
L’agenda del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno a Bruxelles, incentrata in particolare su temi di politica estera e geopolitica, ha generato aspettative molto alte, soprattutto in relazione alla prospettiva di un nuovo eventuale percorso di allargamento dell’Unione.
Durante la prima giornata, i 27 Capi di Stato e di governo hanno dato il via libera allo status di paese candidato per l’Ucraina e per la Moldova, che avevano presentato domanda di adesione insieme alla Georgia (cui invece è stato negato tale status) nelle settimane successive all’invasione di Kiev (nella foto in alto la tavola rotonda con il presidente Zelenskyy). In molti vedono in questa scelta una svolta storica, che lancia un messaggio di determinazione sul terreno geopolitico, innanzitutto alla Russia e alle popolazioni colpite da Mosca. Nondimeno, la prospettiva di un concreto allargamento sembra al momento non essere in agenda, a causa dei problemi di governance di un’Unione a 27 che già fatica ad avanzare.
Ci sono questioni politiche irrisolte e problemi pratici di non facile soluzione. Per quanto riguarda le questioni politiche, l’Unione non ha mai chiarito se l’allargamento deve andare di pari passo con l’“approfondimento” del processo di integrazione.
Le modifiche dei Trattati in seguito all’ingresso di uno o più paesi finora non ha determinato un cambio radicale nei processi di governance e dunque nella capacità dell’Ue di divenire più assertiva ed efficace come attore globale, così come non ha determinato un cambio radicale nella determinazione degli equilibri politici interni.
Se l’Ucraina e la Moldova dovessero rapidamente soddisfare in modo effettivo tutte le condizioni per diventare membri dell’Ue, così come per i paesi dei Balcani occidentali la loro candidatura potrebbe comunque rimanere bloccata a tempo indeterminato, perché l’Unione ha bisogno di tempo per concordare (all’unanimità) una nuova ponderazione dei voti in seno al Consiglio e un cambiamento nella composizione del Parlamento europeo.
Dietro a entrambi questi cambiamenti si nascondono calcoli terribilmente complessi, che diventano esponenzialmente più complessi a ogni ciclo di allargamento. L’esperienza insegna che i dibattiti su questi aspetti possono diventare davvero “tossici”, anche perché una nuova ponderazione, avendo un impatto sul funzionamento del sistema finemente calibrato di voto a maggioranza qualificata, rischierebbe di scardinare consuetudini ed equilibri consolidati.
La proposta francese, avallata con riserva di ulteriore esame dai 27 leader, di creare una “comunità politica europea”, ovvero una “zona di influenza europea”, alle frontiere esterne dell’Ue, sebbene – come indicato nelle Conclusioni – non si sostituisca al normale processo di allargamento, cerca di equilibrare la necessità di non frustrare le prospettive europee delle opinioni pubbliche dei Paesi coinvolti e di aumentare e consolidare il soft power europeo nelle relazioni internazionali, con quella di non squadernare l’attuale sistema.
Anche per questo, le Conclusioni non citano in alcun modo la prospettiva di una revisione dei Trattati, come richiesto invece dalla Conferenza sul futuro dell’Europa. E, anzi, il Consiglio ribadisce la necessità di un rispetto dei ruoli e della sua autonomia (oltre che delle sue procedure).
È probabile, insomma, che nonostante la comprensibile retorica sulla prospettiva europea di Kiev, i tempi di discussione e di verifica si allunghino molto, così come già visto per i paesi dei Balcani occidentali che, proprio giovedì, si sono visti negare per l’ennesima volta progressi sostanziali nel processo di integrazione, soprattutto a causa del sostegno della Serbia alla Russia e del veto della Bulgaria sulla Macedonia del Nord. Proprio le recenti posizioni negoziali di Sofia hanno contribuito a condizionare anche il dibattito e le Conclusioni sull’Ucraina, in particolare vanificando le aspettative per un settimo pacchetto di sanzioni contro Mosca.
Piuttosto, i 27 Capi di Stato e di governo hanno deciso di puntare su strumenti di controllo che impediscano in modo più efficace rispetto ad oggi di aggirare i meccanismi sanzionatori.
Tutti d’accordo sull’impegno a fornire ulteriore sostegno militare all’Ucraina, sebbene si sia registrata però una spaccatura su come finanziarlo. Inizialmente, l’ipotesi della Commissione e dell’Alto Rappresentante era un ulteriore ricorso allo Strumento europeo per la Pace (EPS), uno strumento fuori bilancio da circa 6 miliardi di euro fino al 2027.
A maggio la Commissione aveva stanziato 1,5 miliardi dall’EPS per rimborsare gli Stati membri impegnati nel sostegno militare a Kiev, ma la Germania giovedì si è formalmente opposta all’idea di attingere allo Strumento per paura che i fondi si esauriscano presto e che il costo dell’intervento resti poi esclusivamente a carico dei bilanci degli Stati membri.
Per questa ragione, il Consiglio europeo ha chiesto che siano i 27 ministri competenti a trovare forme sostenibili di finanziamento e alla Commissione di consultare partner, organizzazioni ed esperti internazionali in modo da presentare rapidamente proposte operative che possano sostenere l’idea di concedere all’Ucraina una nuova assistenza macrofinanziaria straordinaria per un importo fino a 9 miliardi di euro.
La preoccupazione dominante per tutti i leader è lo scoppio di una crisi alimentare senza precedenti. L’Ue accusa Mosca di bloccare le esportazioni verso i paesi che dipendono dal grano ucraino, mentre Mosca ribalta la filiera delle responsabilità. I 27 leader europei su questo tema hanno pochi margini di azione diretta, per questo nelle Conclusioni il Consiglio europeo ha ribadito, da un lato, il pieno sostegno all’azione delle Nazioni Unite per sbloccare i porti ucraini e, dall’altro, l’invito agli Stati membri e alla Commissione a supportare i paesi in via di sviluppo su iniziative per diversificare le fonti di approvvigionamento e migliorare capacità di produzione di fattori produttivi, in particolare di fertilizzanti sostenibili.
I motivi di preoccupazione dei governi europei riguardano anche l’approvvigionamento energetico. Il razionamento delle forniture di gas deciso a Mosca che coinvolge, oltre a Germania e Italia, un’altra decina di paesi, sembrerebbe propizio per rilanciare un dibattito sulle misure europee per il contenimento dei prezzi dell’energia.
A seguito delle Conclusioni del Vertice straordinario del 30 e 31 maggio, la Commissione avrebbe dovuto esaminare l’ipotesi italiana di introdurre un “price cap” al gas e le Conclusioni avrebbero dovuto menzionare l’argomento; invece, l’inazione della Commissione e le persistenti resistenze politiche di alcuni governi hanno di fatto escluso dai temi oggetto di Conclusioni le questioni energetiche. Giovedì il fronte Italia-Spagna e Grecia ha però costretto i leader ad un dibattito non in agenda, che si è concluso con la richiesta italiana di un vertice straordinario a luglio dedicato all’energia.
La proposta, molto spinta dalla stampa italiana, sebbene abbia ottenuto il sostegno dell’attuale presidenza di turno francese e di quella entrante ceca (che, peraltro, ha aggiunto la richiesta di collegare anche il tema dell’inflazione), è stata sostanzialmente liquidata come irricevibile.
Venerdì 24 giugno, i 27 Capi di Stato e di governo si sono riuniti in formato Euro Summit per approvare le raccomandazioni specifiche per paese presentate dalla Commissione a maggio nell’ambito del Semestre europeo e per uno scambio di opinioni sugli effetti economici della guerra in Ucraina. In particolare, i leader hanno ribadito che, sebbene le incertezze globali stiano rallentando la crescita ed esacerbando le spinte inflazionistiche, l’economia europea resta solida grazie alle azioni intraprese a sia a livello Ue che a livello nazionale sotto coordinamento europeo.
(Per la foto, copyright European Union)