Quale storia prende forma da un libro intitolato “Le assaggiatrici” e l’immagine di una seducente donna in copertina?
Davvero la trova seducente? Pensi che io l’ho scelta tra le altre prove di cover perché il volto sembra quasi quello di un manichino – dunque non un essere umano – o di qualcuno che non sia non completamente vivo. Il pallore mortale contrasta con il rosso delle labbra – quello sì, seducente – che fa rima con il rosso della farfalla, quasi una macchia di sangue. Un cerchio disegnato sull’ala destra si sovrappone all’occhio raddoppiando lo sguardo, e rendendo conto, per quel che mi riguarda, della coralità del romanzo, anche se la voce narrante è una, ed è in prima persona, e anche della doppiezza di questa protagonista. Tutto ciò mi pareva alludere molto bene alla storia di una donna che, durante la guerra, si trova a dover assaggiare i pasti destinati a Hitler per accertarsi che non siano avvelenati, cioè a salvaguardare la vita di lui rischiando la propria, pur senza essere una nazista. Una donna che si trova contemporaneamente nella condizione di vittima e di complice, che per sopravvivere accetta il compromesso e l’ambivalenza.
Se fosse stata uno dei giurati, chi avrebbe votato dei suoi colleghi finalisti?
Credo che ciascuno dei libri abbia elementi di fascino dai quali mi sono lasciata incantare. Avendo condiviso molto tempo con gli altri finalisti durante il tour, mi piaceva notare come i romanzi assomigliassero a chi li aveva scritti, almeno per quel che dei miei colleghi ho potuto conoscere durante i mesi del Campiello.
Quanta Rosella c’è nei suoi personaggi femminili?
Molta, ma anche nei miei personaggi maschili! Perché dovrebbe esserci solo nei personaggi femminili? Alcuni pensieri di Gregor, soprattutto quelli su Dio, o sulla nascita come condanna alla morte, provengono da arrovellamenti miei. Credo che qualunque scrittore distribuisca parti di sé nei vari personaggi: non lo fa in modo programmatico, semplicemente accade dentro quel processo misterioso che si innesca con la scrittura.
Quali parole userebbe per migliorare il dialogo tra impresa e cultura?
La cultura è impresa: io lavoro come editor in una casa editrice e non dimentico mai che è così. Sono impresa anche i musei, le mostre, i concerti, le fiere e i festival, e le università – la ricerca è indispensabile per lo sviluppo economico di un Paese: è cultura anche la scienza, anche se non siamo abituati a pensarlo. Il Premio Campiello in questo senso fa un lavoro eccezionale, che mi rende orgogliosa di averlo vinto. Sceglie testi di qualità, spesso anche molto sofisticati, e li porta tra la gente, in giro per le più belle città d’Italia, valorizzandole, creando anche una sinergia con le eccellenze del territorio. Non dimenticherò mai il sapore del prosciutto che ho mangiato a Modena, né l’esperienza di assistere alla realizzazione di un vaso a Murano. Regalando ai libri – tutti e cinque – una grande visibilità, oltre che un premio in denaro, il Premio Campiello fa in sostanza un’opera di mecenatismo. L’entusiasmo e la curiosità delle persone del comitato di gestione, ma anche degli sponsor, mi hanno dato la sensazione di un dialogo riuscito, che potrebbe diventare modello per altre realtà.
Con Rosa Sauer ha vinto il premio. Sta già lavorando al prossimo personaggio vincente?
Purtroppo non ancora. Ho bisogno di essere catturata da un’idea e buttarmici a capofitto, e nel caos pre e post Campiello sono stata troppo (felicemente) sollecitata per fare digiuno e rendermi permeabile a una nuova idea. Per ora ho solo vaghe e varie immagini che mi girano in testa, ma le covo, e aspetto.
Quella che si è chiusa è stata un’edizione ricca di valore: un più forte coinvolgimento del sistema confindustriale, anche dei giovani imprenditori a favore del Campiello Giovani; il ruolo di Carlo Nordio come presidente della Giuria dei Letterati, espressione perfetta dei valori fondativi del Campiello (indipendenza, trasparenza e autorevolezza); il ritorno alla diretta televisiva. Un’edizione importante, che ancora una volta mi ha reso orgoglioso: il Campiello è infatti un progetto culturale unico – da 56 anni portato avanti con passione dagli imprenditori del Veneto – che unisce l’amore per l’arte e la letteratura al ruolo sociale degli imprenditori nella loro promozione. Il Campiello dimostra quanto il binomio impresa e cultura sia da sempre un fattore centrale nel favorire crescita, sviluppo e coesione sociale. La sfida ora è quella di far evolvere ulteriormente il premio, così come ci siamo impegnati reciprocamente a fare con il Ministro della Cultura Alberto Bonisoli in occasione della cerimonia finale, rendendolo ancora più prestigioso e contemporaneo e per questo cominceremo subito a lavorare alla nuova edizione del 2019.
MATTEO ZOPPAS, PRESIDENTE FONDAZIONE IL CAMPIELLO E CONFINDUSTRIA VENETO