di Federico Visconti, Rettore LIUC Università Cattaneo
Ho iniziato ad occuparmi di family business sul finire degli anni Ottanta, ben dopo quelli del “Grande Real e di Happy Days” (per dirla con gli 883) e ben prima di quelli che stanno alimentando i cambiamenti epocali del nuovo millennio. A volte, cado nella tentazione di pensare che non sia cambiato gran che. La dialettica sulle luci e sulle ombre del capitalismo familiare alimenta contraddizioni dai toni forti. Un primo esempio: l’attaccamento emotivo all’azienda può generare fiducia e coesione tra i membri della famiglia (con benefici effetti sul perseguimento di obiettivi comuni) tanto quanto rischia di legittimare lo status quo e ostacolare l’innovazione. Un secondo esempio: l’influenza familiare sull’impresa determina processi decisionali rapidi e informali, ma limita l’apporto di competenze e di risorse esterne. Il “gioco degli opposti” non è una novità. Nel contesto della ricerca accademica, pur con approcci e linguaggi diversi, è in voga da decenni. Se poi si gira per le aziende, il chiaro e lo scuro saltano, le ombre si moltiplicano, se ne vedono di tutti i colori. Tutto ciò premesso, possiamo permetterci il lusso di gettare la spugna? Assolutamente no.
Attraverso l’analisi clinica di casi aziendali, guardando ai giovani e dunque al futuro, siamo andati alla ricerca di sprazzi di luce. E, come racconta il libro “Family Up!“, ne abbiamo trovati, grazie a un esponente della nuova generazione, un protagonista in pectore o già insediato in un ruolo chiave, di cui abbiamo colto e apprezzato l’equilibrio tra continuità e cambiamento, fra tradizione e innovazione. Agli atti ci sono risultati significativi, come ad esempio, il senso di appartenenza: pur essendo attaccati emozionalmente alla propria impresa, i giovani imprenditori oggetto della ricerca non la confondono con la famiglia, bensì la considerano una realtà autonoma e indipendente. Corollario: il “controllo totale e a tutti i costi” non è più un dogma. Oppure, per portare un secondo riscontro, l’atteggiamento nei confronti dell’inserimento di manager esterni: gradazioni e modelli diversi, ma apertura crescente ad assetti organizzativi imperniati anche su professionalità provenienti dal mercato.
O, ancora, per quanto la strada possa sembrare agli inizi, l’attenzione rivolta alle sfide dell’open innovation, dell’apertura del capitale, dei network di collaborazione. Si tratta di sprazzi di luce che prendono forma in un contesto istituzionale più am- pio, che interessa la sfera della famiglia e coinvolge l’organizzazione aziendale. La dimensione di processo è fondamentale; la prospettiva non può che essere dinamica, rotonda, sistemica. In merito al ruolo della famiglia, si percepisce che sono state prese le giuste distanze dal familismo, cioè da un’impostazione dei rapporti che tende a privilegiare obiettivi e aspettative della proprietà rispetto alla competitività dell’impresa. La sensazione è che non ci sia grande spazio per processi di inserimento di membri della famiglia che prescindono dalle competenze; per meccanismi di remunerazione che non tengono conto delle responsabilità e dei risultati conseguiti; per modalità di comunicazione inefficaci o poco trasparenti. Si tratta altresì di famiglie impegnate a costruire un nuovo equilibrio nei rapporti con “l’istituzione-impresa”, differenziato di caso in caso, ma teso a rafforzarne la concezione identitaria. Valga, per tutti, l’attenzione rivolta alla composizione e al funzionamento degli organi di governo.
Con riferimento all’organizzazione interna, il quadro di fondo è quello di aziende “in tensione”, nel senso positivo del termine, e impegnate su più fronti di innovazione organizzativa. Emerge, infatti, una certa qual propensione a mettere in discussione la struttura esistente, a valutare il fabbisogno di professionalità di cui l’azienda necessita, a intervenire su processi e meccanismi operativi. Si avverte una sostanziale apertura al cambiamento organizzativo che, come ben sappiamo, non è proprio nelle corde delle imprese familiari. Anche su questo fronte, segnali dunque confortanti.
Per concludere: quindici casi non fanno la storia, ma rappresentano un segno dei tempi e delineano scenari sulle best practice e sui modelli di leadership a cui tendere. La Grande Crisi ha rovesciato sul sistema industriale italiano una sorta di tsunami, che ha messo a dura prova il dna degli imprenditori, esasperando le pressioni al cambiamento, facendo emergere le componenti più aperte e più robuste del sistema, dando spazio a giovani competenti, sensibili all’innovazione e allenati a decidere. L’impresa familiare ha necessità di leader capaci di lavorare sulla visione di sviluppo, determinati nel fare interventi di continuus improvement della struttura interna, disponibili a manovrare l’assetto del capitale, aperti lato sensu alla collaborazione. Con una punta di presunzione e assumendoci qualche rischio, possiamo affermare che “prove tecniche” di tali modelli di leadership sono in corso, nelle aziende osservate ma anche in altre realtà in cui la nuova generazione va assumendosi delle responsabilità. Sta avvenendo sulla base delle tante ragioni documentate nel lavoro, non ultimi il percorso universitario e le esperienze professionali maturate al di fuori dell’azienda di famiglia.
Sta avvenendo perché il giovane imprenditore vive e interpreta nuove soglie di ambizione, degne dell’era 4.0. Sta avvenendo perché si sa muovere tra continuità e cambiamento, coniugando efficacemente i valori della tradizione con le spinte all’innovazione. I giovani imprenditori che abbiamo conosciuto esprimono, pur con forme e intensità differenti, questo tipo di tensione, questo profilo di motivazioni, questo sguardo rivolto al futuro. Per questa ragione li consideriamo autorevoli interpreti di quel “Family up!” di cui le imprese familiari italiane hanno grande e urgente bisogno. Probabilmente non l’unico protagonista, certamente non una comparsa.
LARGO AI GIOVANI IN AZIENDA
Quindici storie aziendali per le quali il passaggio generazionale è stato un successo. È il tema affrontato da “Family Up!”, scritto da Federico Visconti e Valentina Lazzarotti per Guerini Next (collana Università Cattaneo Libri) con il contributo di altri docenti dell’ateneo di Castellanza.
Protagonista è la nuova generazione alla guida dell’impresa, composta da giovani che hanno conseguito la loro formazione universitaria o postuniversitaria presso l’Università Cattaneo e che da circa dieci anni sono impegnati stabilmente con ruoli di responsabilità nell’attività di famiglia.
Attento alle dinamiche dei mercati di riferimento, il giovane imprenditore si rivela un attore fondamentale per assicurare il successo del passaggio generazionale. Da un lato, riesce a fare propri quei valori della tradizione che si sono rivelati positivi per lo sviluppo dell’azienda, dall’altro è capace di evolvere, sviluppando conoscenze e competenze, favorendo l’ingresso di professionalità esterne e prendendo in considerazione l’apertura del capitale.