
Nel 2040 secondo le stime Istat riportate dal Censis (2021), i giovani adulti al di sotto dei 35 anni costituiranno il 31% della popolazione italiana e gli anziani di 65 anni e oltre il 32,2% (Fig.1). Un cambiamento demografico di tale portata richiede una risposta da parte della società con misure di sostegno a giovani e famiglie, finora trascurati nella spesa sociale (l’Italia ha una spesa sociale per la famiglia tra le più basse in Europa, il 2% del Pil).
FIGURA 1 – DISTRIBUZIONE PERCENTUALE DI GIOVANI E ANZIANI. ITALIA. 1959-2040
Nel disegnare una strategia di intervento, diventa imperativo sostenere l’occupazione giovanile e femminile, promuovendo l’inserimento stabile dei giovani nel mercato del lavoro (Fig.2) e la riconciliazione lavoro-famiglia (Fig.3). Spesso la mancata acquisizione di un’autonomia economica induce i giovani a ritardare la scelta di avere un figlio, l’Italia detiene il record nell’età media al primo figlio (32,1 anni contro i 30,9 della media EU27 nel 2019).
FIGURA 2 – TASSO DI DISOCCUPAZIONE GIOVANILE E TASSO DI FECONDITÀ TOTALE NELLE REGIONI ITALIANE (2019)
FIGURA 3 – TASSO DI OCCUPAZIONE FEMMINILE E TASSO DI FECONDITÀ TOTALE NELLE REGIONI ITALIANE (2019)
Il ritardo si trasforma in rinuncia al sopraggiungere di crisi, come la recente pandemia, che aggravano il naturale scoraggiamento del modo di guardare alla vita proprio dei giovani italiani, legato alle difficili condizioni imposte dal mercato del lavoro e all’assenza di un assetto istituzionale a loro favorevole.
In presenza di opportunità lavorative le donne che intendono perseguire una carriera professionale e al contempo progettare una famiglia acquistano fiducia sulla possibilità di riconciliare entrambe le carriere e sono più propense a progettare un secondo figlio. Un simile meccanismo è confermato dal dato che mostra come le regioni italiane con i più elevati tassi di occupazione femminile registrino anche il più elevato numero medio di figli per donna, ad eccezione di Calabria, Campania e Sicilia.
In Italia la preferenza per la famiglia con due figli rimane il modello di gran lunga preferito dalle coppie a fronte di una fecondità ben più bassa (le generazioni del 1974, le più giovani per le quali si può stimare il dato, hanno concluso il periodo fecondo con 1,43 figli in media). In siffatte circostanze le politiche di welfare hanno il compito di trasformare in realtà i desideri di fecondità formulati dalle coppie attraverso la rimozione degli ostacoli che ne impediscono la realizzazione, agendo sul versante dell’occupazione, ma prevedendo anche adeguate politiche dell’abitazione, dell’istruzione, della parità di genere. Un simile intervento non è più procrastinabile. Se prolungata nel tempo la bassa fecondità è suscettibile di innescare una spirale foriera di irreversibile ribasso nel numero medio di figli per donna. Evidenze empiriche in questa direzione sono emerse in Europa, in Cina e negli Stati Uniti.
LE MISURE PER SOSTENERE LA SOCIETÀ FUTURA
La modernità può combinarsi con l’avere figli. Contrariamente al passato oggi anche le donne più istruite sono orientate verso la famiglia con due figli, in Italia come in Europa. Strategica è quindi la programmazione di interventi volti a esternalizzare i lavori di accudimento della prole che consentano alle donne di rimanere sul mercato del lavoro anche dopo la nascita di un figlio.
I paesi che hanno avuto più successo nelle politiche a sostegno della famiglia hanno adottato una combinazione di misure (policy packages) tra cui i congedi parentali e i bonus monetari, che hanno avuto un effetto limitato nel tempo e un impatto di portata limitata, l’offerta di sevizi all’infanzia, i quali si sono rivelati di maggior efficacia allorché garantiti in copertura, qualità e quantità, misure di welfare aziendale tese a rendere più flessibile l’orario di lavoro che sarebbero valide soprattutto in un paese come l’Italia in cui l’opzione del part-time è molto rara, e misure volte ad aumentare il coinvolgimento dei padri nei lavori di cura dei figli (congedo di paternità).
Politiche sociali ed economiche che sostengano la natalità italiana attualmente bassissima non sono semplici da attuare perché richiedono un intervento a 360 gradi che sia in grado di influenzare i comportamenti degli italiani. Nel disegnare la sua combinazione di interventi l’Italia può lasciarsi ispirare da alcuni esempi positivi in Europa (gli assegni e le politiche fiscali della Francia, i congedi di paternità dei paesi scandinavi, la diffusione e l’accesso ai servizi all’infanzia della Germania), con una avvertenza: politiche di sostegno alla riproduzione per risultare efficaci devono essere concordate e rimanere in piedi per un lasso di tempo sufficientemente lungo.
Dopotutto i potenziali effetti attesi sul mercato del lavoro sono differiti di circa due/tre decenni. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza dovrebbe quindi essere solo la tappa iniziale di un lungo percorso volto a riequilibrare la demografia italiana. È una sfida da non perdere: l’investimento nelle nuove generazioni, indicato come aspetto chiave per uscire dalla pandemia, rafforza la solidarietà tra le generazioni, motore trainante della crescita economica, come suggerito dall’idea di Next Generation.
Sintesi dell’articolo pubblicato su RPE – Dicembre 2021. Per scaricare il capitolo integrale cliccare qui
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Nota sull’autrice

MARIA RITA TESTA
Maria Rita Testa è professore associato di demografia presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma dal 2020. In precedenza, ha ricoperto incarichi presso l’Istituto di Demografia di Vienna appartenente all’Accademia delle Scienze austriache e l’Università di economia e commercio di Vienna. I suoi principali interessi di ricerca includono famiglia, fecondità e intenzioni riproduttive. I risultati delle sue ricerche sono stati pubblicati su diverse riviste, tra cui Population and Development Review, European Journal of Population, Demographic Research e Population Research and Policy Review e Population and Environment.