Proseguiamo il viaggio nelle associazioni del sistema confindustria per capire, dalle nostre “sentinelle“ sul territorio, lo stato di salute delle economie locali, tra segnali di speranza e cali di ordinativi, tra ripresa dell’export e riduzione dei consumi. Una fotografia di come sta cambiando il sistema produttivo, nella quale si inserisce un’importante trasformazione della nostra confederazione: la riforma pesenti. In questo numero abbiamo ascoltato una voce del sud e una del nord: Francesco Murgino, Direttore di Confindustria Taranto, e Vittorio Gandini, Direttore dell’Unione degli industriali della provincia di Varese.
Quale la situazione dell’economia locale?
Gandini: A predominare oggi è l’incertezza.
Da una parte abbiamo una crisi non ancora alle spalle, prova ne siano le numerose, ancora troppe, crisi aziendali che il territorio sta affrontando.
Dall’altra, invece, stiamo assistendo ad alcuni evidenti miglioramenti, come per esempio quello del comparto della meccanica strumentale che testimonia un ritorno agli investimenti anche domestici nelle imprese manifatturiere.
È difficile fare una sintesi di queste due facce di una stessa medaglia.
C’è però un dato di fatto numerico: il ricorso alle varie forme di cassa integrazione, sceso del 27,5% nel primo trimestre dell’anno, rispetto ai livelli dello stesso periodo del 2014.
Murgino: Taranto è al momento il collettore di una crisi che è esogena da oramai sette anni ed endogena da più di due, con picchi di sofferenza riferiti ai settori legati alla siderurgia. Abbiamo la pretesa di considerarci una città-laboratorio, in cui le spaccature sociali prodotte dal tentativo di coniugare al meglio industria e ambiente aprono necessariamente la strada, anche se tutta in salita, a nuove forme di ecosostenibilità, ad un nuovo concetto di industria e quindi a nuovi mercati, che la nostra Confindustria ha tradotto elaborando un progetto ambizioso, che si chiama Smart Area: una serie di proposte progettuali “green” per la città. Insomma guardiamo “oltre”, ma è indubbio che il quadro complessivo rimanga preoccupante e fortemente condizionato proprio dalla situazione in atto nel centro siderurgico, che si ripercuote anche a livello regionale.
Secondo il rapporto Unioncamere sull’economia pugliese del 2013, il dato negativo (-15,79%) delle esportazioni pugliesi nel 2013 è da imputare principalmente alla crisi dell’industria siderurgica tarantina e del suo indotto. Una parabola discendente confermata dall’Istat, che segnala come il crollo delle esportazioni per la provincia di Taranto è del 58,50%. Altissimo ancora il tasso di disoccupazione della fascia giovani 15-24 (54,2%) mentre rimane vertiginosa l’ascesa della cassa integrazione guadagni.
Quali i punti di forza del vostro sistema imprenditoriale?
Gandini: Sicuramente la multidistrettualità.
In provincia di Varese sono presenti tutti i settori industriali.
A farla da padrona è sicuramente la meccanica, che da sola rappresenta il 60% dell’export locale.
Un settore che ha fatto anche da cuscinetto grazie alla presenza di comparti anticiclici e fortemente internazionalizzati come quelli dell’aerospazio e delle macchine utensili. Ma anche in quelle che per noi sono delle nicchie produttive, come l’industria alimentare, il territorio esprime nomi importanti nei comparti del cioccolato, dei burrifici, della birra.
Senza considerare poi il tessile-abbigliamento che, pur di fronte ad una crisi strutturale, difende con i denti il proprio primato di un export che supera abbondantemente i livelli di import. A cui bisogna aggiungere anche il recente ritorno del segno più proprio di fronte alla voce esportazioni di questo settore, che nel 2014 ha assistito ad una crescita sui mercati esteri del 6,5%.
Murgino: I punti di forza continuano ad essere i comparti tradizionali, nonostante i venti di crisi investano, in apparente contraddizione, proprio questi settori. Ma nel caso della siderurgia, per esempio, non si tratta di una crisi vera e propria quanto di eventi eccezionali. Mi spiego. Se ai creditori dell’indotto Ilva fossero onorati tutti i crediti maturati negli ultimi mesi il comparto sarebbe da considerare fra i più sani, e purtroppo invece ci ritroviamo a dover stringere la cinghia a causa delle vicende oramai note. L’Arsenale marittimo militare è riconosciuto quale pietra miliare di tutto il sistema arsenalizio italiano, eppure sconta anch’esso i tagli imposti dal Ministero della difesa.
Un discorso a parte merita il porto, destinatario di ingenti investimenti di infrastrutturazione che consentiranno allo scalo tarantino, oltre ad incrementare i traffici e puntare anche al segmento turistico, di accogliere navi di ultima generazione grazie all’adeguamento dei fondali e divenire un hub di valenza internazionale. Il 2015 segna poi la ripresa del sistema moda, che torna ad affermarsi attraverso le produzioni di nicchia, il marketing, la valorizzazione dei brand. E continuano a dare conferme anche le eccellenze del nostro comparto vitivinicolo/enologico, mentre si affermano sempre di più le piccole e giovani realtà il cui core business ruota attorno alle nuove tecnologie.
Quali invece i settori che presentano maggiori criticità?
Gandini: In realtà è sempre più difficile individuare in un preciso settore un punto di debolezza. Il ragionamento per comparti per spiegare la situazione economica di un territorio funziona sempre meno. Ormai la differenza non la fa l’appartenenza ad una filiera produttiva, ma il grado di internazionalizzazione della singola azienda, il suo tasso di innovazione, la sua capacità di aggregarsi in progetti di cluster o di reti d’impresa. Sono queste le leve dello sviluppo su cui si gioca la competitività della singola realtà aziendale che può, con le giuste strategie, fare eccezione alla crisi generale.
Murgino: La crisi raggiunge tutti i settori, ma in valori assoluti i più colpiti sono l’edilizia, il commercio, i servizi alle imprese. Fra le new entry registriamo purtroppo anche l’industria della comunicazione, a Taranto da sempre molto rappresentata e quest’anno particolarmente colpita da chiusure e drastici ridimensionamenti.
È difficile, stilare una mappa precisa delle criticità. Per esempio, un’azienda di piccole dimensioni ma con processi e prodotti innovativi reagisce con maggiore flessibilità alla recessione rispetto ad una struttura d’impresa che per quanto grande e rodata non riesce a diversificarsi e soprattutto a penetrare i mercati esteri. Quella dell’export è un’altra grande scommessa che però deve ancora entrare nel nostro dna e bypassare la forte resistenza di molte imprese, fin troppo radicate sul territorio malgrado le condizioni per fare impresa, qui in Italia, rimangano gravose: dal costo dell’energia, ai tempi di pagamento della pubblica amministrazione, al credit crunch. E poi, la pressione fiscale e la burocrazia: se è vero, come è stato stimato, che quest’ultima costa al mondo delle imprese italiane 31 miliardi di euro all’anno.
Quali interventi sarebbero necessari?
Gandini: Purtroppo le priorità sono sempre le stesse.
Ormai da anni. Occorre innanzitutto un alleggerimento della pressione fiscale per liberare le risorse delle imprese verso gli investimenti. Ma occorre liberare anche la risorsa del tempo attraverso una semplificazione burocratica spinta. Più gli imprenditori e i loro collaboratori passano le loro giornate sulle scartoffie, meno tempo dedicano ai temi dello sviluppo di nuove forme organizzative, della fabbricazione digitale, dell’allargamento dell’orizzonte dei mercati internazionali.
Murgino: Occorrerebbe intervenire soprattutto sulla sottocapitalizzazione aziendale, delle nostre imprese che proprio per questo si finanziano principalmente con il credito bancario, scontando un prezzo alto in termini di competitività. Da qui l’affiancamento della nostra Confindustria, in termini di crescita dimensionale, attraverso il ricorso a strumenti come le Ati, i consorzi ed i contratti di rete, ma soprattutto una maggiore attenzione ai processi di internazionalizzazione, gli unici in grado di stimolare una maggiore crescita e produttività del nostro sistema imprenditoriale. È altrettanto vero, che a incidere fortemente sulla vita delle imprese concorrono fattori non legati alla territorialità come il funzionamento della giustizia, il rispetto per le regole e la legalità sui quali occorrerebbe intervenire. Provvedimenti di ampio respiro ai quali vanno aggiunti quelli già previsti per il nostro territorio, come il decreto di inizio anno, il n.1 del 2015, che include interventi non solo per Ilva ma per il risanamento della città vecchia, il porto, il polo museale. Pur plaudendo alla bontà di questi interventi, non possiamo che augurarci che gli investimenti previsti possano contare su risorse certe e spendibili.
Vi sono particolari iniziative avviate dalla vostra associazione a sostegno del sistema?
Gandini: Da anni stiamo portando avanti una strategia che abbiamo ribattezzato “Manovra privata per lo sviluppo”, una “Politica Industriale Associativa” che fa leva su diversi scalini per la crescita. Per esempio sul fronte dell’innovazione, con la creazione all’interno della nostra Liuc – Università Cattaneo di un laboratorio di fabbricazione digitale concentrato sulla tecnologia della stampa 3D: SmartUp. A cui si affianca il nuovo centro di ricerca sulla competitività: l’Institute for Entrepreneurship and Competitiveness creato sempre all’interno della Liuc e aderente al circuito internazionale dell’Harvard Business School.
Puntiamo inoltre sulla competitività delle imprese anche tramite il miglioramento della salute nei luoghi di lavoro con il progetto WHP portato avanti insieme all’Asl di Varese e che ha l’obiettivo di coinvolgere il maggior numero possibile di imprese e di lavoratori in attività in grado di migliorare lo stile di vita delle persone, con, ad esempio, la promozione di una corretta alimentazione, il contrasto al fumo, la promozione dell’attività fisica, il contrasto all’alcolismo. Ultimo, in ordine di tempo, è poi il Progetto “Welfare Varese” tramite il quale stiamo aiutando tutte le imprese a impostare politiche di conciliazione lavoro/famiglia.
Centrale infine è per noi poter contare su quello che è il più importante investimento fatto dal nostro tessuto produttivo: quello iniziato 25 anni fa con la creazione della Liuc. Un ateneo nato dalle imprese per le imprese.
Murgino: La deflagrazione, due anni e mezzo fa, della vicenda Ilva ha prodotto una serie di guasti che sono inevitabilmente ricaduti sulle aziende dell’indotto del centro siderurgico. Le note vicende giudiziarie, il fermo di alcuni impianti, il commissariamento dell’Ilva, non hanno mai impedito a queste aziende di continuare a prestare il loro servizio, anche quando le condizioni si sono fatte man mano proibitive per via del ritardo dei pagamenti loro dovuti. Da qui la nostra manifestazione pubblica di agosto scorso – un corteo pacifico lungo le strade della città, mai prima di allora organizzato da nessuna Confindustria, tranne casi similari e sporadici – che, in vista della procedura di amministrazione straordinaria avviata dal governo, abbiamo poi portato a Roma, in piazza Montecitorio, in due distinte occasioni, a gennaio e febbraio scorso. Pur non essendo la “piazza” nel dna di Confindustria, abbiamo risposto ad una situazione eccezionale con iniziative altrettanto eccezionali, senza mai snaturare il nostro ruolo imprenditoriale né nella sostanza né nella forma. Confindustria Taranto, intanto, attraverso la sua holding di partecipazione Finindustria Srl, continua a sostenere la competitività delle imprese attraverso servizi di consulenza e assistenza sulle opportunità legate all’internazionalizzazione, innovazione tecnologica, diffusione della cultura di impresa. Accanto a queste azioni di sostegno, vanno ricordati i contratti di rete, la creazione di spin off e, più di recente in ambito organizzativo-strutturale, la creazione della sezione cultura.
Parliamo ora della Riforma di Confindustria. Quali sono gli aspetti a suo giudizio più importanti?
Gandini: Il maggior punto di forza della Riforma è quello di essere stata in grado di semplificare la struttura degli organi di rappresentanza del nostro Sistema.
Non mi riferisco solo all’alleggerimento da un punto di vista del numero del componenti, ma anche al meccanismo di composizione. Il nuovo Statuto di cui ci siamo dotati ha il vantaggio di aver eliminato alcune sovrapposizione e ridondanze organizzative che non potevamo più permetterci e che erano contrarie a quella richiesta di innovazione nell’azione di rappresentanza che ci veniva avanzata dalla nostra base associativa. Inoltre è molto positiva la spinta all’aggregazione delle associazioni. Una semplificazione che è propedeutica a maggiori sinergie all’interno del nostro Sistema.
Murgino: Ritengo innanzi tutto importante che tutto il sistema abbia la percezione netta e tangibile di uno strumento attraverso il quale possa cambiare in meglio il proprio assetto organizzativo, ottimizzando esperienze e risorse. Credo che l’aspetto più importante sia soprattutto questo: l’averla concepita, per la terza volta dopo un secolo di storia, in un momento sicuramente fra i più difficili per il Paese. È stata una scelta coraggiosa, non solo annunciata, un segnale importante anche rivolto alla politica, che delle riforme fa spesso il proprio cavallo di battaglia. È sicuramente una riforma i cui obiettivi mirano a contrastare le criticità che affronta il sistema imprenditoriale italiano: una struttura più snella, più efficace e meno costosa è sicuramente anche una struttura più moderna, in grado di confrontarsi e di gestire al meglio le dinamiche sociali, economiche e politiche in atto, senza per questo mai stravolgere il suo ruolo “ponte”, storico e imprescindibile, fra il sistema delle imprese e la società.
Quali quelli dove invece sarebbe stato necessario uno sforzo in più?
Gandini: Penso che occorra accelerare e incentivare maggiormente la razionalizzazione delle componenti del Sistema sia nelle componenti territoriali, sia per quanto riguarda le associazioni di categoria.
L’obiettivo deve essere quello di ridurre la dispersione di energie e dare alle imprese punti di riferimento più grandi, con risorse più rispondenti alle richieste che arrivano dal mondo produttivo.
Murgino: I limiti – se proprio si vuole individuarne qualcuno – stanno tutti, a mio parere, nella insufficiente penetrazione delle novità contenute nella riforma all’interno della base associativa. Ferme restando le comunicazioni che vengono trasmesse da ogni territoriale alle aziende associate, attraverso noi direttori, credo che ci sia stato un gap di comunicazione, ovvero un’adeguata campagna divulgativa che tenesse fede a quanto annunciato, che potesse coinvolgere anche l’opinione pubblica e, gioco forza, le aziende. Si tratta ovviamente solo di una personale impressione che però nasce dal bisogno di far uscire definitivamente l’immagine di Confindustria da un vecchio cliché di lobby “chiusa” ed autoreferenziale. Un cliché già in gran parte superato ma che forse necessiterebbe di un’ulteriore, risolutiva spinta propulsiva.
Favorire i processi di aggregazione fra le componenti del Sistema è uno dei punti nevralgici della Riforma. Prevede con la sua associazione di aderire nel breve periodo a questo processo?
Gandini: I mutamenti che stanno caratterizzando il nostro sistema associativo nel quale vanno evolvendo fusioni e ipotesi di aggregazione impongono anche alla nostra Unione di osservare tale evoluzione per poter valutare adeguatamente se e quali opportunità si possano presentare anche intorno a noi, sul nostro territorio.
Sinceramente al momento non vedo dietro l’angolo per la nostra associazione la possibilità di dar vita a vere e proprie aggregazioni con realtà a noi confinanti. Ma di certo, e ci stiamo già lavorando, è possibile ed auspicabile dar vita a forme di cooperazione su progetti specifici a vantaggio di imprese associate appartenenti a diversi territori, anche non contigui.
Murgino: La nostra associazione ha avviato con tempestività le procedure per realizzare questo processo. Tuttavia, problemi indipendenti dalla nostra struttura hanno impedito – finora – che il processo iniziato potesse aver seguito. Si tratta di dinamiche, alle quali si sono aggiunte altre concernenti altre aggregazioni interne alla Regione, che non possiamo gestire, e che auspichiamo possano risolversi a breve. Riteniamo che ogni difficoltà nella messa a punto dei nuovi assetti sia sintomatica delle trasformazioni e che sia da ascrivere a una corretta interpretazione e quindi applicazione della riforma stessa. Auspico, pertanto, che si tratti solo di impedimenti di carattere temporaneo. Allo stesso tempo, guardo a quelle forme di aggregazione che, come nel caso della Sicilia e delle Marche, ritengo possano costituire degli esempi da mutuare in altri territori, che tendono ad esaltare le singole peculiarità sciogliendo le Confindustrie regionali ed ottimizzando le risorse attraverso l’integrazione delle competenze e la razionalizzazione delle strutture.
Con la Riforma nasce il Consiglio delle Rappresentanze regionali e per le Politiche di coesione territoriale. Cosa ne pensa?
Gandini: Penso che sia un organo coerente con il nostro Sistema che è una Confederazione di associazioni, anche territoriali. Realtà diverse che vivono in territori con specifiche esigenze e necessità di azione sul lato della rappresentanza e delle risposte da dare alle imprese sul fronte dei servizi.
Queste diversità, però, devono trovare una sintesi in un costante confronto e in un luogo che possa fare da collettore delle best practice per condividere problemi e soluzioni. Prima a livello regionale e poi nazionale. In questo senso il nuovo Consiglio può essere un’occasione per fare, appunto, Sistema, con la S maiuscola, per coordinare esperienze.
Murgino: È l’unico aspetto su cui mi sento di sospendere il giudizio in attesa di capire a quali effetti porterà la sua attivazione, e spiego il perché. Pur ritenendo assolutamente legittimo superare le territorialità e guardare al paese con una visione d’assieme – obiettivo che il Consiglio persegue attraverso la sua nuova articolazione – guardo alla conclusione del Comitato Mezzogiorno, a cui il Consiglio delle Rappresentanze regionali di fatto subentra, come ad un’opportunità che forse non aveva ancora esaurito la sua mission.
Uscire dal cliché delle due metà del paese sicuramente giova sul piano dello scambio e di una possibile e proficua integrazione di esperienze e competenze, e se questo aspetto – che bene viene rappresentato nella riforma – troverà piena attuazione, sicuramente è da plaudire e sostenere. Tuttavia, in attesa di capire quali meccanismi potranno essere attivati attraverso il nuovo organo, non va dimenticato che lo sviluppo del variegato Mezzogiorno, con le sue luci e le sue ombre, è condizione imprescindibile di rilancio del sistema imprenditoriale italiano nella sua interezza. Il Comitato appositamente creato a suo tempo è servito più volte ad accendere i riflettori su questa ampia area del paese, attivando meccanismi virtuosi: l’auspicio è che si continui, anche se con modalità diverse, a perpetuare tali criteri, in una logica di continuità che non potrà che portare benefici a tutto il sistema.
Tra le novità Confindustria istituisce il Consiglio di indirizzo etico e dei valori associativi. Qual è la sua esperienza su questo fronte?
Gandini: La nostra Unione ha sempre potuto contare su un valore intrinseco: su una forte coesione nelle scelte strategiche e nel rinnovo delle cariche. Un elemento di forza che ha fatto anche da naturale anticorpo contro il pericolo di conflittualità nella compagine associativa sul fronte dell’etica.
Da quando sono Direttore dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, su questo punto, non ho mai dovuto affrontare problemi di questo genere.
Ritengo ciò non frutto della fortuna, ma della lungimiranza del sistema imprenditoriale che vede nel sistema associativo un bene che travalica l’interesse particolare.
Murgino: È da sempre uno degli aspetti fondanti del sistema, a cui a giusta ragione Confindustria ha sempre attribuito un’importanza massima, facendone un punto di forza indiscusso. La nostra Confindustria è da anni impegnata a garantire all’interno del sistema i crismi della trasparenza e della legalità, con particolare riferimento al sistema degli appalti, alla certificazione delle aziende, all’osservanza di quei comportamenti, fuori e dentro il sistema associativo, che rispondano ai criteri indicati dal nostro codice e siano conformi ai valori confindustriali.
Tali valori hanno fatto e continueranno a fare nel tempo “la differenza” ed è per questo che attribuiamo loro una valenza che col passare del tempo – e purtroppo anche alla luce delle dinamiche socio economiche di segno negativo che riempiono le cronache – tende a rafforzarsi sempre più.
Identità, rappresentanza e servizi sono le tre funzioni principali di Confindustria. Alla luce dell’attuale scenario economico del paese, quale ritiene sia la più urgente da rafforzare?
Gandini: Quello della rappresentanza. Il Sistema Confindustriale esiste perché è rappresentanza di interessi, di valori comuni, di istanze, di idee e di proposte. È, allo stesso tempo, la base della nostra azione quotidiana e motivo di esistenza. Il valore del Sistema è proprio questo: poter fare sintesi di vari interessi, a volte anche contrapposti, di poter far parlare con una sola voce l’impresa nelle sue varie sfaccettature.
Il mondo dei servizi che siamo in grado di mettere in campo è figlio di questa prima capacità di saper interpretare i bisogni. Una consulenza, anche se di minore qualità rispetto a quella che è sicuramente in grado di fornire un’associazione come la nostra Unione, l’impresa la può trovare anche al di fuori del Sistema. La rappresentanza no. Da nessuna parte.
Murgino: Credo che l’identità sia ancora molto forte e che più che rafforzarla occorra tenerla costante nel tempo attraverso l’autorevolezza e la partecipazione attiva ai processi del paese, che indirettamente daranno vigore anche alla rappresentanza.
Diverso è il discorso per quanto concerne i servizi, che rappresentano pur sempre il nostro principale strumento di fidelizzazione delle aziende, e che devono costantemente rinnovarsi, tenersi al passo con i tempi, adeguarsi alle esigenze diversificate delle aziende, ottimizzando le risorse a disposizione e sfruttando al meglio le nuove tecnologie.
È questa, da sempre, una delle grandi responsabilità a cui siamo chiamati e che ci impegna da anni per cercare di fare sempre meglio.