Il 5 maggio la Commissione europea ha pubblicato l’aggiornamento della strategia industriale del marzo 2020, con l’obiettivo di tenere conto dell’impatto che la pandemia ha prodotto sul tessuto economico nel corso di questo anno drammatico.
La crisi che ha investito l’Europa intera ha, infatti, fatto emergere con chiarezza la necessità di ulteriori interventi a sostegno della libera circolazione di beni, servizi e lavoratori nel mercato unico. Inoltre, la Commissione europea intende intervenire per rafforzare la capacità di resilienza delle imprese europee, affrontando al contempo le dipendenze strategiche, sia tecnologiche che industriali.
Attendevamo con impazienza questo documento perché una prima sfida che dobbiamo affrontare è, senza dubbio, la ripresa economica. Se la pandemia ha avuto un effetto positivo, è quello di aver consolidato la convinzione dell’Europa della necessità di porre l’industria al centro della ripresa e di dotarsi di un’ambiziosa strategia industriale, con obiettivi chiari, obiettivi efficaci e misure concrete.
Dopo una prima analisi della nuova strategia e del denso pacchetto di documenti che la accompagnano, abbiamo rilevato luci e ombre. Tra gli aspetti positivi vi è senz’altro il forte accento sul mercato interno, sull’importanza di rafforzarne la resilienza e sostenere la libera circolazione di beni, servizi e persone. In questo senso, appare interessante il primo Rapporto Annuale sul Mercato Unico – che accompagna la strategia – che propone un nuovo set di Key Performance Indicators e offre un’analisi dei 14 ecosistemi industriali già identificati dalla Commissione, con l’idea di promuovere, per i diversi ecosistemi, specifici percorsi e toolbox di misure per sostenere la transizione verde e digitale, in co-creazione con il mondo dell’industria e altri partner rilevanti.
Anche alla luce del grande problema rappresentato dal rimbalzo dei prezzi delle materie prime che l’industria italiana sta attualmente affrontando, appare condivisibile l’attenzione rivolta al tema delle dipendenze strategiche, sia tecnologiche che industriali, che l’Europa deve fronteggiare e il richiamo alla necessità di sostenere una leadership tecnologica dell’Ue in alcuni ambiti prioritari attraverso grandi investimenti R&S&I, condizione sine qua non per aumentare la competitività dell’industria europea e l’autonomia strategica.
La centralità sempre maggiore degli Important Projects of Common European Interest (Ipcei), ovvero i grandi progetti di innovazione industriale basati su investimenti congiunti e coordinati tra diversi Stati membri, assume per noi un significato particolarmente importante, considerato il grande impegno che il governo italiano e Confindustria stanno profondendo per posizionarsi, insieme alle imprese, sui grandi progetti in preparazione. Gli Ipcei approvati dalla Commissione sulla microelettronica e sulle batterie rappresentano un modello su cui costruire ulteriori progetti pan-europei e guardiamo con forte interesse ai nuovi in preparazione nei settori del cloud, l’idrogeno, la microelettronica e la salute.
Di interesse è poi il richiamo all’utilizzo dei Pnrr per unire gli sforzi in progetti multi-country volti a rafforzare le capacità digitali e verdi dell’industria, accelerando gli investimenti necessari in settori come l’idrogeno, il 5G, le infrastrutture comuni sui dati, il trasporto sostenibile, le blockchain e i Digital Innovation Hubs europei.
Su questo aspetto, la Commissione sta valutando le possibili opzioni per un meccanismo efficace che consenta di accelerare l’implementazione di questi progetti multi-country favorendo la combinazione di finanziamenti nazionali e Ue.
Tuttavia, quanto riassunto sopra non ci sembra sufficiente per superare la straordinarietà delle sfide che abbiamo di fronte. Prevale, infatti, l’aspetto di analisi e di bilancio della situazione, ma per una vera strategia a supporto della crescita e della competitività dell’industria europea serve molto di più.
Inoltre, preoccupa l’eccessivo accento sugli aspetti green e digitali, che sembrano far emergere una visione post-industriale dell’Europa della Commissione europea, in cui manca la necessaria attenzione alla manifattura. Trapela un approccio teso alla iper-regolamentazione, che potrebbe mettere a rischio la competitività delle imprese europee, e la distanza dalla strategia americana, basata su ingenti investimenti per rafforzare la produzione.
È vero che negli scorsi mesi il Commissario Breton ha lavorato intensamente per favorire la creazione di catene del valore europee forti, rafforzare l’autonomia strategica dell’Europa e ridurre la sua dipendenza dall’estero in alcuni settori tecnologici chiave. Tuttavia, ci aspettiamo che Thierry Breton svolga ancora più fortemente il suo ruolo di Commissario per l’Industria, portando il punto di vista delle imprese nei numerosi dossier in preparazione in seno alla Commissione e cercando di conciliare meglio i diversi interessi in gioco.
Le diverse iniziative “verdi” che la Commissione europea sta intraprendendo – penso ad esempio alle proposte sulla finanza sostenibile e tassonomia e sulla plastica mono uso – appaiono concepite non sulla base di una solida analisi di impatto, ma sulla spinta di scelte aprioristiche e ideologiche.
Non mettiamo in dubbio che la trasformazione verde e quella digitale debbano mantenere un ruolo centrale per la ripresa e non vi è dubbio che le imprese europee rappresentino un attore centrale di questa doppia transizione, ma bisogna tenere bene a mente che le sfide da affrontare sono enormi e che il concetto stesso di “transizione” implica una gradualità nel processo di cambiamento che non può essere imposta attraverso approcci eccessivamente regolatori.
Su questi temi chiediamo un deciso cambio di atteggiamento, innanzitutto da parte di alcuni servizi della Commissione europea, perché i sempre più ambiziosi obiettivi europei non si possono raggiungere penalizzando chi produce in Europa. Le iniziative legislative in cantiere devono essere declinate come un’opportunità di crescita economica volta a rilanciare la competitività del sistema industriale europeo, non come mezzo per raggiungere obiettivi ideologici del tutto slegati dal contesto reale in cui le imprese si trovano a operare.
Altrimenti, si rischia di minare la ripresa economica, danneggiando irreversibilmente intere filiere industriali con impatti maggiori in termini di occupazione e società. Nelle scorse settimane abbiamo condiviso questi pensieri con la Confindustria tedesca (Bdi) e francese (Medef) trovando una forte simmetria di analisi e di giudizio. Per questo abbiamo deciso di portare avanti delle azioni comuni per fare intendere la nostra voce con forza dalle istituzioni europee e dai rispettivi governi nazionali.
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