L’Italia sembra consolidare la ripresa, ma la crisi ha lasciato profonde cicatrici nel nostro tessuto produttivo. Come hanno affrontato questi ultimi dieci anni le imprese familiari?
Grazie all’innovazione, che salva le imprese. È noto come la crisi abbia accentuato la distanza fra le imprese più dinamiche, vale a dire più orientate ai mercati internazionali e all’innovazione di prodotto e di processo, e quelle la cui strategia resta maggiormente ancorata al mercato interno e alla conservazione del portafoglio prodotti esistente. Credo che l’innovazione salvi anche i paesi: esiste una relazione positiva diretta tra investimenti in ricerca e sviluppo e crescita del Paese. Se vi sono gli strumenti adeguati, di tipo finanziario e di governance, allora credo che il tassello finale, per navigare al meglio nei momenti di difficoltà, sia l’apertura da parte delle imprese familiari a manager esterni, per portare competenza ed esperienza di valore all’interno, in modo da poter realizzare nuovi investimenti, soprattutto in ricerca e sviluppo, anche attraverso collaborazioni con università e centri di ricerca con l’obiettivo di affermarsi e rafforzarsi sui mercati internazionali. In questa nostra era è importante anche non trascurare gli strumenti digitali, che stanno trasformando i modelli di business più tradizionali.
Dall’ultimo Osservatorio AUB sulle aziende familiari, emerge una miglior performance di queste rispetto alle altre, così come un minor livello di indebitamento. A cosa è imputabile tale differenza?
I dati in effetti rilevano che le imprese familiari di dimensione maggiore – sopra i 20 milioni di fatturato – crescono di più rispetto a quelle non familiari. Credo che questo valga soprattutto quando la proprietà è in mano a una famiglia unita, che ha un leader familiare forte e vuole crescere, preservando una visione imprenditoriale chiara e unitaria e selezionando un capo azienda esterno. Ci deve essere una governance chiara, condivisa e meritocratica, ed è essenziale il coinvolgimento, nelle forme più opportune per il singolo caso, della nuova generazione, non appena possibile.
Una delle principali sfide per le aziende familiari è il passaggio generazionale. Quali sono le azioni per preparare la transizione?
Credo che il punto di partenza sia avere una chiara visione e decidere l’indirizzo strategico più prossimo a essa, sviluppando una propensione al rischio adeguata a questa strategia e monitorandone l’andamento economico/finanziario. Poi le formule sono diverse, senza dubbio è di grande utilità preparare per tempo le nuove generazioni ai ruoli che dovranno un giorno ricoprire, fossero anche solo quelli di azionisti, cui ci si deve preparare seriamente con programmi specifici di avvicinamento che in Aidaf chiamiamo “induction professionale” e sui quali abbiamo ormai raccolto un patrimonio di esperienza molto variegato che condividiamo con diversi professionisti esterni, esperti della materia. Nel cambio generazionale non c’è, però, una ricetta valida sempre e, comunque, certamente si può prendere spunto dallo scambio di esperienze con altre storie imprenditoriali che l’hanno già vissuto, cogliendo quel “pezzo di buono” che, una volta trasformato e adattato al contesto, può diventare la soluzione. Non necessariamente la più giusta, ma la migliore possibile, anche per salvaguardare il futuro delle famiglie dei collaboratori, di cui abbiamo la responsabilità, e trasferendo ai nostri figli il valore di “intraprendere”.
In che modo Aidaf supporta le imprese familiari? Quali sono le principali istanze che l’associazione porta avanti?
Tra le molte iniziative che Aidaf porta avanti per le imprese familiari, una di cui sono particolarmente orgogliosa è l’elaborazione, lo scorso anno, dei “Principi per il governo delle società non quotate a controllo familiare. Codice di Autodisciplina”. Si tratta di uno strumento realizzato dalla cattedra Aidaf-Ernst &Young presso l’Università Bocconi e dal professor Piergaetano Marchetti, al quale le imprese familiari, su base volontaria, possono aderire e che contiene un insieme di regole e principi per supportare le imprese nella definizione di una governance fondata su criteri stabili, oggettivi e condivisi, equilibrati ma non rigidi, e che permetta una crescita e uno sviluppo dell’azienda e della famiglia proprietaria coerente con una concezione moderna di imprenditorialità sana e responsabile. Sono “principi di buon governo” che le imprese familiari, le piccole ma anche le più grandi, dovrebbero seguire per potersi strutturare e cogliere i benefici di un processo di crescita e sviluppo. Penso, infatti, che oggi le imprese non competano più solo sul prodotto o sul servizio migliore, ma anche sulla governance che hanno adottato, che deve essere chiara, deve tutelare i collaboratori e gli azionisti, oltre a definire come verranno gestiti i possibili momenti di tensione e garantire i manager nel loro percorso di carriera. Il codice non vuole essere un ulteriore vincolo all’operare dell’azienda ma, al contrario, servirà a liberare e canalizzare una serie di forze e di capacità delle imprese familiari che necessitano di una sistematizzazione per far crescere e sviluppare l’azienda in modo ancor più efficace e sano.
Una buona governance è dunque il segreto di tutto?
Una chiara e strutturata governance è l’unico modo per creare le condizioni in cui si sviluppi una sana meritocrazia all’interno dell’organizzazione. E per tenere unita la compagine azionaria, portando a bordo tutti i componenti della famiglia affinché siano consapevoli, di fronte alle diverse opportunità, anche dei rischi che certe scelte strategiche di business portano con sé.