Gli ultimi dati forniti dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) sull’andamento del nostro Pil consentono di tracciare un rapido bilancio dell’anno che si sta chiudendo e delineare le prospettive per il 2020. La stima per il 2019 darebbe, secondo l’Istituto, una variazione dello 0,2%. Considerando che a inizio anno molti indicavano una crescita nulla e alcuni persino negativa, si può dire che sia andata meglio del previsto. Questo dato peraltro è affiancato da segnali confortanti proveniente dal mercato del lavoro, dove sale l’occupazione e cala il tasso di disoccupazione, al 10,0% (10,7 nel 2018). Nel 2020 secondo l’Istat questa dinamica proseguirebbe: la crescita del Pil salirebbe allo 0,6% – la metà di quanto previsto per l’Eurozona! – e la disoccupazione continuerebbe la sua discesa. Siamo dunque sulla strada giusta per un graduale consolidamento della ripresa?
I fattori negativi
Per rispondere alla domanda bisogna considerare i principali fattori destinati a pesare sulla dinamica della nostra economia. Cominciamo da quelli macro. In primo luogo il contesto internazionale, che non aiuta. Le previsioni sono formulate sulla base degli ultimi scenari tracciati dagli organismi internazionali, che potrebbero essere ancora rivisti al ribasso poiché i fattori di rischio globali non vanno attenuandosi. Un secondo elemento di preoccupazione riguarda i consumi, che sono poi la componente più rilevante della domanda. Il clima di fiducia delle famiglie infatti è in peggioramento e il reddito disponibile non è ancora tornato ai livelli pre-crisi. Infine, la produttività rimane stagnante, ed è persino diminuita nel 2018, mentre sta rallentando la dinamica degli investimenti fissi lordi. Questi ultimi segnali sono particolarmente preoccupanti se visti in prospettiva, perché dalla produttività e dagli investimenti dipende la crescita nel medio-lungo termine dell’economia.
L’industria
Dal lato più microeconomico, un elemento negativo da non trascurare è il calo – per non parlare di declino – dell’industria. Sempre l’Istat certifica che ad agosto l’indice della produzione industriale si è ridotto dello 0,3% rispetto a settembre e del 2,4% su base annua. Del resto le chiusure di fabbriche dal nord al sud dell’Italia sono oramai all’ordine del giorno. Una tendenza iniziata negli anni della “Grande Crisi” che evidentemente non si è arrestata. L’industria è però il cuore del sistema. Da essa dipendono buona parte dei servizi così come delle esportazioni – i cui introiti servono a pagare le importazioni – e dall’industria deriva tradizionalmente l’innovazione tecnologica, che poi traina la produttività. Le cause del fenomeno sono molteplici. Negli ultimi anni può aver pesato il calo dell’export dovuto alle tensioni commerciali, ma vi sono anche ragioni più profonde. Come la difficoltà di attirare o trattenere sul nostro territorio le grandi imprese multinazionali, unitamente ad una crescente avversione verso la grande fabbrica, con il suo inevitabile impatto sull’ambiente circostante. Il caso dell’Ilva docet.
Le costruzioni
Altro settore su cui appuntare l’attenzione è quello delle costruzioni, tra i più penalizzati nei lunghi anni della crisi. Sempre in base alle ultime evidenze fornite dall’Istat, la ripresa che sembrava essersi materializzata nei primi mesi dell’anno è andata mano a mano spegnendosi, facendo ora presagire un 2020 con segno negativo. Questo delude le attese degli operatori del settore, che avevano puntato su un graduale miglioramento della congiuntura. Si tratta di un segnale preoccupante per vari motivi. Innanzitutto perché le costruzioni hanno un indotto rilevante, e fanno da traino a settori caratterizzanti del nostro manifatturiero, come quelli dei materiali da costruzione (laterizio, ceramica, vetro, cemento e calcestruzzo, acciaio, ecc.). In secondo luogo perché un patrimonio edilizio e infrastrutturale più moderno significa – oltre ad una maggiore sicurezza e ad una migliore qualità della vita per i cittadini – una logistica più efficiente, costi più bassi per le imprese, una più elevata produttività.
La “manovra”
Quella che l’attuale Governo sta per varare non sembra in grado di cambiare lo scenario che ho delineato. Si tratta, come hanno osservato molti commentatori, di una manovra di ‘galleggiamento’, né recessiva né espansiva. Essa permette di rispettare i parametri concordati con Bruxelles e di scongiurare l’aumento dell’Iva. Ma non vi sono particolari misure di stimolo alla crescita: si tratta in sostanza di una manovra “redistributiva” del carico fiscale. Anche sul fronte dei “cantieri” purtroppo non si intravedono particolari novità. Infatti né la proroga di un anno degli incentivi alla riqualificazione in chiave antisismica ed energetica degli edifici, né la detrazione per il rifacimento delle facciate (90% senza limiti di spesa) possono rappresentare la svolta che sarebbe auspicabile per far ripartire i tanti lavori fermi lungo tutta la penisola.