Il caso della MA/AG, azienda specializzata nella progettazione e realizzazione di macchine agricole per la preparazione del terreno, la semina e la concimazione, con sede a Casalbuttano, vicino Cremona, sfata in un colpo solo una serie di luoghi comuni solitamente affibbiati alle piccole e medie imprese italiane.
Il primo: sono poco propense all’esportazione. Falso, la MA/AG, attiva da quasi quarant’anni, opera sui mercati esteri praticamente dalle origini.
Il secondo: se esportano, privilegiano i paesi europei. Falso anche questo, l’azienda vende sì in Europa, soprattutto dell’Est (Romania, Bulgaria e Serbia i principali paesi serviti), ma vende anche in Messico, Cile, Giappone e Nuova Zelanda, che non sono esattamente dietro l’angolo. Da cinque anni, inoltre, partecipa con crescente successo ad AgraME, la più importante fiera agricola internazionale del Medio Oriente, che si tiene ogni anno a Dubai e rappresenta ormai la sede privilegiata per l’incontro fra operatori africani, asiatici ed europei del settore. Tali sono i contatti avviati grazie a questa vetrina, che l’azienda sta lavorando per aprire un proprio ufficio a Dubai.
Il merito di questa fortunata esplorazione del mercato arabo è di Serena Ruggeri, 40 anni e laurea in economia e commercio all’Università Cattolica di Piacenza, il cui ruolo di responsabile dell’ufficio estero contribuisce a sfatare un terzo luogo comune, che vorrebbe le donne d’azienda circoscritte in compiti prevalentemente amministrativi. Con un inglese fluente e parecchia testardaggine, Ruggeri ha infatti approcciato i mercati del Medio Oriente partendo da zero. Mercati che all’inizio sembravano non interessare il fondatore – il papà Angelo Ruggeri – ma che oggi, avendo sfruttato la piazza di Dubai come “testa di ponte”, assicurano all’impresa, a pochi anni dal debutto, già il 10% del fatturato. Parliamo di Arabia Saudita, Giordania, Libano, Iran e Sudan, con un progetto di espansione in Nordafrica, che è stato anche l’occasione per associarsi a Confindustria Assafrica & Mediterraneo.
Sbaglio o Dubai è stato un punto di svolta per voi?
Non sbaglia. Eravamo stati negli Emirati Arabi una volta, ad Abu Dhabi per la precisione, ma la fiera in quell’occasione non sortì grandi risultati. Fu in occasione di Agritechnica, ad Hannover, che un operatore ci suggerì di partecipare ad AgraME. Benché si trattasse di andare da soli, sostenendo qualche costo in più, l’idea mi allettò parecchio; volevo capire se potevamo farcela. Il primo anno andò così così, sbagliammo a non portare una delle nostre macchine, cercavamo di spiegarne le caratteristiche attraverso video e materiale promozionale, ma i visitatori non capivano bene. Questa fiera, infatti, è all’avanguardia e ospita stand enormi per tutto ciò che riguarda i foraggi, l’allevamento dei polli, la produzione e cura delle piante, ma è relativamente giovane sotto il profilo della meccanizzazione agricola. L’anno successivo, con una macchina in bella mostra nel nostro stand, il cambiamento è stato radicale e da uno spazio di pochi metri quadrati ci siamo allargati a uno stand 6 metri per 6, stringendo relazioni con i principali dealer del Golfo.
Chi sono i vostri clienti?
Grandi aziende ma anche piccoli coltivatori. La maggiore difficoltà sta nel far comprendere l’aspetto innovativo dei nostri prodotti. Uno di questi, ad esempio, è il Cultirapid New Generation, che consente di preparare il terreno per la semina con un solo passaggio e con il quale all’ultima edizione della fiera abbiamo vinto il Premio come “Best New Product for Gulf Market”. Nella nostra stessa categoria abbiamo superato un dispositivo satellitare per il monitoraggio della semina messo a punto da una multinazionale americana. Una bella soddisfazione.
E i vostri concorrenti?
I primi anni c’era qualche importante produttore italiano. Recentemente abbiamo visto soprattutto gli americani della John Deere e i tedeschi del Gruppo Amazone. Stanno crescendo anche i pachistani, che visitano gli stand dei concorrenti con molta attenzione e spesso dimostrano anche una grande faccia tosta nel prendere le misure delle attrezzature in esposizione proprio di fronte ai proprietari. D’altra parte questo per noi rappresenta anche un buon segnale, nel senso che sono in grado di riconoscere e apprezzare la qualità.
Ha incontrato qualche difficoltà, dettata anche dalle differenze culturali, nello sviluppare il suo business?
Nessuna in particolare. Per quanto riguarda la fiera, ad esempio, gli organizzatori sono sempre stati disponibili e attenti alle nostre esigenze, al punto che si è quasi passati da un rapporto di lavoro a un rapporto di amicizia. L’ultima volta abbiamo avuto qualche disguido con il nostro trasportatore italiano e ci hanno assicurato che il prossimo anno si faranno carico di monitorare la cosa. In generale, c’è una grande apertura al miglioramento e all’eccellenza.
Lo stesso posso dire per i clienti. Durante la fiera apprezzano molto il fatto di conoscere personalmente la proprietà e questo aiuta anche i nostri rivenditori nella fase successiva. Beninteso, parlano direttamente con me e il fatto di essere una donna – al contrario di quanto si potrebbe pensare – non inficia assolutamente i rapporti. Mi spiace dire, invece, che questo atteggiamento l’ho riscontrato più spesso nelle manifestazioni fieristiche italiane. Infine, uno dei servizi più graditi è l’assistenza post-vendita, che all’estero effettuiamo personalmente.
A volte si parla della fiera come di un modello di promozione superato. La sua esperienza sembra dimostrare l’opposto.
La fiera è una grande vetrina e per noi si è rivelata la scelta giusta, tanto è vero che siamo già al lavoro su quella del prossimo anno. Pensiamo a uno stand in cui ospitare anche i nostri rivenditori presso i vari paesi in modo da presentarci al pubblico in modo completo.
Quali progetti ha in cantiere?
Aprire un ufficio commerciale a Dubai. Avere un punto d’appoggio per lavorare su questi mercati è molto importante e Dubai per il suo dinamismo è certamente il luogo più adatto. È un paese aperto, abituato al dialogo con gli stranieri. Per noi sarà un bell’impegno, la nostra è un’azienda piccola – fra dipendenti, collaboratori e proprietà siamo 48 persone – ma le prospettive sono buone. Il fatturato, circa 7 milioni di euro e per oltre la metà realizzato all’estero, nell’ultimo periodo è cresciuto dell’8-10% all’anno e questo ci incoraggia ad andare avanti. D’altronde è il mio sogno di ragazzina, sono cresciuta a pane e azienda e già in quarta elementare dicevo che volevo portare all’estero l’impresa del papà.