La Tunisia ha presentato i quattro poli di competitività previsti dal piano strategico del governo “Tunisia 2020”. Quattro parchi industriali per rilanciare l’economia e l’occupazione nel paese, nei quali si guarda con grande interesse al modello italiano e alle opportunità di partenariato.
Ne abbiamo parlato con Pietro Sebastiani, Direttore generale della Cooperazione allo sviluppo presso il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale.
Quale ruolo gioca l’Italia in questi progetti?
La Cooperazione italiana è sempre stata particolarmente attento allo sviluppo della Tunisia, che consideriamo un nostro paese prioritario e che sosteniamo da anni con diverse iniziative, incentrate soprattutto sullo sviluppo economico e sul sostegno al settore privato locale.
In questo quadro riteniamo molto positivi i poli di competitività, che possono essere considerati come “cluster” di innovazione e sviluppo in settori chiave, come quello tessile, chimico, agroalimentare e elettromeccanico e che abbiamo già avuto modo di sostenere anche in passato.
Il polo tessile e quello agroalimentare hanno già ricevuto un nostro finanziamento, tramite Unido (l’Agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale), e abbiamo anche finanziato un programma di tre milioni di euro di cooperazione tecnica per il sostegno al settore privato, che conteneva una componente per il supporto ai poli stessi, assegnata dalle autorità tunisine con gara a Environment Park (un parco scientifico di Torino, ndr), in partenariato con altri soggetti italiani.
Quali spazi si profilano per il nostro settore privato, alla luce della riforma della cooperazione italiana allo sviluppo?
La legge n. 125 dell’11 agosto 2014, che ha attuato la riforma della Cooperazione italiana, riserva uno specifico ruolo al settore privato anche nell’attuazione della iniziative di cooperazione, al fine di innescare sinergie che permettano, con il tempo, di massimizzare i risultati attesi in termini di sviluppo sostenibile e durevole.
All’articolo 27, infatti, dice che “l’Italia riconosce e favorisce l’apporto delle imprese e degli istituti bancari ai processi di sviluppo dei paesi partner” e promuove la più ampia partecipazione del settore privato alle procedure di evidenza pubblica dei contratti per la realizzazione di iniziative di sviluppo.
In proposito, credo che l’Italia possa fornire un importante contributo e utili spunti di riflessione per i promotori del nuovo modello d’impresa centrato sull’essere umano.
Il nostro è un paese manifatturiero con un sistema industriale basato sulle Pmi e sui distretti industriali e una cultura di imprenditorialità cooperativa radicata, anche da un punto di vista sociale, sul territorio, che presenta indubbi vantaggi per assicurare uno sviluppo sostenibile in paesi come la Tunisia.
Cosa devono fare concretamente le Pmi italiane interessate a lavorare con i nuovi cluster tunisini?
Le Pmi italiane che operano nei settori di riferimento dei quattro cluster devono monitorare con attenzione le informazioni, sia quelle proveniente dai canali tunisini sia quelle diffuse dalla nostra ambasciata e dall’Ice, per cogliere le opportunità di nuovi rapporti di collaborazione e sfruttare al meglio i vantaggi comparativi tra i due sistemi industriali, con creazione di joint venture con aziende locali. Nei settori come l’agroalimentare e il tessile gli operatori italiani sono, infatti, ritenuti punte di eccellenza.
Gli strumenti messi in atto dalla Cooperazione italiana a sostegno del settore privato tunisino sono importanti e riguardano in particolare le linee di credito a sostegno delle Pmi tunisine. La Cooperazione italiana è ormai alla sua ottava linea di credito a favore delle Pmi della Tunisia e ha finanziato negli ultimi 25 anni circa 600 operazioni per complessivi 300 milioni di euro, creando circa 10mila posti di lavoro.
Questo strumento è ritenuto indispensabile per il processo di innovazione intrapreso dal governo tunisino e per la ristrutturazione delle capacità produttive locali, specie dopo l’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio con l’Unione europea nel 2008.
Le imprese italiane possono quindi suggerire ai loro partner locali di far domanda per accedere a queste linee di credito.
Il modello italo-tunisino di cluster industriale potrebbe essere replicato altrove? A quali condizioni?
Pur tenendo conto delle peculiarità che contraddistinguono ogni paese, e ovviamente nel rispetto delle priorità strategiche di sviluppo delle autorità locali, ritengo che il modello italo-tunisino di cluster industriale possa essere assolutamente replicabile. Per esempio, ciò potrebbe avvenire in paesi dove la nostra Cooperazione è già presente con iniziative similari di sostegno al settore privato e della piccola e media imprenditoria locale, per consolidare i risultati già conseguiti e per contribuire ulteriormente al miglioramento delle condizioni di vita delle comunità locali.
In Etiopia, per esempio, è attualmente in corso un progetto da noi finanziato nel 2016 con un contributo di circa 2,8 milioni di euro a Unido, per il miglioramento dell’industria del pellame, che prevede la realizzazione di uno studio di fattibilità per la futura realizzazione di una struttura che diverrà un “cluster modello” e che andrà a operare insieme ad altri tre cluster produttivi, anch’essi finanziati dalla Cooperazione italiana.
Il principio è lo stesso: il sostegno al settore privato locale affinché si rafforzi un’imprenditoria locale in grado di creare posti di lavoro e migliorare le condizioni di vita della popolazione.
Quale accelerazione ci possiamo aspettare sotto il profilo economico dall’impegno dei paesi e delle istituzioni europei riaffermato con la recente Dichiarazione comune sullo sviluppo?
Il Consenso europeo sullo sviluppo è una dichiarazione congiunta delle istituzioni europee e degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio. Poiché la cooperazione allo sviluppo è una competenza condivisa tra la Ue e gli Stati membri della politica di sviluppo (articolo 4.4 del “Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”), è necessario avere una visione condivisa di ciò che vogliamo fare assieme per aiutare i nostri vicini.
Ciò premesso, anche grazie all’attenzione italiana alla dimensione dello sviluppo in Tunisia, l’Unione europea si è seriamente impegnata in questo paese con tutti i mezzi di cui dispone: politici, economici, commerciali, finanziari, cooperazione settoriale, aiuto allo sviluppo, aiuto umanitario.
Il nostro coinvolgimento ha permesso di ottenere l’affidamento diretto a due regioni italiane della gestione di due importanti programmi comunitari di cooperazione transfrontaliera, finanziati dallo Strumento europeo di vicinato e dal Fondo europeo di sviluppo regionale, ai quali si aggiunge un contributo nazionale dagli Stati partecipanti.
Si tratta in primo luogo di un programma multilaterale “Mare Mediterraneo 2014-20”, a cui partecipano Cipro, Grecia, Francia Italia, Malta, Spagna, Portogallo, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Palestina e Tunisia, dotato di 234,5 milioni di euro, affidato alla Regione Sardegna quale autorità di gestione.
Il secondo è il programma bilaterale “Italia-Tunisia 2014-20”, dotato di 37 milioni di euro, affidato alla Regione Sicilia.
Nonostante gli eventi che hanno scosso la Tunisia in quegli anni, questi programmi hanno dato ottimi risultati nel loro primo periodo di vita 2007-2013 e sono stati confermati per il periodo 2014-2020. Malgrado la relativa esiguità delle risorse finanziarie, queste tuttavia hanno ottenuto un importante impatto politico e istituzionale.