Con la crisi economica si è tornati a invocare una politica industriale per il paese: come risponde il governo a questa richiesta?
Stiamo vivendo un cambiamento epocale del sistema manifatturiero: i processi produttivi mutano, i prodotti diventano sempre più customer oriented, grazie a supply chain che fanno ampio ricorso alle nuove tecnologie e sono interconnesse in tempo reale al cliente finale.
Il tempo e la vicinanza ai mercati finali diventano fattori competitivi chiave nelle scelte di localizzazione, favorendo fenomeni di reshoring. Se saremo in grado di comprendere appieno e assecondare queste trasformazioni, l’obiettivo – molto ambizioso – di riportare l’industria al 20% del Pil potrebbe diventare alla nostra portata.
Non possiamo rinunciare a un ampio disegno di politica industriale, in grado di declinare un industrial compact nazionale e di sfruttare l’enorme potenziale della nuova programmazione 2014-20. Nelle prossime settimane si insedierà al Ministero dello Sviluppo economico una task force chiamata a definire, in tempi brevi, un documento di analisi e proposte di policy sull’innovazione industriale, sull’utilizzo delle tecnologie abilitanti, sulla diffusione di imprenditorialità.
Gli investimenti produttivi sono crollati del 15% durante la crisi. Quali misure sono state introdotte per rilanciarli e che impatto vi aspettate in termini di competitività delle nostre imprese?
Le imprese devono tornare a investire, a puntare sulla ricerca e sull’innovazione di prodotti e processi. Non ci sono scorciatoie per la competitività: l’alternativa è non cogliere le grandi opportunità che si aprono per un paese come il nostro con la rivoluzione industriale in corso.
Con le prime norme adottate, il governo punta a dare uno shock agli investimenti.
Il decreto competitività, adesso all’esame del Senato, ha completato un pacchetto di misure senza precedenti per chi intende rinnovare i processi produttivi.
La nuova legge Sabatini, che verrà rifinanziata per raddoppiare il plafond a disposizione delle imprese, sta dando risultati addirittura superiori alle nostre aspettative: nelle prime tre finestre temporali a disposizione delle imprese, infatti, sono state presentate oltre 4mila domande con richieste di finanziamenti per quasi 1,3 miliardi di euro e circa 100 milioni di contributi in conto interessi.
Questo strumento adesso è affiancato da un credito d’imposta in compensazione piena pari al 15% dell’investimento incrementale per l’acquisto di beni strumentali. Un credito di imposta semplice e immediato che non prevede meccanismi a “rubinetto”: le imprese non dovranno sottoporsi a cervellotiche procedure di prenotazione alla click day. Secondo le nostre previsioni, il combinato disposto di queste due agevolazioni dovrebbe essere in grado di stimolare investimenti addizionali (rispetto all’andamento inerziale) per almeno 8 miliardi di euro nei prossimi 12 mesi.
In questi anni gli strumenti di garanzia si sono dimostrati fondamentali per le pmi. È previsto un loro rafforzamento?
Le norme relative alla finanza d’impresa costituiscono l’altro pilastro fondamentale del decreto. Si tratta di diverse misure di grande impatto: penso in particolare alla rivoluzionaria azione di liberalizzazione sul mercato dei finanziamenti, realizzata attraverso l’estensione della possibilità di erogare direttamente credito alle imprese anche da parte delle compagnie di assicurazione e delle società di cartolarizzazione.
Oppure penso al rafforzamento dell’Ace (beneficio fiscale per favorire la patrimonializzazione delle imprese). Le imprese non possono pensare di uscire dalla crisi e rilanciare gli investimenti chiedendo solo più credito: ci troviamo di fronte a un diffuso fenomeno di “equity crunch” e di sottocapitalizzazione del nostro sistema industriale. Non si può pensare di affrontare una stagione importante di investimenti pro competitività con strutture finanziarie deboli.
Con la legge di Stabilità era stato innalzato il rendimento nozionale, per assicurare una perfetta neutralità fiscale tra diverse fonti di finanziamento, ovvero tra capitale proprio e indebitamento. Restava tuttavia da correggere un meccanismo penalizzante per le imprese con buone prospettive economiche ma in temporanea difficoltà sui margini operativi. Per questo motivo abbiamo esteso la possibilità di beneficiare dell’agevolazione Ace, prima a valere solo sull’Ires, come credito d’imposta a valere anche sull’Irap in caso di incapienza del reddito. Questo meccanismo cambia la natura dell’incentivo e lo rende utilizzabile da una platea molto più ampia di imprese che intendono capitalizzarsi.
Abbiamo introdotto misure per accrescere il numero di società quotate in Borsa, ampliato la possibilità di emettere obbligazioni societarie da parte di società non quotate, aperto il nostro mercato del credito ai finanziamenti di operatori esteri, anche non bancari.
Una svolta che consentirà di aprire canali di finanziamento alternativi, per rendere ancora più rapido e diretto il circuito di intermediazione tra risparmio e investimento. Le misure approvate garantiranno circa 10 miliardi all’anno di maggior credito alle imprese.
Ovviamente il ruolo degli strumenti di garanzia pubblica, e in particolare del Fondo Centrale di Garanzia, è stato molto importante in questi anni di crisi. Il ruolo del Fondo si sta ampliando, verranno garantiti anche i portafogli di minibond e le singole emissioni. Ulteriori e più ampie rifocalizzazioni dell’attività del Fondo potranno essere valutate e introdotte nei prossimi mesi.
A proposito di mini bond, in più di un’occasione lei ha sottolineato come la cornice normativa costituisca condizione necessaria, ma non sufficiente per costruire un mercato di capitali. Quali interventi sarebbero auspicabili e da parte di quali soggetti?
La cornice normativa, comprendendo anche i decreti attuativi, può essere considerata ormai sostanzialmente definita. Ci sono voluti quattro decreti legge, ma il lavoro è pressoché concluso con le norme contenute nel dl competitività adesso all’esame del Parlamento. È chiaro che senza questi interventi sarebbe stato molto difficile immaginare uno sviluppo di questo mercato.
Tuttavia è altrettanto chiaro che le norme da sole non bastano, se gli operatori non colgono appieno tutte le opportunità che la regolamentazione mette a loro disposizione. Finora, dei 7-8 miliardi di obbligazioni emesse da società italiane non quotate grazie alle nuove regole, ben il 90% è stato sottoscritto da investitori internazionali. Occorre un maggiore attivismo da parte dei nostri investitori istituzionali.
Da questo punto di vista, l’Ivass ad esempio è stata molto tempestiva nell’aggiornare il Regolamento 36 che disciplina gli investimenti ammessi per le compagnie di assicurazione, mettendole nella condizione di investire fino al 3% delle loro riserve tecniche nei minibond e altrettanto negli strumenti di cartolarizzazione.
Di investimenti da parte di questi soggetti, però, se ne sono visti ancora molto pochi. I nostri investitori istituzionali, siano compagnie di assicurazioni o fondi pensioni, rimangono ancora troppo timidi di fronte alla necessità di una “asset allocation” più diversificata, in grado di offrire rendimenti competitivi e maggiormente orientata all’investimento nell’economia reale italiana.
Mi aspetto che questa situazione cambi rapidamente, anche per effetto dell’avvio dell’operatività dei fondi specializzati in minibond: ormai ci sono più di venti realtà che sono partite o stanno partendo.
La decisione da parte di Cassa Depositi e Prestiti di lanciare un Fondo di fondi rappresenta un ulteriore catalizzatore di interesse per consentire un più ampio sviluppo di questa “asset class”: un’evoluzione imprescindibile per consentire alle imprese italiane di avere accesso alle risorse finanziarie di cui hanno bisogno per crescere e rafforzare la loro competitività.
Quanto conta la stabilità politica per l’economia di un paese?
Certamente un quadro politico stabile è una precondizione per lo sviluppo economico di un paese e per l’attrazione di investimenti dall’estero.
Tuttavia la stabilità fine a se stessa non è sufficiente, soprattutto se si traduce in un mantenimento dello status quo. È necessario, invece, che alla stabilità si accompagni una forte continuità dell’azione riformatrice. E su queste basi il governo intende portare avanti una decisa azione di cambiamento del paese. Dobbiamo ridare fiducia agli imprenditori italiani e agli investitori nazionali e internazionali, facendo percepire a tutti il tipo di futuro che si sta immaginando e concretamente costruendo per l’Italia.