Cosa vuol dire per un’impresa investire in sostenibilità?
Fondamentalmente due cose. Anzitutto, continua innovazione alla ricerca di efficienza per fare di più con meno: meno risorse utilizzate fa bene all’ambiente, ma fa bene anche ai conti dell’impresa. In secondo luogo, vuol dire passare da una “competizione” con il proprio territorio e con i lavoratori a un progetto di mutuo beneficio, un’alleanza.
Quali sono i vantaggi, economici e non solo?
Per l’efficienza sono ovvii. Meno per la prospettiva di alleanza: è un differenziale di tasso di interesse. Se si lanciano esternalità, riversando sul territorio e la comunità dei costi; se la relazione industriale è di forza e non di mutuo appoggio, si può avere l’illusione di rendersi più competitivi; ma i costi umani e ambientali iniettati nel sistema e fuori dall’impresa prima o poi tornano indietro portandosi un tasso di interesse – non solo monetario – molto più elevato di qualsiasi finanziamento che avrebbe consentito di internalizzarli.
Per quali motivi la sostenibilità riguarda le piccole e medie imprese?
Soprattutto loro: non si può essere sostenibili secondo uno standard di grande scala, bensì in relazione a territori concreti e questo lo possono fare solo le imprese che ne sono espressione. E non bisogna temere i costi, anzi cavalcare i vantaggi: non è (sempre) una questione di complesse innovazioni di processo; si è più sostenibili con una partnership interna in cui si chiede a ognuno di riflettere su dove si possano tagliare gli sprechi e i rifiuti che a mettere il pannello solare. E i risparmi sono notevoli anche in termini di clima industriale.
Il sistema delle certificazioni è fondamentale, ma spesso le Pmi faticano ad applicarlo. Come aiutarle?
Capendo a cosa serve: la certificazione si deve cercare a sugello e perfezionamento di un processo di partenariato interno. Se quest’ultimo porta a dei risultati certificabili si chiede; se invece comporta una sovversione antieconomica e imposta dall’esterno del proprio modo di fare impresa, che magari è molto più sostenibile con soluzioni adatte solo a un determinato contesto, meglio farne a meno: nessuno è stupido e una sostenibilità nei fatti non certificata è riconosciuta, così come viene subito smascherata l’etichetta che non corrisponde alla sostanza.
Secondo lei, il nostro Paese ha raccolto la sfida della sostenibilità? Dove potrebbe migliorare?
Nell’ottica economica classica, il nostro è un paese povero di risorse. In una prospettiva di economia sostenibile invece siamo i più ricchi del mondo: sono ottimista, l’impresa – e Confindustria lo dichiara espressamente – sta capendo i vantaggi di una connessione con il territorio à più elevata biodiversità, varietà culturale e intensità storico-artistica del mondo. E sta capendo che questo dà una marcia in più anche a settori apparentemente lontanissimi. C’è un legame fra l’unicità delle nostre cattedrali e l’inimitabile innovazione del nostro packaging, ad esempio. Sfruttiamolo!