
Declinato in varie “accezioni”, il caffè è uno dei simboli italiani. Come ogni tradizione è però possibile mantenerla solo grazie a continue innovazioni di prodotto e di processo, oltre che organizzative, e con un controllo costante della filiera, dalla produzione della materia prima alla fruizione da parte del consumatore finale.

FAUSTA COLOSIMO
Ne abbiamo parlato con Fausta Colosimo, Direttore Mercati internazionali di Cesare Trucillo SPA, piccola impresa di Salerno, da oltre 70 anni produttore di caffè e che realizza il 70% del suo fatturato all’estero. Con oltre 40 addetti e più 5 milioni di fatturato, l’azienda ha fatto della formazione e dell’attenzione alla qualità i propri driver di successo, oltre alla capacità di contaminarsi con le diverse culture dei paesi target.
Le imprese che riescono a competere efficacemente danno sempre più valore alla qualità, alla sostenibilità e alla formazione e hanno compreso come la tradizione si mantenga solo con l’innovazione. In Trucillo come declinate questi aspetti?
Partendo dall’attenzione alla qualità, la materia prima e la cura del prodotto sono il primo elemento. Il concetto di “ambiente” nel nostro caso è ampio e il primo cui dobbiamo dedicare attenzione è il contesto delle piantagioni, che si trovano in Centro e Sud America, Africa e Asia. I viaggi che spesso son stati fatti da mia figlia, Antonia Trucillo, che si occupa anche del controllo qualità, sono finalizzati proprio a verificare come venga prodotta la materia prima e alla necessità di capire e controllare cosa ci sia dietro al chicco di caffè che poi sarà lavorato.
Allo stesso modo, l’attenzione all’ambiente e al contesto in cui operiamo è rappresentata dai profondi cambiamenti che hanno interessato il nostro stabilimento produttivo in Italia, rinnovato attraverso un processo di digitalizzazione e con un’attenzione particolare alla sostenibilità, controllandone emissioni e produzione, a partire da 350 pannelli fotovoltaici che coprono al 72% il fabbisogno dell’azienda.
In entrambi i casi, alla base c’è la formazione del capitale umano, a partire dalla proprietà e dal management. Conoscere il prodotto, i metodi di lavorazione anche esterni allo stabilimento vero e proprio dell’azienda permette di scegliere consapevolmente, con benefici per il consumatore finale e quindi per la stessa impresa. Il problema della qualità si ripropone poi a valle del processo di trasformazione che operiamo, poiché non vendiamo un prodotto finito, ma semilavorato, che il cliente valuta però nel suo complesso.
Se a monte della lavorazione e della trasformazione riuscite a controllare il prodotto scegliendo quali materie prime usare, studiando i territori e conoscendo i fornitori, come mantenere la qualità fino alla tazzina, dove divenite a vostra volta fornitori?
Dalla necessità di assicurare quanto più possibile un prodotto eccellente al consumatore finale è nata vent’anni fa l’idea dell’Accademia Trucillo, la prima scuola del caffè del centro-sud Italia, un luogo in cui formare coloro che si trovano poi a dover compiere l’ultimo processo di trasformazione.
L’Accademia vanta oggi numeri molto rilevanti in termini di persone formate: sono oltre cinquemila i professionisti e gli operatori del settore che abbiamo formato in venti anni, con corsi che spaziano dalla formazione teorica a quella pratica. I nostri studenti imparano a valutare il caffè, a prepararlo e a conoscere la materia prima, le lavorazioni e la loro storia. Quando iniziammo non era diffusa la cultura tecnica della preparazione del prodotto finito e non fu facile convincere al cambiamento. Anche oggi molti dei nostri studenti non sono italiani, poiché non è sempre facile mettersi in discussione, soprattutto se si ritiene che la propria esperienza nel settore sia consolidata e sufficiente.
Quando parliamo di caffè immaginiamo non solo la bevanda, ma anche il luogo, il rito e le sue diverse declinazioni. Un gesto automatico che non può essere dato per scontato quando usciamo dal nostro Paese. Come si prepara l’esportazione di un bene così particolare, che dipende molto anche dalle modalità di fruizione di cui abbiamo sopra accennato, oltre che dalla cultura del luogo?
Dieci anni fa, quando abbiamo iniziato un processo più strutturato di esportazione, non è stato semplice. Ci siamo però resi conto che il valore della nostra impresa non era solo la materia prima, ma tutto il know how che avevamo e la formazione che stavamo erogando. È stato quindi quasi automatico, ma fondamentale, trasferirlo ai nostri distributori all’estero. Abbiamo aperto sedi dell’Accademia a Toronto, a Dubai, in Olanda, cercando di esportare non tanto e solo il prodotto, quanto la cultura del caffè, la conoscenza della materia prima e l’esperienza del rito. Questo ci ha permesso anche di rafforzare i nostri distributori e anche di fondere la nostra cultura con le modalità di fruizione in loco.
Un altro importante investimento è stato dedicato al canale Horeca, con un imponente processo di rebranding e restyling totale della linea professionale.
In sintesi, il nostro percorso di internazionalizzazione ed esportazione non è stato semplicemente puntare sui volumi e sul prodotto semilavorato, sempre uguale a sé stesso. È stato invece un percorso costruito sulle necessità finali, mirando al valore del marchio e alla qualità della materia prima ma anche nella consapevolezza dei diversi mercati finali. Un piano strategico che ha comportato investimenti anche sul capitale umano per costruire un concept che ruotasse intorno al caffè a 360 gradi.
Il momento attuale però rischia di mettere in discussione numerosi modelli di business. Trucillo come ha affrontato l’emergenza Covid?
L’aver rinnovato completamente lo stabilimento e l’aver adottato tecnologie cloud ci ha permesso di affrontare in modo molto più resiliente l’emergenza. Se le tecnologie 4.0 ci avevano consentito di mantenere sempre meno contaminato il prodotto, con un lavoro più automatizzato, l’apporto delle nuove generazioni nella proprietà ha permesso di sperimentare nuove tecnologie, dal cloud al lavoro in condivisione digitale, che avevano già dimostrato la loro efficacia e importanza ad esempio nei processi di internazionalizzazione. Lo smart working è risultato quindi semplice da applicare senza grandi ripercussioni sulla produzione.
Inoltre, anche passata l’emergenza, queste capacità e know how rimarranno e potranno essere utili sia nel quotidiano, o meglio nell’ordinario, sia nello straordinario, come in questo caso.