
Confindustria apre il nuovo anno con Connext, l’appuntamento dedicato al partenariato industriale. Un tema a lei caro, almeno sin dagli anni alla guida dei Piccoli del Sistema. Perché? E quale dovrebbe essere il lascito di questa iniziativa?
Connext è molto più di un appuntamento. È un progetto identitario rivolto all’interno di Confindustria e anche al di fuori perché le imprese italiane possano fare sistema tra loro e con aziende europee e del Mediterraneo che di anno in anno saranno selezionate. Un modo per ribadire la centralità del nostro Paese tra Europa e Mediterraneo e per mettere la questione industriale al centro della scena politica ed economica nazionale.
Connext è una grande fiera, fisica e virtuale, per dare valore alle filiere, facilitare gli incontri, favorire collaborazioni, consentire contaminazioni, accorciare le distanze. Insomma, è una grande opportunità ed è per questo che consigliamo vivamente ai nostri associati e a chi vorrà respirare un po’ di sana aria confindustriale di partecipare perchè quello del 7 e 8 febbraio a Milano è solo il calcio d’inizio. La partita sarà tutta da giocare. Non ha limiti di tempo e siamo certi che darà grandi soddisfazioni.
La legge di bilancio ha avuto lunga e complessa gestazione.
Quale è il suo giudizio complessivo?
Che non tiene conto nella giusta misura delle ragioni della crescita. Invece, proprio se il governo vuole raggiungere gli obiettivi che si è dato in termini di aumento del Pil e del rapporto di quest’ultimo con deficit e debito, la crescita è fondamentale. E non può che avvenire stimolando gli investimenti privati e inaugurando una grande stagione che avvii quelli pubblici. In particolare, occorre aprire tutti i cantieri pronti a partire che, come affermato in uno studio dell’Ance, sono in grado di realizzare 400mila posti di lavoro con un impatto sull’economia di 90 miliardi di euro.
Se vogliamo davvero crescere e dare un’opportunità ai nostri giovani dobbiamo avere una visione pragmatica e non ideologica della realtà.

VINCENZO BOCCIA
La precedente legislatura aveva puntato su un pacchetto di strumenti per sostenere gli investimenti privati e in particolare Industria 4.0. Oggi le imprese cosa hanno a disposizione?
L’impianto di Industria 4.0 è stato molto importante per le nostre imprese che hanno potuto innovare e aprirsi alla tecnologia digitale diventando più competitive sui mercati internazionali, come la quota del nostro export dimostra. E ha stimolato a tal punto gli investimenti privati che l’acquisto di macchine utensili è cresciuto nel 2017 del 30% sull’anno precedente.
Un vero record come impatto sull’economia reale che avrebbe dovuto suggerire a questo governo di mantenere intatti, se non di potenziare, tutti gli strumenti disponibili. Invece l’impianto è stato ridimensionato e così pure è avvenuto per il credito d’imposta sugli investimenti al Sud grazie ai quali ci sono sei miliardi d’investimenti prenotati. La gamma delle misure a vantaggio delle imprese private si è ristretta e, ancora una volta, non è una buona politica se si vuole crescere e aumentare l’occupazione.
Uno dei temi più discussi è stato il nodo infrastrutture. A dicembre le imprese hanno fatto sentire la loro voce a Torino con un grande evento pro-Tav. Quante di quelle istanze sono state raccolte?
La manifestazione di dicembre a Torino è stata la dimostrazione plastica che le politiche per la crescita sono le stesse per le grandi e le piccole industrie, per le imprese artigiane e commerciali, per le cooperative e gli agricoltori. Insomma, senza infrastrutture strategiche che rendano il nostro Paese più connesso e competitivo c’è poco da innovare all’interno delle fabbriche perché al di fuori dei cancelli si perdono tutti i vantaggi. È il Paese nel suo insieme che deve progredire, che deve aumentare il capitale fisso installato e creare le condizioni perché possa essere davvero parte di un sistema europeo che è il minimo aggregato possibile se vogliamo concorrere con giganti come gli Usa, la Cina, la Russia, l’India. Le infrastrutture collegano periferie a centri, centri tra di loro, l’Italia al mondo. E sono indicative di una società aperta e inclusiva. Non possiamo consentirci il lusso di rallentarne la realizzazione o, peggio, d’impedirla. La Torino-Lione è solo una delle opere. A nostro giudizio l’analisi d’impatto deve riguardare innanzitutto l’incremento dell’occupazione che i cantieri assicurano.
Fin dal suo insediamento il governo ha intavolato con l’Europa un dialogo più “muscolare”, specialmente sul tema immigrazione. Cosa ne pensa?
L’Europa è la nostra collocazione naturale. L’Italia non ha senso senza l’Europa e l’Europa non ha senso senza l’Italia. La domanda che dobbiamo porci, dunque, non è “Europa-sì-Europa-no” ma quale Europa vogliamo. Sul punto possiamo e dobbiamo aprire una leale e franca discussione perché da questo dipende il futuro nostro e dei nostri figli. L’Europa che conosciamo ha ben lavorato su una delle tre P che la caratterizza, quella della Pace. Ma ha trascurato troppo a lungo quelle della Protezione e della Prosperità. Occorre passare a quella che in occasione delle nostre Assise abbiamo chiamato Politica delle Mission: darsi grandi obiettivi e definire un percorso se vogliamo costruire un’Europa luogo ideale per i giovani, il lavoro, la competitività delle imprese e con una grande dotazione infrastrutturale transnazionale.
Dobbiamo cambiare paradigma di pensiero anche in Europa partendo dagli obiettivi sull’economia reale che vogliamo realizzare a cominciare da un rilevante e massimo incremento dell’occupazione e partecipazione dei giovani. Quindi individuare strumenti e risorse. Poi intervenire sui saldi di bilancio. Trasformando il patto di stabilità e crescita in patto di crescita e stabilità, perché è la crescita che assicura la stabilità e non l’inverso.