Gli italiani sono fra i più longevi d’Europa. L’aspettativa di vita ha raggiunto gli 83,2 anni nel 2014, oltre due anni in più rispetto alle media europea (80,9 anni) e in crescita di cinque punti percentuali rispetto al 1990. E, dato ancora più incoraggiante, siamo al primo posto in Europa per aspettativa di vita in buona salute.
A spiegare questo risultato concorrono diversi fattori, fra i quali la buona qualità dell’assistenza sanitaria ospedaliera, che in base a dati Ocse segnala progressi in diversi campi, e la ricerca farmaceutica, diagnostica e biomedica. Malattie un tempo incurabili oggi si possono affrontare e il nostro Paese è leader, ad esempio, nelle “terapie avanzate”, ovvero quei farmaci biologici che si basano sulla terapia genica, cellulare e tessutale. Inoltre, i progressi compiuti dalla diagnostica, e in particolare dalla diagnostica biotecnologica, consentono di mettere a punto trattamenti sempre più mirati, così come di individuare patologie di cui si ignorava l’esistenza. Tutto questo è possibile perché la “filiera della salute” studiata dal Rapporto Confindustria 2018 può contare, oltre che naturalmente sugli ospedali pubblici e i servizi erogati dal Servizio Sanitario Nazionale, anche su una componente privata molto forte, che tra manifatturiero, commercio e servizi costituisce rispetto all’economia del Paese il 4,9% del fatturato, il 6,9% del valore aggiunto, il 5,8% dell’occupazione e il 7,1% delle esportazioni.
Vi è, tuttavia, ancora poca consapevolezza di questa forza. Come spiega Massimiliano Boggetti, presidente di Assobiomedica, “la sanità, intesa come valore sociale ed economico, è un tema ad oggi piuttosto trascurato nei programmi politici, quando invece i dispositivi medici, ad esempio, sono essenziali in ogni percorso di salute, dalla
diagnosi alla terapia fino alla riabilitazione. Sono il motore che renderà possibile la medicina del futuro, – prosegue – quella delle 4 P: predittiva, preventiva, partecipativa e personalizzata”.
In questo percorso è essenziale il ruolo della ricerca. Già oggi i settori manifatturieri della filiera della salute investono in ricerca e innovazione circa 2,8 miliardi euro, pari al 13% del totale degli investimenti realizzati in Italia.
Tante le eccellenze del settore, fa notare il presidente di Federchimica Paolo Lamberti: “Il comparto del biotech, ad esempio, in Italia è estremamente dinamico e in continua crescita, con una propensione all’innovazione e alla ricerca riconosciuta anche a livello internazionale”. È una ricerca dall’approccio sempre più multidisciplinare quella di oggi, che attinge all’informatica, la matematica e l’ingegneria e che adotta un modello basato sulla condivisione della conoscenza, nel quale università, centri di eccellenza e parchi tecnologici collaborano con startup e Pmi. “Le imprese di Assobiomedica – spiega ancora Boggetti – investono il 7% del fatturato in ricerca e innovazione”, ma per mantenere il trend “è essenziale adottare politiche industriali che incentivino le nostre 3.883 imprese presenti sul territorio”. L’innovazione è uno dei cavalli di battaglia, insieme alla produzione e all’export, anche per l’industria farmaceutica.
Spiega Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria: “L’industria farmaceutica rappresenta un motore importante della filiera della salute, alla quale le nostre aziende contribuiscono generando i 2/3 della produzione, della ricerca e sviluppo e dell’export del comparto manifatturiero.
Gli investimenti per la ricerca delle imprese farmaceutiche – prosegue Scaccabarozzi –hanno raggiunto quota 1,5 miliardi di euro, 700 solo per gli studi clinici”.
Le imprese del farmaco rappresentano dunque un potente driver di innovazione, ma la ricerca riguarda anche altri comparti della filiera come ad esempio il settore termale.
Costanzo Jannotti Pecci, presidente di Federterme, sottolinea il ruolo svolto dalla FoRST, la fondazione per la ricerca scientifica termale costituita da Federterme nel 2003 e finanziata con continuità dalle stesse imprese con bandi di ricerca internazionali. “Rappresenta un supporto rilevante – spiega – alle esigenze generali di avanzamento delle conoscenze per le patologie trattabili con specifiche terapie termali”.
Più in generale, aggiunge, “il rapporto mette in evidenza il contributo rilevante del termalismo al miglioramento della salute e della qualità della vita delle persone, dai più piccoli agli anziani. Mi riferisco al ruolo riconosciuto al sistema di welfare termale italiano che opera per la prevenzione, la cura e la riabilitazione all’interno del Servizio
Sanitario Nazionale”. Numeri alla mano, si tratta di un sistema di 400 terme presenti in tutte le Regioni e in circa 190 Comuni, che costituiscono “una rete di protezione concreta e un presidio supportato da personale specializzato, per la medicina di prossimità sul territorio a beneficio delle persone”, conclude il presidente di Federterme.
Nell’ambito dei servizi sanitari privati va ricordato senza dubbio il contributo dell’Associazione italiana ospedalità privata (Aiop). Spiega il presidente Gabriele Pelissero:
“L’integrazione con la componente industriale farmaceutica e tecnologica è per noi la priorità perché i nostri ospedali sono il luogo per eccellenza dove i traguardi dell’industria vengono testati e messi a disposizione dei pazienti. Il livello di qualità ed efficienza delle nostre strutture consente di esaltare il lavoro di tutta la filiera e di verificarne il valore clinico e scientifico, rendendo sempre più efficaci le cure per il paziente”.
Prova ne sia, conclude Pelissero, che al gradimento dei cittadini si è aggiunto negli ultimi anni “anche l’apprezzamento dei pazienti che giungono dall’estero”. Tutto bene, dunque? Sì, ma c’è ancora molto da fare. Il rapporto si conclude infatti con alcune indicazioni di politica industriale volte a rafforzare la filiera della salute. Senza entrare nel dettaglio, la priorità comune alle associazioni che hanno contribuito a realizzare il rapporto è la necessità di migliorare la governance e di semplificare il quadro legislativo in materia. Sul primo punto Scaccabarozzi, ricordando come nella farmaceutica l’Italia sia il secondo paese dopo la Germania per produzione, afferma: “Balzare al primo posto è un traguardo alla nostra portata, soprattutto con una nuova governance che tenga conto del valore creato, dei costi evitati e dei bisogni di cura, favorendo l’accesso all’innovazione farmaceutica”.
Sull’altro aspetto Lamberti sottolinea l’importanza della certezza e della stabilità normativa di lungo periodo, così come dell’interpretazione univoca da parte degli operatori pubblici. “Serve una seria politica di semplificazione amministrativa e istituzionale – spiega. – Una ventina di sistemi sanitari differenti non agevolano di certo l’operato delle imprese”.
Altro elemento di rilievo, conclude Lamberti, è l’invecchiamento della popolazione, che richiede stanziamenti pubblici adeguati. E conclude: “Un caso esemplare è il continuo aumento dei consumi di ossigeno, per il quale occorre prevedere risorse, considerato che si tratta di un gas non sostituibile i cui volumi sono dettati unicamente dalle richieste del Sistema Sanitario Nazionale”.
Dallo studio emerge un ritratto complessivamente positivo, ma le associazioni di settore invitano a migliorare le politiche industriali e a ridurre la burocrazia