Nella prima metà del 2015 abbiamo assistito al formarsi di un quadro internazionale molto favorevole per la ripresa della nostra economia (indebolimento dell’euro, contrazione degli spread in Europa, sostanziale stabilità macroeconomica globale, bassi prezzi del petrolio), cui non corrispondevano tuttavia segnali chiari di inversione di tendenza dopo molti trimestri di recessione italiana. Durante l’estate, la situazione sembra essersi capovolta con un quadro internazionale meno favorevole a fronte però di sintomi più evidenti di ripresa nazionale. Nulla di strano, se si considera che gli stimoli esterni alla ripresa necessitano di qualche tempo per tradursi in maggiori esportazioni, aumento del potere d’acquisto di famiglie e imprese conseguente ai più bassi prezzi dell’energia e del credito, maggior richiesta e offerta di finanziamenti, con il conseguente impatto sulla domanda interna di consumi e investimenti. Il quadro internazionale resta per il momento moderatamente favorevole, in attesa di comprendere meglio quale sarà il sentiero della politica monetaria degli Usa, ma appare nel complesso meno stabile e con prospettive di crescita globale meno sostenuta. La sfida per l’Europa e per l’Italia, in questa fase, è di consolidare la ripresa in corso e di rafforzarla nel tempo.
LA CRISI CINESE E IL CONTESTO ESTERNO
Superata (almeno per ora) la crisi greca, in piena estate si è palesata una crisi cinese. La sequenza di svalutazioni dello yuan, che ha scosso investitori e policymaker occidentali, ha motivazioni macroeconomiche e finanziarie ma vi saranno anche conseguenze sulla sfera della produzione e del commercio internazionale, anche se qui non tutto è stato forse messo ancora bene a fuoco.
I mercati dell’Asia orientale pesano per l’8,5 per cento delle esportazioni italiane. Potrebbe sembrar poco, ma il dato assume connotati diversi se lo si accompagna al tasso medio annuo di crescita dell’export italiano in quell’area a partire dal 2010, di nuovo l’8,5 per cento ovvero il doppio della variazione delle nostre vendite all’estero. Non vi è dubbio, quindi, che il riassetto degli equilibri globali cui stiamo assistendo in questi giorni coinvolge l’economia reale e le produzioni italiane. I cosiddetti “paesi emergenti”, che in molti casi sono economie già molto inserite negli scambi mondiali, stanno soffrendo di crisi diverse, che in vario modo si alimentano anche tra loro: basti pensare all’impatto del rallentamento cinese sui prezzi delle materie prime da cui dipendono in buona parte le grigie congiunture russa e brasiliana. La dinamica degli scambi mondiali, un tempo poco influenzata dalla domanda espressa degli emergenti, rallenta ed inoltre le valute di quei paesi tendono a deprezzarsi rispetto alle valute occidentali. In alcuni casi, la svalutazione delle monete asiatiche e sudamericane è già molto sensibile. Il bonus del Quantitative Easing della Bce che aveva indebolito l’euro rendendo la vita più semplice agli esportatori, e consentendogli di aumentare i margini di profitto, è oggi un po’ meno efficace. E questo si aggiunge a prospettive di domanda globale meno rosee rispetto a qualche mese fa.
IL RUOLO DELL’EUROPA E DELLE IMPRESE
Sarebbe prematuro, tuttavia, ritenere che le nostre esportazioni si troveranno necessariamente in acque agitate solo per via delle difficoltà dei paesi emergenti. Si tratta quindi di comprendere come le dinamiche in corso influenzeranno la tenuta dei diversi mercati esteri e per gli esportatori si tratta di adattare le loro strategie al nuovo contesto.
Si tratterà probabilmente di spingere su due leve. Intanto, puntare di più nel medio termine sui mercati “maturi” che sembrano più promettenti di quelli emergenti. L’Unione europea da sola fa il 55 per cento dell’export italiano, e se solo a Bruxelles (Berlino) si decidessero piani d’investimenti per sostenere la domanda europea e mondiale, il beneficio per l’Italia sarebbe immediato. La seconda leva riguarda i mercati emergenti, dove occorrerà sopperire alla minor convenienza dei nostri prezzi con l’euro rafforzato mediante uno sforzo in più in termini di distribuzione e marketing. In ogni caso, la competizione sui mercati più dinamici (in primo luogo quello nordamericano) si farà ancor più intensa e la concorrenza cinese si farà sentire anche in Europa, dove la politica espansiva della Bce aveva nei mesi scorsi consentito alle imprese di ricostituire margini di utile più consoni ad una ripresa degli investimenti grazie all’euro debole. Le indicazioni per l’Europa, più che mai in questa fase, sono per un impulso rilevante agli investimenti pubblici che sostengano da una parte la domanda continentale e alimentino dall’altra la produttività delle imprese private. Se l’Europa non farà la sua parte nella seconda metà del 2015 per alimentare la domanda interna e mondiale, avrà perduto una occasione epocale di mostrarsi parte decisiva del governo dell’economia globale.
POLITICA ECONOMICA E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
La conclusione della pausa estiva ci restituisce quindi un quadro internazionale in piena e impetuosa evoluzione. Nel frattempo, la crescita economica in Italia sembra consolidarsi ma su ritmi ancora troppo modesti per un recupero rilevante di occupazione e produttività. Le aziende italiane che pure sono ben abituate a confrontarsi con l’incertezza, i mutamenti di scenario, le situazioni ad elevato rischio imprenditoriale, si trovano inevitabilmente a riconsiderare piani d’affari e d’investimento in considerazione di nuove opportunità che si presentano (i bassi prezzi del petrolio) oppure> delle nuove criticità (il rallentamento cinese). Nell’azione del Governo, anche dopo il passaggio della Legge di stabilità, sarebbe importante ribadire alcuni punti-chiave per i prossimi mesi ed anni.
Anzitutto, le aziende si aspettano che lo sforzo continuo di efficienza e di innovazione che esse compiono venga replicato dallo Stato al suo interno, ovvero che la riforma della Pubblica amministrazione tradotta in legge-delega prima dell’estate prosegua spedita il suo percorso che non sarà certo immediato, ma non potrà essere indefinito. Tempi certi, insomma, per avere come interlocutore una Pa più responsabile nei suoi dirigenti, pronta a rispondere alle domande delle imprese con un sistema unificato di autorizzazioni, che non ponga ostacoli inutili ma assecondi i progetti di investimento e di occupazione. Senza dimenticare di riformare la macchina dei fondi strutturali per il Mezzogiorno, passando dalle liturgie dei mille progetti alla efficace realizzazione di quelli importanti, e la giustizia civile.
Sul versante fiscale, sarà cruciale che la roadmap indicata dal Governo per i prossimi anni venga rispettata. Anche se la maggior riduzione d’imposte per il 2016 è prevista soprattutto per gli immobili e non per le imprese, nonché forse per gli investimenti nel Mezzogiorno, mantenere una tendenza certa e progressiva nella riduzione del carico fiscale è cruciale per la fiducia degli imprenditori. Naturalmente, avendo ben chiaro anche il controllo del debito (e degli spread) e il disinnesco delle clausole di salvaguardia.
Terzo punto: gli investimenti pubblici, sia materiali sia immateriali, in diminuzione da anni. Lo spazio di manovra per nuovi investimenti pubblici va conquistato nel contesto europeo a fronte di riforme e revisione di spese improduttive (quest’ultima sempre troppo timida e a rilento). Ma una volta conquistato, questo spazio di manovra va gestito bene. Quel conta più di altro, in questa fase, è la qualità dei segnali e delle tendenze che la politica economica in Europa e in Italia trasmette. Coerenza e chiarezza nei messaggi inviati a imprese e famiglie: è questo il primo caposaldo per sostenere la ripresa.