
Private equity e venture capital sono termini poco familiari alla cultura imprenditoriale italiana. Negli ultimi anni ha osservato qualche cambiamento?
Il cambiamento c’è e lo si vede anche dall’approccio che i media hanno verso questo tipo di strumento; se pensiamo agli anni Ottanta, un fondo di private equity veniva definito “locusta” e non si riusciva ad affrontare l’argomento senza pensare che l’operatore fosse un uomo senza scrupoli, che aveva come unico scopo quello di “spolpare” l’azienda in cui andava a investire.
Oggi le pagine di finanza dei quotidiani raccontano storie diverse, dove il ruolo del private equity è quello di accompagnare un processo di crescita dell’impresa. I fondi di private equity ormai restano più a lungo nelle aziende e non le caricano con un debito eccessivo. Questo ha dato luogo a diverse storie di successo. Pensiamo a Valentino, Moncler, Cerved, Moleskine, aziende in cui il fondo di private equity ha permesso alla società di essere concorrenziale sul mercato globale odierno.
Quali requisiti deve soddisfare una piccola o media impresa che voglia risultare appetibile per un investitore istituzionale?
Un’azienda è appetibile quando ha un piano industriale serio, di crescita e internazionalizzazione indipendentemente dal settore in cui opera. A volte, sbagliando, crediamo che un ambito sia migliore dell’altro, eppure i dati annuali che abbiamo presentato lo scorso marzo dimostrano come gli operatori si muovano sulla base delle potenzialità della società e non sulla sua attività di riferimento: si passa dai beni industriali al media&entertainment, al medicale e al manifatturiero.
L’iniziativa del Fondo Italiano d’Investimento è molto importante per la platea di pmi a cui ci rivolgiamo. Una valutazione complessiva?
La decisione di Cassa Depositi e Prestiti di stanziare risorse per due fondi di fondi, uno per il venture capital e uno per il private debt, che saranno lanciati e gestiti dal Fondo Italiano d’Investimento è un grande punto a favore della ripresa degli interventi sulle pmi in Italia.
Grazie a questa iniziativa, che Aifi ha più volte sollecitato, i fondi di venture capital e di private debt, esistenti e nuovi, potranno ricevere un impulso per l’avvio di nuove iniziative. L’avvio dei due fondi di fondi può fungere da stimolo per catalizzare i capitali di investitori italiani e internazionali, che si potrebbero aggregare successivamente entrando direttamente come sottoscrittori nei veicoli di investimento.
Si parla sempre più spesso di quotazione in Borsa come di un orizzonte possibile anche per le pmi. Quali, però?
Da sempre la conclusione ideale del ciclo di investimento per gli operatori di private equity è la quotazione in Borsa. Questo fa bene non solo all’operatore ma anche all’azienda, perché solo in questo modo sarà veramente in grado di affrontare le sfide di concorrenza internazionale.
La quotazione è un po’ come la maggiore età: si diventa grandi, si hanno responsabilità enormi come l’obbligo di trasparenza e di informazione dei dati, ma al contempo ci si può finalmente confrontare con i concorrenti e allargare i propri orizzonti.
In che modo si può favorire il ricorso da parte delle pmi agli strumenti di finanziamento alternativi al credito bancario?
Le aziende oggi hanno importanti forme di finanziamento alternative al credito bancario a favore della loro crescita. I mini-bond (ossia obbligazioni a medio termine) sono uno strumento utilissimo per finanziare piani di sviluppo. Attraverso i mini-bond le piccole e medie aziende si abituano anche a condividere piani di sviluppo e a mettere in piedi un sistema di controllo per monitorare i progressi e gli eventuali scostamenti. Così facendo queste aziende acquisiscono strumenti e mentalità che le rendono poi capaci di accettare anche partecipazioni azionarie e quindi procedere verso aumenti di capitale.
Occorre far crescere non solo il capitale delle piccole aziende, ma anche la loro mentalità e conoscenza del mercato finanziario. Le istituzioni si sono già mosse in questo senso: sia Borsa sia Consob hanno realizzato programmi di aiuto per le imprese, al fine di aiutarle a crescere e a quotarsi in Borsa per internazionalizzarsi.
Confindustria ha lanciato di recente l’Agenda per il credito. Le chiediamo un giudizio complessivo delle misure proposte.
I tre punti fondamentali dell’Agenda, ben espressi all’inizio del testo, la rivitalizzazione del mercato creditizio, lo stemperamento delle tensioni finanziarie e la boccata d’ossigeno per la nuova finanza d’impresa, sono fondamentali per il rilancio del paese. Io sono un ottimista e sono convinto che siamo a un passo dall’uscita dalla crisi. Tutti questi nuovi strumenti possono rappresentare un valido supporto al sistema imprenditoriale italiano che, anche se in prevalenza di piccole dimensioni, rappresentano eccellenze e, soprattutto, sono portatrici di un valore molto elevato sui mercati internazionali, che le rendono competitive anche nei confronti di gruppi più grandi. Le riforme da sole non bastano alla ripresa. Queste potranno incidere sul tasso di crescita del futuro dell’economia, ma la ripresa arriverà soltanto se si ridarà fiato a domanda interna e per farlo non si può ricorrere solamente all’uso della politica di restrizione fiscale.
In conclusione, la ripresa ci sarà quando in Italia avremmo ricostituito la capacità di spesa e il reddito delle famiglie, crollato nel corso degli anni. Non si può immaginarla semplicemente migliorando il contorno.