
di Lella Golfo, Presidente Fondazione Marisa Bellisario
Sono trascorsi poco più di cinque anni dall’entrata in vigore di una norma che ha sicuramente rivoluzionato la condizione femminile in Italia. Mi riferisco alla legge sulle quote di genere che mi onoro di aver proposto e portato all’approvazione. Una norma che non ha soltanto cambiato in maniera radicale i numeri della presenza femminile ai vertici, ma ha inciso profondamente sulla cultura del nostro Paese.
Quando l’ho presentata, nel 2008, le donne nei Cda erano il 5,6%, appena 170 contro 2.712 uomini e la Banca d’Italia aveva stimato che per arrivare al 30% ci sarebbero voluti almeno 50 anni.

LELLA GOLFO
Oggi, il primo rapporto Cerved-Fondazione Bellisario, ci dice che le donne nei Cda delle società quotate sono arrivate a quota 34% (40,2% nei collegi sindacali) mentre nelle società controllate siamo passati dal 18,3% del 2013 al 30,9%. L’Italia oggi è accanto a Francia, Svezia e Finlandia, tra gli unici paesi europei ad aver superato il tetto del 30% di donne nei Cda delle grandi aziende. Almeno su questo fronte non siamo fanalino di coda in Europa.
Quello che è accaduto in questi cinque anni non può considerarsi un miracolo: è stato il mercato per primo a darci ragione. Le aziende hanno sperimentato concretamente i vantaggi della maggiore presenza femminile ai vertici. Hanno constatato che i board misti sono più produttivi e creativi, hanno apprezzato il bagaglio di competenze femminili, il loro approccio e la loro propensione all’innovazione. Il risultato è che oggi i membri dei Cda sono più giovani, istruiti, competitivi e competenti; e che l’ingresso
femminile ai vertici spesso ha ridotto l’indebitamento delle aziende e quasi sempre ha prodotto risultati economici migliori.
Certo, c’è ancor tanto da fare. Per esempio, le donne in ruoli esecutivi restano poche, troppo poche: 7,9% sono Ad di società quotate e 10,1% presidenti, mentre le donne a capo di società con oltre dieci milioni di euro di fatturato sono il 10,3% e scendono a 6,3% se questo supera i 200 milioni. Abbiamo sicuramente aperto un varco, anche nel management – dove negli ultimi cinque anni le donne dirigenti sono cresciute del 20% – e da lì dobbiamo partire per “andare oltre”. Uno studio dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere ha analizzato i vantaggi economici della parità di genere nei settori più strategici, da qui al 2050.
Per esempio, la parità porterebbe in dote fino a 10,5 milioni di posti di lavoro. E un aumento del Pil pro-capite dell’Unione europea fino al 9,6%, oltre 3mila miliardi di euro. Significa che le donne rappresentano una risorsa preziosa di cui l’Italia, l’Europa, il mondo non possono più fare a meno.
E allora bisogna prima di tutto risolvere la questione urgentissima della disoccupazione femminile. In Italia il tasso di occupazione femminile si ferma al 48,9%, con punte del 59,3% in Lombardia e di un avvilente 26,6% in Calabria. E, ancora, una donna su tre lascia il lavoro all’arrivo del primo figlio.
L’anno scorso la Fondazione Marisa Bellisario e Intesa Sanpaolo hanno istituito il Premio Women Value Company per le piccole e medie imprese che mettono le donne al centro delle loro strategie di crescita: un’esperienza che ci ha fatto conoscere oltre mille aziende davvero virtuose che promuovono la carriera femminile e investono in politiche di welfare innovative.
E quest’anno, a quel premio abbiamo aggiunto il Work Life Balance Friendly, dedicato alle grandi imprese e realizzato in collaborazione con Confindustria.
Tutto questo perché siamo convinte che sia necessario valorizzare, premiare questi modelli perché possano contaminare tutto il sistema e supplire alle gravi carenze del welfare pubblico.
Così come bisogna incentivare l’imprenditoria femminile, che in questi anni di dura crisi ha dimostrato tutte le sue potenzialità, rappresentando un vero salvagente per il Paese.
Tutte le statistiche dimostrano che avere più donne al lavoro non è soltanto giusto ma conviene a tal punto che con un’occupazione femminile al 60% si potrebbe avere un incremento del 7% di Pil. Per questo va fortemente incoraggiato e sostenuto un cambiamento di passo. È necessario che le donne entrate nei board grazie alla legge mandino giù “l’ascensore di cristallo” e facciano salire in cima altre donne.
Perché per cambiare il sistema bisogna cambiare gli attori e portare più donne ai tavoli dove si decide.
Servono amministratori delegati, donne e uomini, che mettano in atto politiche volte a rafforzare la classe dirigente femminile, che investano sul welfare aziendale, creino percorsi di carriera al femminile e pongano fine al gap salariale, definito dall’Onu come il più grande furto della storia.
E poi servono anche donne consapevoli delle loro potenzialità. C’é bisogno di meritocrazia, non a parole ma nei fatti. Noi, come Fondazione Marisa Bellisario, da trent’anni lavoriamo perché tutto ciò si trasformi da semplice utopia in realtà.
La strada per parità e meritocrazia è sicuramente ripida e lunga, ma per arrivare in cima bisogna cambiare prima di tutto la cultura del Paese e diventare consapevoli che l’uguaglianza di genere non è solo una questione di valori, ma di modernizzazione sociale ed economica.
E allora mi piace concludere con le parole che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rivolto alle Mele d’Oro della XXX edizione del Premio Marisa Bellisario ricevute al Quirinale il 15 giugno: “La varietà dei campi d’impegno delle donne premiate dimostra quanto il nostro Paese stia crescendo velocemente nella dimensione femminile, nel protagonismo femminile, che ogni tanto ha qualche battuta d’arresto, ma è comunque un moto inarrestabile, per fortuna. Oltre cinquecento donne premiate in questi trent’anni sono un bel traguardo e mi rendo conto che sia sempre più difficile fare una selezione. Questo è il dato più importante e significativo ed è rappresentato in tutti i campi in cui voi eccellete. Certo, il percorso delle istituzioni sarà completato quando vi sarà una donna Presidente del Consiglio e un’altra al Quirinale. Ma intanto si va crescendo progressivamente. Una donna Presidente del Senato completa, nella vita parlamentare, il protagonismo femminile. Sembra un luogo comune, in realtà lo dico per convinzione, perché la società migliora e lo si vede anche nelle relazioni internazionali: dove vi sono relazioni gestite da donne, le intese di pace sono – questo è ampiamente verificato –mediamente più salde, più stabili e più sicure, perché evidentemente vi è una capacità e una sensibilità più profonda nell’affrontare problemi e difficoltà. E questo riguarda anche il fronte interno del nostro Paese. La Fondazione in trent’anni ha accompagnato, contribuito a sollecitare e a far crescere questo movimento. Ciò è veramente prezioso”.