Se c’è un luogo al mondo in cui oggi vale la pena investire per raccogliere i frutti in un tempo nemmeno troppo lontano, quello è Dubai. Il primo per popolazione e il secondo per estensione dei sette emirati che compongono gli Emirati Arabi Uniti, si presenta infatti come una realtà molto dinamica dal punto di vista economico e sociale. E, al contrario di quanto si potrebbe pensare, ciò non è dovuto ad attività legate al solo settore petrolifero. Circa il 94% delle riserve appartiene, infatti, all’Emirato di Abu Dhabi e le stesse risorse di Dubai si calcola termineranno entro i prossimi 15 anni.
Da cosa nasce, allora, questo dinamismo? Alla base c’è una lungimirante politica di diversificazione dell’economia, che sta puntando su settori come high-tech, logistica, turismo e finanza per finire con sanità e istruzione. A questa si aggiunge – come evidenzia l’Ice – un insieme di fattori, quali “il rafforzamento dell’attrazione degli investimenti esteri perseguito attraverso riforme del quadro-economico giuridico del Paese, la stabile impostazione della disciplina normativa in materia di imprese e il costo contenuto della manodopera”.
Questo fermento trova conferma nelle parole di Alessandra Antonelli, corrispondente da Dubai per Ansamed, costola dell’agenzia giornalistica Ansa specializzata sui paesi mediterranei: “Dopo la frenata della crisi l’economia è ripartita. Questa volta, però, non sono solo le grandi imprese a muoversi ma anche le Pmi, specialmente quelle più competitive in ambito internazionale, per un totale di circa 300 aziende oggi attive in tutti gli Emirati – racconta via Skype in occasione del “Premio Euromediterraneo 2014” svoltosi a Roma, presso l’Associazione Stampa Estera.
Per aggiungere che “le imprese presenti sul territorio sono interessate non soltanto a vendere, ma investono anche sulla formazione del capitale umano”. Circa i settori c’è un forte spostamento verso la ristorazione, i servizi, l’information technology e le energie rinnovabili ma buone opportunità, sottolinea ancora Antonelli, riserva anche l’indotto delle costruzioni e delle infrastrutture.
In particolare le costruzioni e l’immobiliare, secondo le stime di Business Monitor International (afferente al Gruppo Fitch, ndr) solo a Dubai nella prima metà del 2013 hanno contribuito per il 21% alla crescita del pil dell’Emirato, secondi ai settori retail & wholesale. Prospettive ancora più floride si profilano grazie all’Expo 2020, assegnato alla fine dello scorso anno proprio a Dubai e che secondo il governo locale avrà un enorme impatto sullo sviluppo del paese con una crescita del pil stimata al 6,4% per il biennio 2014-2016 e un fabbisogno di circa 43 miliardi di dollari per il potenziamento delle infrastrutture legate alla manifestazione.
L’effervescenza della capitale è visibile anche nei numerosi centri commerciali che, dato il clima torrido della regione per almeno sei mesi all’anno, sono molto frequentati e rappresentano di fatto il principale canale di vendita. Un caso speciale è il Dubai Mall, ubicato a pochi passi dal grattacielo più alto al mondo, il Burj Khalifa, e che proprio per il fatto di essere a sua volta il più grande centro commerciale ad oggi esistente – ben 1.200 i negozi all’interno – è diventato una meta turistica autonoma.
Essere presenti a Dubai, oggi, significa non soltanto essere laddove l’economia si muove, ma anche dotarsi di un avamposto strategico per raggiungere a est il continente asiatico e a sud l’Africa sub-sahariana. Aspetti ben chiari all’Ice che, presente negli Emirati Arabi sin dal 1988, ha maturato in questi anni una conoscenza capillare del mercato e delle regolamentazioni vigenti. Ferdinando Fiore, Direttore dell’Ufficio di Dubai, invita quindi ad approfittare di questa possibilità, se non altro perché una semplice visura camerale o informazioni più riservate consentono all’imprenditore di risparmiare tempo e denaro e possono cautelarlo da incontri poco chiari. “Per distribuire e commercializzare un prodotto – spiega – nella maggior parte dei casi occorre trovare una controparte locale. Si instaura un rapporto di agenzia, che in base alla normativa locale è sempre a carattere esclusivo e di difficile rescissione. Il consiglio, dunque, è quello di trovare una controparte societaria: rapporti con personaggi apparentemente di spicco, spesso presentati come sceicchi, potrebbero risultare pericolosi nel caso sorgessero controversie”.
Nel complesso, osserva Fiore, non sussistono difficoltà di fondo per operare negli Emirati, sia in caso di presenza stabile in loco, sia in caso di collaborazioni temporanee, fermo restando l’invito a tenere un comportamento rispettoso dei valori locali, nella vita sociale come nei rapporti d’affari. Sotto il profilo normativo per aprire un’attività è necessario avvalersi di un partner emiratino con la formula del 49%-51% della proprietà in favore del partner locale, persona fisica o giuridica. Tale parametro non si applica nelle cosiddette zone franche, che consentono il 100% della proprietà e numerose agevolazioni commerciali, e che recentemente sono state implementate in tutto il paese. “Per sostenere la crescita e lo sviluppo delle piccole e medie imprese – aggiunge Fiore – dal 2009 è stato inoltre abolito con decreto presidenziale il capitale minimo obbligatorio richiesto per avviare una srl, riducendo anche le formalità burocratiche come ad esempio l’obbligo di produrre certificati bancari”.
A livello promozionale un’ottima vetrina per farsi conoscere sono le fiere, che negli Emirati Arabi funzionano molto bene. Sono circa sessanta quelle specializzate e al termine assicurano un portafoglio contatti internazionale, grazie a visitatori in arrivo da tutto il Medio Oriente, dal Pakistan e dall’India. Premesso ciò, c’è spazio per i prodotti italiani? Assolutamente sì, assicura Fiore, che aggiunge: “Gli Emirati Arabi rappresentano il primo mercato di sbocco per le nostre imprese nell’intero mondo arabo. L’Italia è settima in assoluto tra i Paesi fornitori e terza tra i partner europei”. Nella composizione del nostro export, l’oreficeria si piazza al primo posto registrando nei primi mesi del 2013 un aumento del 34% rispetto al 2012, mentre al secondo, seppure in calo, restano saldi i macchinari industriali e i prodotti dell’industria meccanica. Per i beni strumentali Fiore suggerisce di “garantire sempre un’assistenza post vendita, altrimenti l’operatore locale preferirà i prodotti tedeschi, statunitensi e della Corea del Sud”.
Non bisogna dimenticare, infatti, che gli Emirati Arabi sono un mercato abbastanza piccolo – 7 milioni di abitanti in tutto, di cui 2 milioni nella sola Dubai – e la concorrenza è altissima. Per quanto riguarda, ad esempio, altri settori del made in Italy (alimentare, abbigliamento, arredamento) non è facile affermare un prodotto italiano solo per la sua qualità, fatta eccezione per le grandi marche. Il direttore lo spiega con il fatto che “data l’elevata presenza di prodotti di origine asiatica a prezzi contenuti e poiché la valuta locale è da sempre agganciata al dollaro, gli imprenditori mirano ai quantitativi e non sono interessati a sostenere i costi per affermare prodotti di nicchia”. In generale, conclude, il consumatore medio è sempre a caccia di novità e apprezza di poter scegliere tra il maggior numero di modelli possibile. Il design potrà quindi essere una chiave per conquistare quote di mercato.