di Alan Friedman, giornalista e scrittore
La sostenibilità, necessità etica o opportunità di business? Entrambi, secondo diversi imprenditori e personalità di spicco legate all’industria italiana della moda, con cui ho avuto l’opportunità di dialogare per la seconda edizione di Milano XL. Nelle quattordici brevi interviste che sono state proiettate nel cubo di piazza della Scala, una sorta di manifesto informativo dell’intero progetto, gli intervistati sono stati spinti a rispondere in modo schietto, con l’intento di liberare il concetto di sostenibilità, ambientale e sociale, da quella political correctness che troppo spesso annacqua ogni discussione sull’argomento.
Non se lo è fatto ripetere due volte il fondatore di Eataly, Oscar Farinetti, secondo il quale la sostenibilità sarà un grandissimo affare per il futuro: “Tutte le grandi rivoluzioni imprenditoriali della storia partono da un desiderio di maggior profitto”, afferma Farinetti, per poi aggiungere: “Abbiamo insozzato questo pianeta in maniera tremenda, ora bisogna far diventare profittevole ripulirlo”. Anche la vicepresidente di Confindustria e designer di gioielli, Licia Mattioli, è convinta che la sostenibilità sia in grado di incrementare i profitti delle imprese: “Posso affermare con certezza che è importantissima per l’economia. Innanzitutto perché conviene all’economia. Produrre meglio, con meno spreco di energia, di acqua, e con un utilizzo minore del suolo è più competitivo. Ma soprattutto perché coinvolge le persone in maniera diversa”.
Un altro elemento che ha spinto le aziende a investire maggiormente sulla sostenibilità, rivela Toni Belloni, direttore generale del gruppo LVMH, è rappresentato dai consumatori: “I clienti ce lo domandano sempre di più e sono molto attenti non soltanto alla qualità del prodotto e all’immagine, ma anche ai valori e ai comportamenti delle persone che sono dietro le marche”.
E come spiega Marina Spadafora, designer e coordinatrice per l’Italia di Fashion Revolution – movimento nato a seguito del crollo del Rana Plaza, un polo produttivo in Bangladesh dove venivano realizzati abiti a basso costo anche per aziende italiane, divenuto una tomba per oltre mille persone, “gli studi di mercato rilevano che i millennial e la generazione zeta vogliono che i marchi da cui comprano siano in regola con l’etica e rispecchino i loro ideali”. Non solo un obbligo verso il pianeta, quindi, ma un investimento per il futuro. E gli imprenditori che sono rimasti indietro farebbero bene a rimboccarsi le maniche.