
Gli scenari economici e sociali contemporanei enfatizzano, sempre di più, che l’attività dell’imprenditore è, per definizione, caratterizzata dall’incertezza causata dai rischi esterni e interni alla struttura aziendale. Solo con adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili è possibile ricondurre l’incertezza all’interno di un perimetro di accettabilità.
In tale contesto, la pianificazione aziendale (attività rientrante nei principi di corretta amministrazione) assume un ruolo fondamentale e consiste nel determinare gli obiettivi da raggiungere congiuntamente alla verifica delle possibili azioni da porre in essere per il raggiungimento di detti obiettivi.
Il passaggio successivo e necessario è rappresentato dall’attività di periodica verifica del grado di raggiungimento degli obiettivi, con l’individuazione delle conseguenti azioni correttive, in stretta correlazione con le risultanze del “controllo di gestione” (attività anch’essa rientrante nei principi di corretta amministrazione). L’aspetto fondamentale di tale analisi è rappresentato dall’evidenza della economicità della gestione, ovvero la capacità di remunerare correttamente i fattori della produzione, nonché dei necessari equilibri finanziari.
Vista in questa luce, anche la nuova normativa per la prevenzione della crisi d’impresa appare non tanto nel suo aspetto di adempimento burocratico, quanto in quello di “facilitatore” di una nuova cultura: quella dell’autodiagnosi dello stato di salute in termini di valutazione in continuo dell’equilibrio economico e finanziario.
Questo insieme di nuovi obblighi rilevano dal punto di vista dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo della società, un tema cui il d. lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (recante il Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, CCII) ha dato risalto. È infatti intervenuto sui contenuti dell’art. 2086 del Codice civile, facendone la norma cardine in tema di assetti organizzativi, amministrativi e contabili dell’impresa. È stato aggiunto un secondo comma stando al quale “[ ] l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
È grazie anche a questa previsione se oggi risulta ancor più chiaro che l’organo amministrativo ha il dovere di adeguare senza indugio l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile dell’impresa, affinché lo stesso risulti idoneo, tra le altre cose, a salvaguardare la continuità aziendale.
Per quanto il Codice della crisi lo abbia posto in risalto, l’adeguatezza degli assetti organizzativi non rappresenta comunque, di certo, un argomento nuovo. Al di là del riferimento rinvenibile nell’art. 149 del Testo unico in materia di intermediazione finanziaria (Tuf), ad occuparsene da tempo è, ad esempio, la legge 231/2001, che come noto stabilisce che un adeguato modello di organizzazione, gestione e controllo può consentire alla società di evitare la condanna delle persone giuridiche in punto di responsabilità amministrativa. Ma questo non vuol dire, tuttavia, che nulla sia cambiato a seguito della recente riforma della crisi di impresa.
La fondamentale differenza risiede nel fatto che il secondo comma dell’art. 2086 del Codice civile ha introdotto una regola generale, applicabile ad ogni realtà definibile come impresa. Non conta più il tipo di società e l’ambito di appartenenza, poiché l’obbligo investe tutti gli imprenditori operanti in forma societaria o collettiva ed in generale ogni realtà definibile come impresa. Inoltre, ai sensi dell’art. 3 del CCII, anche l’imprenditore individuale deve adottare “misure” (non assetti) idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere le iniziative necessarie per farvi fronte.
Pur avendo generalizzato, in tal modo, l’onere dei gestori di approntare adeguati strumenti di organizzazione dell’impresa, il legislatore non ha tuttavia ben delineato la portata dell’obbligo. A sopperire in parte contribuisce tuttavia la scienza aziendalistica, la quale tra l’altro richiede (i) una chiara suddivisione delle responsabilità tra i soggetti coinvolti al perseguimento degli obiettivi; (ii) la definizione di questi stessi obiettivi, oltre che dei programmi, delle politiche e degli standard di prestazione; (iii) l’istituzionalizzazione di un organico processo di comunicazione interna relativamente a responsabilità, gerarchie, dipendenze e rapporti; (iv) il periodico monitoraggio e aggiornamento delle procedure interne.
A questa base si deve poi aggiungere tutta una serie di elementi che la dottrina aziendalistica ritiene indispensabili nella prospettiva di una corretta programmazione, tra i quali assumono primario risalto quelli riguardanti l’identificazione, la misurazione, il monitoraggio e la pianificazione dei rischi.
Tutto questo apre la tematica dei doveri del diligente gestore, tra scelte obbligate e business judgement rule. Da questa regola, come è noto, dottrina e giurisprudenza fanno da tempo dipendere la non imputabilità agli amministratori degli atti di gestione che appaiano, sulla base di una valutazione ex ante, legittimi e non irrazionali.
L’istituzione di efficaci e funzionanti assetti, soprattutto di carattere amministrativo e contabile, potrà infatti consentire agli amministratori un monitoraggio pressoché continuativo dello stato patrimoniale, economico e finanziario della società. Strumenti aziendalistici quali i piani industriali, i budget di periodo e analisi scostamenti permettono agli amministratori di ottenere adeguate valutazioni e tempestive informazioni e quindi di adempiere ai citati obblighi.
Articolando il ragionamento sugli assetti organizzativi, è possibile individuarne una doppia dimensione, statica e dinamica. La dimensione statica attiene alla loro configurazione e si estrinseca essenzialmente negli organigrammi, nei manuali interni, nei mansionari. La dimensione dinamica attiene, invece, al loro concreto funzionamento e soprattutto al loro adattamento ai mutamenti che interessano l’attività d’impresa. La capacità di adattamento dipende sicuramente dal grado di flessibilità della struttura organizzativa, ma anche dalla misura in cui il cambiamento ancor prima di essere affrontato, sia stato previsto e in qualche modo anticipato. Ed è sotto quest’aspetto che rileva il tema della pianificazione aziendale, che può a tutti gli effetti essere considerato un assetto organizzativo a sua volta, e che si estrinseca nel piano strategico, dotato di una dimensione prospettica e previsionale.
Degno di nota è il fatto che dal 16 marzo 2019 tutti gli amministratori che non hanno dotato l’azienda di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, capace di intercettare gli indizi di crisi e, soprattutto, la perdita della continuità aziendale, risponderanno con il proprio patrimonio personale delle obbligazioni sociali della società amministrata per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale così come disposto dal nuovo art. 2476 del Codice civile.
Appare opportuno sottolineare come, sempre dal 16 marzo 2019, sia in vigore, accanto all’obbligo di istituire un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, anche quello di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. A loro volta gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione sono specularmente chiamati ad un’opera di attenta verifica del rispetto degli obblighi posti a carico degli amministratori.
Si tratta di una norma rivoluzionaria, soprattutto nella sua portata culturale, considerando l’intento del legislatore di costringere il management aziendale a gestire in modo corretto e adeguato l’azienda, senza improvvisazioni e con competenza, allo scopo di eliminare le inefficienze e favorire la proliferazione di aziende sane e gestite con sagacia e intelligenza. È ormai chiaro che nessuna impresa – sia per il contesto economico, sia per le nuove normative – può rischiare di sottovalutare il bisogno di organizzarsi in modo da misurare con efficacia e tempestività le proprie performance e quindi essere in grado di rilevare non solo il grado di successo ma anche il grado di insuccesso: il successo non deve essere effimero e l’insuccesso non deve essere duraturo e quindi sintomo di peggioramento strutturale e potenzialmente irreversibile.
Contributo 10/16. Prossima uscita: 10 febbraio)
Articoli precedenti:
Capire la crisi, cambiare il paradigma: appunti per ripartire (pubblicato il 16 settembre 2022)
L’impresa ha un’anima: il cambiamento nei modelli organizzativi (pubblicato il 30 settembre 2022)
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Come allineare strategia e azione: lo strumento della Balanced Scorecard (pubblicato il 28 ottobre 2022)
Il piano industriale: cos’è, a cosa serve, chi lo elabora (pubblicato l’11 novembre)
Il piano industriale: fasi e contenuti (pubblicato il 25 novembre)
Il piano industriale: un esempio di struttura (pubblicato il 9 dicembre)
Il controllo di gestione: strumenti per un monitoraggio efficace (pubblicato il 23 dicembre)
La valutazione dell’impresa (pubblicato il 13 gennaio)
Nota sull’autore

ANDREA DALLA CHIARA
Andrea dalla Chiara è partner dello Studio dalla Chiara 1884, che conduce come rappresentante della quarta generazione, ed esercita e coordina l’attività di consulenza societaria, tributaria, legale e di controllo di gestione. Si è laureato nel 1989 in economia e commercio all’Università di Torino ed è iscritto dal 1990 all’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili. Ha seguito numerosi corsi di approfondimento e master di specializzazione nelle seguenti materie: diritto tributario, societario, finanza e controllo, contenzioso tributario. Fa parte del gruppo di studio dell’Ordine dei dottori commercialisti di Torino per i Piani industriali. È consulente del Tribunale e della Procura della Repubblica di Torino, nonché revisore contabile.