Partendo dal caso del Parco dei Murales a Napoli, Luca Borriello, direttore ricerca Inward – osservatorio sulla creatività urbana, spiega il valore sociale della street art, alla quale guardano con interesse sempre più imprese: per comunicare meglio e per essere più vicine al territorio.
Com’è nata l’idea di realizzare un Parco dei Murales nel quartiere di Ponticelli?
La nostra organizzazione ha sede operativa a Ponticelli ormai da sette anni. Abbiamo scelto Napoli Est per l’incredibile energia che sprigiona. Qui è vero che la creatività è quel prodotto rinnovabile tra la carenza di risorse e la forza del desiderio.
Dopo aver lavorato in tutta Italia, anche a Napoli volevamo ci fossero grandi opere di street art e abbiamo fatto la prima per l’Ufficio nazionale antidiscriminazione razziali su una delle otto facciate di questo parco particolarmente difficile.
Qualche anno fa, alle sue spalle, fu bruciato il campo rom e ci furono molte violenze. Per avviare una rigenerazione, per la “Giornata rom, sinti e caminanti” abbiamo raffigurato coraggiosamente Ael, una bambina rom realmente esistente che rivolge un dolce sorriso.
Dopo varie diffidenze iniziali, la raffigurazione solare di Ael l’hanno poi chiamata “zingarella”, un vezzeggiativo che sa di accoglienza. Da allora non ci siamo più fermati e l’idea di un programma socioculturale è venuta da sé, generando nel tempo anche l’espressione Parco dei Murales.
Che impatto ha sul quartiere e sui suoi abitanti?
Il modello seguito, frutto del Tavolo tecnico coordinato al Cnel nel 2010 per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, concepisce la creatività urbana all’incrocio tra due direttrici: riqualificazione artistica e rigenerazione urbana. Ciò vuol dire che, anche nel caso del Parco dei Murales, i temi visivi procedono dall’ascolto della comunità, dall’incontro tra operatori, minori e adulti, per meglio comprendere problemi e valori.
Il parco, che a dire il vero si chiama Parco Merola, era conosciuto come “parco dei colli sporchi”, l’apice dello spregio, e soltanto con quest’opera che collega il bello al buono sta ritrovando autostima nel colore. I residenti ora vedono arrivare troupe cinematografiche che ingaggiano comparse e spazi o gruppi di turisti organizzati con guide per raccontare storie per immagini e questo, al netto di problemi strutturali che purtroppo il parco ancora conserva, credo dia loro grande soddisfazione.
Ci sono stati diversi tentativi di musealizzare la street art. È arrivato il momento di considerarla a tutti gli effetti una forma d’arte, quindi anche per ciò che concerne la conservazione e la collezione?
Da un lato, non è che il museo in sé renda un oggetto arte, serve sempre un sistema di riferimento. Dall’altro, un certo rilievo culturale la street art l’ha sempre avuto, occorreva solo che lo scoprisse e accettasse anche il mainstream per portarci a un buon livello di espressione. Sono da considerare le esposizioni, il collezionismo e la problematica conservazione/restauro.
Ormai, essendo la street art matura e acquisita, è come passata dall’essere soltanto un soggetto produttivo ad anche oggetto di speculazione, teorizzazione, citazione e dunque trasposizione paradossalmente fuori città.
L’opera in questione deve mantenere quella certa “streetness”, qualità che il fenomeno esprime anche su oggetti mobili, quindi esponibili, dunque collezionabili.
La “streetness” è allora anche una cifra curatoriale e assicura sui mercati dell’arte opere riconducibili alla street art. In Italia peraltro, tornando in città, abbiamo circa 500 bigwall, grandi opere su facciata. Qualcuno un giorno se ne dovrà occupare e potrebbe anche essere occasione d’impresa.
Il dibattito sulla conservazione del contemporaneo sta avvolgendo anche la street art, sfidando quel senso di effimero ereditato interamente dai graffiti e che pervade ragionevolmente solo una parte della street art.
Che punti di contatto ci possono essere fra la street art e l’industria?
A ben vedere, rapporti già ce ne sono e tuttavia andrebbero implementati.
La rubrica che curiamo su Ninja Marketing, il più letto sito di marketing non convenzionale italiano racconta, ogni due settimane, casi esemplari di grandi brand che oramai e sempre più non abusano dei segni grafici del fenomeno, ma entrano in una relazione rispettosa e win-win con i migliori street artist internazionali. E lo fanno nell’ottica che questi vadano intesi finalmente quali artisti prestati con successo al product design o alla comunicazione visiva per produzioni industriali e servizi aziendali di tipo multisettoriale.
Inoltre, molte aziende oggi superano positivamente il concetto della banale promozione attraverso la street art, a favore del mecenatismo premiante scenari locali e argomentazioni universali che la street art arricchisce e magnifica.
Cosa fa Inward e chi sono i suoi interlocutori?
Inward è l’osservatorio nazionale sulla creatività urbana e opera con un modello di valorizzazione del fenomeno, tra ricerca e sviluppo, nei settori pubblico, privato, no profit e internazionale, ambiti in cui sono presenti attenzioni e attori specifici, a vario titolo interessati alla street art.
In questo senso, i nostri interlocutori sono gli enti pubblici nazionali e locali, le università e i centri studi, tutti gli street artist italiani e possibilmente esteri, aziende, industrie, agenzie, compagnie, le associazioni tematiche, le organizzazioni sociali, musei, gallerie e collezionisti, anche in Europa ed estensivamente nel mondo.
Quali progetti ha per il futuro?
Dall’attuale coordinamento nazionale del Tavolo degli esperti di street art per l’Anci all’istituzione di un ente italiano per la street art, il passo non sarà troppo lungo.
Cercheremo una sponda con il mondo industriale per provare a costituire un fondo finanziario che implementi opere sui territori nella forma di festival in accordo con gli enti locali. Estenderemo il modello di valorizzazione anche all’estero e i rapporti in Portogallo e Russia ci stanno dando ragione. Servirà premiare i coraggiosi investimenti dei collezionisti. Stiamo lavorando al profilo dell’operatore per la creatività urbana, a valere su un bando nazionale. I Comuni dovranno affidarsi alle competenze di tecnici esperti, senza fare male da soli, e auspichiamo un prossimo incontro tra street art e nuovo artigianato.