. Guardando poi al tasso di occupazione equivalente a tempo pieno, troviamo l’Italia all’ultimo posto della graduatoria europea con un punteggio pari a 31, contro il 59 della Svezia e il 41 della media europea.
Lo studio evidenzia inoltre diverse dimensioni legate al gap retributivo relative ad esempio all’impatto della maternità, dove la perdita reddituale delle donne occupate è del 35% nei due anni che seguono il parto e del 10% negli anni successivi, e alla minore presenza femminile nei settori a maggiore remunerazione (tecnologia, ingegneria, finanza, ecc.).
L’Italia ha messo al centro della sua presidenza del G20 il tema dell’empowerment femminile e ora deve assolutamente agganciare gli stanziamenti del NextGenerationEU per colmare il gender gap e dare una spinta decisiva di sviluppo al Paese.
Nell’ottica di fare la propria parte nel fornire strumenti adeguati per favorire una svolta, Federmanager e Confindustria hanno agito con grande lungimiranza inserendo un apposito articolo dedicato alle pari opportunità nell’accordo del luglio 2019 che ha rinnovato il Contratto collettivo nazionale di lavoro dei dirigenti industriali. Una scelta alla base della quale c’è l’invito a riconsiderare l’apporto che la componente femminile della popolazione rivolge allo sviluppo economico e sociale del Paese.
“Dobbiamo tessere una nuova tela, senza disfarla di notte – ha affermato il presidente di Federmanager e 4.Manager Stefano Cuzzilla – e affrontare la questione del gender gap e della leadership femminile molto seriamente, consapevoli che non si tratta di un aspetto marginale ma di una priorità” .
“È dimostrato – ha aggiunto Cuzzilla – che l’equilibrio di genere fa aumentare il fatturato delle aziende e fa crescere il Pil. Le imprese con governance mista, equamente distribuita tra uomini e donne, sono più competitive e reagiscono meglio nei contesti di crisi. Occorre quindi disegnare un orizzonte in cui merito e talento siano gli unici elementi premianti per la carriera e conseguire nuovi assetti manageriali, in cui le donne possano essere protagoniste del rilancio dell’economia e del Paese”.