Moira Canigola, Sindaco di Monte Urano e Presidente della Provincia di Fermo
Le attività produttive devono ripartire
Monte Urano non è nel “cratere”, siamo ad un’ora di macchina dall’epicentro del sisma, eppure la scuola media, il teatro e la chiesa sono stati dichiarati inagibili e oltre 300 abitazioni private segnalate per le lesioni riscontrate dopo gli eventi di agosto ed ottobre.
Siamo 8mila abitanti, un’economia basata prevalentemente sull’industria calzaturiera purtroppo in crisi da diversi anni. Le strutture danneggiate sono state tutte sostituite con sistemazioni temporanee. La chiesa è stata spostata per alcuni mesi in un centro sportivo e ora grazie a dei ponteggi è stata riaperta. L’attività culturale in assenza del teatro, unico contenitore esistente, è stata portata avanti nel periodo estivo con manifestazioni all’aperto, ma si prevede una stagione invernale priva dell’uso della struttura.
Il Programma Gestione Emergenze di Confindustria (PGE) – attraverso il coordinamento della Protezione Civile e la collaborazione di Confindustria Campania e Confindustria Toscana, in particolare grazie all’azienda ROSSS – ci ha donato un modulo scolastico in acciaio di 400 metri quadri, che sostituisce la parte della scuola inagibile. Con l’inizio del nuovo anno i ragazzi delle medie si trasferiranno lì, vicini alla scuola elementare esistente.
Si tratta di una soluzione intermedia che ci dà il tempo per realizzare il nuovo edificio scolastico, già finanziato dalla Regione Marche, senza che siano gli alunni a pagare le conseguenze dei tempi della burocrazia e della ricostruzione.
Nel territorio provinciale ci sono alcuni Comuni che sono stati pesantemente danneggiati con un numero alto di sfollati verso le zone costiere. Questo ha messo in difficoltà l’intero sistema sociale ed economico: far ripartire le attività produttive è indispensabile per ricostruire e creare occupazione. Senza lavoro non si possono rimettere insieme né i pezzi della propria vita, né quelli della propria casa.
Pietro Cecoli, Sindaco di Monte Cavallo
Fare sistema: dividersi non porta da nessuna parte
Monte Cavallo è un piccolo Comune di montagna, siamo 145 abitanti, e il sisma ci ha già colpito duramente nel ‘97. Sembra assurdo, ma quella disgrazia è servita perché le abitazioni allora crollate sono state ricostruite secondo criteri antisismici e in occasione delle ultime scosse hanno, in gran parte, retto. L’edificio del Comune invece è inagibile, tanto che attualmente operiamo in una casetta di legno fornita dalla Regione Marche. Tutte le chiese sono dissestate, si prega in un tendone: avremmo bisogno di un prefabbricato per dare agli abitanti un luogo in cui raccogliersi e celebrare le festività.
Per non condannare a morte il nostro territorio serve lavoro di squadra, impegno comune per evitare lo spopolamento, far ripartire le attività economiche, il turismo e rendere conveniente investire qui. Non solo oggi, ma nei prossimi anni.
Il PGE ha coordinato la realizzazione di una mensa-ristorante prefabbricata in legno, donata da Unindustria Treviso, inaugurata lo scorso aprile, vero presidio di vita e socialità per aiutare gli abitanti a sconfiggere la paura e a cercare di dimenticare. La strada comunale è franata sia a valle che a monte: nonostante abbiamo dato mandato già un anno fa all’Anas per la ricostruzione, occupandoci noi di realizzare il 90% del progetto, non è stata ancora bandita la gara d’appalto.
Se rimaniamo isolati non abbiamo speranza di sopravvivere. I piccoli Comuni sono una peculiarità dell’Italia, dovremmo fare sistema invece di dividerci.
Alessandro Giustini, proprietario dell’Hotel Cursula di Cascia
È fondamentale far tornare i turisti
In Valnerina, specie nelle zone di Cascia e Norcia, il turismo, risorsa principale, ha registrato quasi l’80% di presenze in meno. La situazione occupazionale è catastrofica: i contratti di lavoro, per la maggior parte a tempo indeterminato, sono stati interrotti e tra poco finirà il sussidio di disoccupazione.
La viabilità è difficile, la galleria Forche Canapine è chiusa: per raggiungere Cascia dalla A14 ci vogliono almeno due ore e mezza. Il fatturato di aziende che non possono delocalizzare è crollato: c’è bisogno di aiuti, come è stato fatto in passato, ma la legge sul risarcimento del mancato incasso non c’è ancora. La “Zona Franca Urbana” andrebbe rivista aumentando l’importo da 200 a 500mila euro, limitatamente alla sua attuazione, o non computando nel plafond del de minimis quanto utilizzato per gli investimenti degli ultimi due anni. E dovrebbe durare almeno tre anni per le aziende funzionanti e cinque per quelle da ricostruire.
Nelle ordinanze non c’è nulla sulle banche. Da novembre torneranno esigibili le rate dei mutui: ci sono imprese come noi che non sono ancora ricostruite; altre che non hanno più flussi tali da garantire i pagamenti. Se non ci si muove, il nostro rating diverrà talmente basso da non permettere di risollevarci. Serve congelare i mutui per la fase di ricostruzione e ripartenza. Una solidarietà fondamentale è arrivata dal PGE: nell’immediato abbiamo avuto un container per stoccare beni strumentali e, dopo un mese e mezzo, un container ufficio che lo scorso inverno ci ha permesso di lavorare.
Il nostro albergo aveva un ristorante di qualità con cento coperti e dava lavoro a 15 persone.
Ad oggi è completamente inagibile e nelle ordinanze non sono previsti nemmeno gli aiuti per l’acquisto dei dissipatori sismici che in altri paesi sono obbligatori. Quando torneremo a lavorare?
Simone Petrucci, titolare del Caseificio Petrucci di Rieti
Ci siamo rialzati da soli. Burocrazia paradossale
Abbiamo subito danni ingenti sin dalla prima scossa, soprattutto nello stabilimento produttivo di Amatrice, mentre quello di Rieti, fortunatamente, non è stato danneggiato. Solo la tenacia e l’impegno personale ed economico della nostra famiglia e degli operai chiamati per la ristrutturazione – insieme alla solidarietà di dipendenti, clienti e fornitori – ci ha permesso di riprendere in tempi relativamente brevi la produzione nel sito di Amatrice. I lavori di ripristino sono stati ostacolati soprattutto dalla scarsa viabilità: la strada principale di collegamento dello stabilimento è stata a lungo interrotta ed è stata riaperta solo due mesi fa. Abbiamo avuto molte difficoltà a reperire personale qualificato, tanti dipendenti ci hanno lasciato per la paura o per il trasferimento forzato in altre località. Tutta l’area abitativa collegata allo stabilimento è stata danneggiata, compresa la nostra casa, e i lavori di ristrutturazione non sono ancora potuti partire. L’unico che è riuscito a tornare a vivere vicino all’azienda è il casaro, grazie al modulo abitativo donato dal PGE attraverso Unindustria Rieti.
Non è mancata la vicinanza delle istituzioni sia a livello locale che nazionale e questo ci ha dato la forza di andare avanti e riprendere velocemente la produzione. Tuttavia, le lentezze burocratiche costituiscono un ostacolo paradossale: ancora oggi non abbiamo ottenuto l’approvazione definitiva per la conclusione dei lavori e la chiusura del cantiere.