di Pier Luigi Sacco, Professore di economia della cultura – Iulm
L’economista indiano Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998, è il padre del capability approach (Ca), la più autorevole
corrente di pensiero contemporanea nel campo dell’economia dello sviluppo.
Il punto di partenza del capability approach è il riconoscimento del fatto che la chiave del ben-essere degli individui non sta semplicemente nelle risorse di cui questi dispongono per soddisfare le proprie necessità vitali, ma anche e soprattutto nella loro capacità di accedere ad una auto-determinazione consapevole delle proprie scelte di vita attraverso l’acquisizione di quelle che Sen definisce “capacità e funzionamenti”: ovvero un insieme complesso e articolato di “sapere cosa” e “sapere come”, un repertorio di competenze attive che possono essere messe in gioco nella costruzione della propria progettualità.
Il punto di vista di Sen dà quindi importanza non soltanto ai risultati conseguiti dall’individuo, ma anche al modo con cui tali risultati sono stati raggiunti, e soprattutto al contributo che l’individuo stesso è stato in grado di apportare. Se dunque, ad esempio, la possibilità di accedere ad una razione alimentare giornaliera adeguata è oggettivamente un obiettivo imprescindibile per qualunque essere umano, nella prospettiva di Sen il fatto che l’individuo sia in grado di contribuire attivamente al soddisfacimento del suo fabbisogno alimentare è importante quanto il potersi nutrire adeguatamente.
In questa prospetiva, dunque, gli individui divengono agenti attivi di cambiamento, e non soggetti passivi delle azioni umanitarie.
Allo stesso tempo, nella prospettiva di Sen non è sufficiente ragionare sui livelli complessivi di ben-essere raggiunti da una popolazione, che aggregano una varietà di situazioni e punti di vista individuali: il ben-essere va infatti valutato nella prospettiva di ciascun singolo individuo. Esiste da questo punto di vista una consonanza tra l’approccio di Sen e quello di un grande filosofo politico del novecento come John Rawls, il quale adotta come criterio di valutazione del ben-essere di una collettività la situazione del soggetto più svantaggiato che ad essa appartiene, così che l’unico modo possibile di far aumentare la “felicità pubblica” è quello di migliorare la posizione dei più sfortunati. I processi di sviluppo vanno dunque intesi, secondo questa prospettiva, come processi di capacitazione: mettere ciascun individuo, anche coloro che le circostanze di vita hanno meno disposto in tal senso, in condizione di investire su se stessi e di far fiorire le proprie qualità individuali in accordo con le proprie aspirazioni più profonde e sentite.
Una visione di sviluppo nella quale la componente valoriale e intangibile è forte e determinante quanto quella tangibile delle risorse materiali. E una visione che ci porta inevitabilmente ad interrogarci su quanto società come le nostre, così ricche di risorse materiali, siano attrezzate sul piano meno visibile ma ancora più decisivo della capacità individuale di autodeterminare il proprio benessere.
Le nostre società hanno progressivamente attribuito all’educazione un valore sempre più strumentale, trasformandola da attività intrinsecamente dotata di senso a investimento per ottenere un determinato livello di qualificazione e riconoscimento professionale. In questo modo, i nostri sistemi educativi finiscono per riprodurre e riconfermare le disuguaglianze sociali invece di contrastarle, in quanto negano la dimensione intrinseca di sviluppo umano connessa all’educazione e quindi, in ultima analisi, la sua potenziale, fortissima capacità transformativa. Occorre evitare di cadere in queste trappole e avviare una sperimentazione audace e coraggiosa che metta gli strumenti educativi più sofisticati a disposizione proprio di quei soggetti sociali che ne hanno più bisogno e che quindi possono trarne il maggiore vantaggio. E più sofisticati non significa necessariamente più tecnologicamente assistiti o più costosi: la sperimentazione realizzata presso l’Università di Harvard da Doris Sommer nell’ambito del suo visionario progetto Pre-Texts mostra, ad esempio, come sia possibile trasformare i risultati dell’azione educativa nei contesti socio-economicamente più svantaggiati facendo leva sul piacere del rapporto con i testi e con la nostra capacità collettiva di produrre significati come forma di socializzazione non discriminatoria.
In pochi altri ambiti come in quello educativo, il pensiero di Sen e di Rawls ci mostra un percorso verso una società non soltanto più giusta, ma anche più sostenibile.