di Giuseppe Rosa, Presidente Fondazione Mezzogiorno Tirrenico
Vi è ormai un unanime consenso sul fatto che la cultura è in grado di contribuire in misura notevole a un ripensamento radicale del nostro modello di sviluppo economico e sociale e ciò è tanto più vero per l’intero Mezzogiorno, storicamente dotato di un ricco e diffuso patrimonio artistico.
Alcuni dati appaiono al riguardo significativi. Lo scorso anno i musei italiani hanno segnato la cifra record di 50 milioni di visitatori, con i siti culturali della Campania che hanno registrato gli aumenti più consistenti rispetto all’anno precedente: dalla Reggia di Caserta (+23%) agli scavi di Ercolano (+17) alla stessa Pompei (+7,6%). L’ultimo rapporto della Fondazione Symbola stima che il valore economico della filiera composta da cultura, bellezza e creatività si approssimi ai 90 miliardi, capaci a loro volta di mettere in moto nel resto dell’economia altri 160 miliardi. Il tema viene approfondito in “Specializzazione intelligente e patrimonio culturale campano”, una nuova ricerca della Fondazione Mezzogiorno Tirrenico edita dalla Luiss University Press, nella quale, grazie ai contributi di esperti e studiosi di varia estrazione (Università della Calabria, Confindustria, Srm), vengono inquadrate le potenzialità dei processi di valorizzazione economica, imprenditoriale e sociale del patrimonio culturale.
Viene preso a riferimento, in particolare, il caso della Campania, regione in cui, in stretta correlazione con un patrimonio culturale di pregio, si è sedimentato un insieme composito di industrie culturali e creative (Icc).
Si tratta di un comparto importante sotto l’aspetto della numerosità delle imprese coinvolte (circa 38mila, più di un quinto di quelle meridionali e circa il 7% di quelle nazionali), del valore della produzione (circa 2 miliardi di euro), dell’elevata capacità di attivazione dell’intera economia regionale.
Il “moltiplicatore” del sistema delle Icc è infatti pari a 1,7: ogni euro prodotto implica una crescita complessiva di 1,7 euro. Ampia è la dotazione di capitale intangibile – ricercatori, brevetti, competenze – nel campo della ricerca e conoscenza scientifica sulle Icc presente nel sistema universitario e della ricerca a livello regionale.
Addirittura la Campania vanta – e il volume della Fondazione Mezzogiorno Tirrenico opportunamente le ricorda – esperienze esemplari di innovazione che, se opportunamente valorizzate e formalizzate, potrebbero rappresentare buone pratiche trasferibili e applicabili in altri contesti e in presenza di altre emergenze culturali, artistiche, archeologiche, ambientali.
Il progetto “Bosco di Capodimonte”, ad esempio, è emblematico per aver saputo coniugare il recupero delle strutture e del giardino storico; il coinvolgimento delle aziende agricole e del terzo settore per riprendere e valorizzare produzioni storiche locali come frutta e ortaggi; la collaborazione con l’istituto tecnico ceramico.
A sua volta il progetto portato avanti dal gruppo “Herculaneum Conservation Project”, che opera con risorse della Fondazione Packard negli scavi di Ercolano, è emblematico per l’azione di manutenzione programmata attraverso l’uso di nuove tecnologie, per l’ampio coinvolgimento di competenze e capacità locali (archeologi,
architetti, storici, ingegneri, geologi, artigiani) e per l’intensa cooperazione istituzionale, in primis con la Soprintendenza autonoma di Pompei Ercolano Stabia. Peraltro, come accade in gran parte del territorio nazionale, anche in Campania le potenzialità si accompagnano a criticità di non poco conto sia nella capacità del patrimonio esistente di indurre su vasta scala sviluppo imprenditoriale, innovazione e occupazione qualificata, sia sotto il profilo dell’integrazione virtuosa tra singole opere, siti, manufatti e tra questi e il contesto socio economico.
Tale patrimonio è tuttora largamente sotto utilizzato e stenta a diventare una vera e propria filiera, il che affievolisce la sua forza d’urto di possibile volano di sviluppo e di driver di processi di crescita centrati sulla valorizzazione piena delle risorse locali, materiali e immateriali. Di fatto, le opportunità di “fare crescita e coesione” nella filiera dei beni culturali e creativi della Campania devono confrontarsi, da un lato, con un tessuto sociale particolarmente critico in termini di densità demografica, mobilità, precarietà e frammentarietà e, dall’altro, con una persistente debolezza strutturale dell’impianto amministrativo regionale e sub regionale.
Lentezze, inefficienze e intermediazioni improprie dell’apparato pubblico e istituzionale e fragilità e atomizzazione della società locale rendono particolarmente difficili i processi di mobilitazione per lo sviluppo, in quanto presuppongono interventi e politiche in grado di incidere contemporaneamente sulla valorizzazione dei presìdi culturali e storici e sul risanamento sociale e fisico dei contesti nei quali sono innervati.
Ritardi e inadeguatezze dell’azione pubblica sono confermati anche dalla percezione delle imprese, che evidenziano soprattutto l’assenza di un efficace modello di gestione misto pubblico-privato, il disinteresse per gli aspetti gestionali del patrimonio, la totale disattenzione verso i contesti urbani circostanti, l’episodicità dell’interazione con il mondo della ricerca e l’inefficienza-inefficacia degli strumenti di incentivazione.
Peraltro, non vanno sottaciuti i ritardi presenti tra le stesse imprese, per quanto attiene la comprensione delle potenzialità delle nuove tecnologie e dell’informatica, e nella socializzazione della conoscenza dell’offerta esistente.
Si tratta pertanto di avviare e implementare interventi capaci di guardare simultaneamente all’enorme potenziale di sviluppo sotteso al patrimonio e alle comunità più Prossime ai manufatti, alle opportunità per rafforzare imprese preesistenti e/o avviarne nuove e alla riqualificazione urbana e sociale delle aree di insediamento. Ciò rimanda, tra l’altro, alla stretta interazione tra interventi straordinari, legati o meno alla politica di coesione dell’Unione europea, e interventi pubblici ordinari, oggi di fatto fortemente slegati e disorganici. Una politica intelligente, coerente con una delle condizionalità poste tra i criteri della nuova programmazione dei fondi europei (la Smart Specialization Strategy), deve proporsi di introdurre correttivi ed elementi di rottura nell’attuale sistema di gestione e di governance degli interventi, facendodiventare il patrimonio culturale occasione di sviluppo che superi una visione puntiforme e isolata dei beni e dia priorità alla costruzione di sistemi integrati che leghino insieme manufatti e imprese, patrimonio e contesto, ordinario e straordinario.
In questo ambito, in cui il coinvolgimento attivo dei privati è strategico, le associazioni imprenditoriali possono svolgere sul territorio il ruolo di interlocutori privilegiati delle istituzioni e dei decisori pubblici, ma anche di promotori di una cultura progettuale avanzata attraverso la diffusione di conoscenze, esperienze e modelli.