Nel suo ultimo libro, sostiene che la figura dell’imprenditore costituisce una specie di enigma. Perché?
Perché è estremamente difficile da definire e identificare. Diciamo che nella storia della cultura economica si oscilla fra due poli. Da un lato c’è il pensiero di Richard Cantillon, che in un pam- phlet di metà Settecento sosteneva che erano imprenditori tutti coloro che non avevano un reddito assicurato, come avveniva per i nobili, l’esercito, il clero, la magistratura e la burocrazia. Dunque erano imprenditori i commercianti, i professionisti, i banchieri e persino i ladri e le prostitute, che dovevano ogni giorno procacciarsi i mezzi per sostentarsi (per inciso, questa visione così empirica era cara a Luigi Einaudi). Dall’altro c’è uno dei più grandi economisti del Novecento, Joseph A. Schumpeter, che ha sostenuto invece che solo chi innova deve considerarsi un vero imprenditore; ciò implica che nessuno può essere un innovatore per sempre in quanto, in genere, lo è per una parte soltanto della sua vita. Dopodiché diventa al più un grande operatore economico. Non a caso, Schumpeter aggiungeva che era difficile allevare figli e nipoti capaci d’essere imprenditori a loro volta. Diceva: “dalla tuta alla tuta in tre generazioni”, nel senso che le fortune imprenditoriali duravano poco e le loro famiglie tendevano a ritornare alla condizione di partenza.
Queste visioni economiche le sembrano ancora attuali?
In un certo senso, sì, poiché tendiamo a chiamare imprenditori i titolari di microimprese di una o due persone. Applichiamo così inconsapevolmente il punto di vista di Cantillon. Ma poi celebriamo figure di straordinario successo come Steve Jobs, Mark Zuckerberg (oggi molto discusso dopo la cessione dei dati degli utenti di Facebook a società che li utilizzavano per la propaganda politica) e Elon Musk, il profeta dell’elettricità per ogni forma di locomozione, delle automobili Tesla che si dovranno guidare da sé, dei missili che dovrebbero colonizzare Marte. Sono tutte figure di “innovatori” che hanno creato dal nulla fortune immense, legate all’attivazione di imprese, spesso simili a piattaforme digitali.
Per questo lega la figura dell’imprenditore al destino dell’impresa?
Sì. A mio avviso la lunga stagione che ha sottratto le maggiori imprese del mondo ai controlli cui erano assoggettate un tempo ha creato entità che si muovono con un potere colossale, che le libera da obblighi fondamentali come quelli di pagare le tasse nei paesi in cui operano. Pensiamo a come Apple, per esempio, si sia sottratta al fisco europeo. O alla difficoltà di sanzionare i comportamenti negativi o scorretti di Facebook, Amazon, Google, che incorporano ogni giorno le nuove startup, abbattendo sul nascere ogni concorrenza possibile e perseguendo posizioni di dominio monopolistico sui mercati. È ora di tornare a una regolazione efficiente delle grandi imprese mondiali.
UNA PAGINA D’AUTORE
“Un tipo ideale di imprenditore è il “capitano d’industria”, una personalità non assimila- bile alla massa degli operatori attivi nel sistema delle imprese. È un tipo umano che esalta al massimo le doti e le qualità individuali: è l’incarnazione moderna dell’individualismo, irriducibile entro i confini di una classe sociale. L’agire dell’imprenditore è “la leva che porta l’economia fuori dal suo binario statico. L’abilità dell’imprenditore consiste nel ricreare una nuova realtà organizzando i dati esistenti secondo nuovi schemi: la sua originalità sta nel configurare una nuova combinazione dei fattori economici”.
(tratto da “L’enigma dell’imprenditore”)