Nell’immaginario e nelle classifiche internazionali sulla corruzione l’Italia risulta in posizioni sempre piuttosto lontane dai primi posti. Come stanno realmente le cose?
Le classifiche che periodicamente vengono pubblicate si basano sulla percezione della corruzione, secondo statistiche a campione più o meno ampi.
Molti fattori possono influenzare questa percezione, a cominciare della rilevanza che viene dedicata dagli organi di stampa a questo argomento.
Paradossalmente la rilevanza mediatica delle inchieste della magistratura aumenta la percezione che questo fenomeno sia dilagante.
A livello internazionale questo ha comunque dei risvolti sulla competitività e sulla reputazione del nostro paese?
Purtroppo si stima che ogni posto perso nelle classifiche si traduce in una perdita di circa il 15% in termini di investimenti esteri, proprio perché viene influenzata la nostra reputazione. Per questo è importante la presenza di una Autorità Nazionale Anticorruzione, in Italia come negli altri paesi, perché rassicura gli investitori e testimonia l’impegno del sistema nella lotta alla corruzione. Testimonia che abbiamo consapevolezza del fenomeno ma lo combattiamo.
Si tratta di una battaglia culturale che in realtà riguarda tutti?
È proprio così. Si tratta innanzitutto di far passare il messaggio che il merito vince e che i più bravi hanno comunque più chance.
Per questo stiamo facendo un grande lavoro con le scuole e le università, grazie anche ad un protocollo che l’Anac ha siglato con il Miur, in un confronto costante con le giovani generazioni che sono il futuro del paese. Deve crescere il senso civico degli italiani, il senso di appartenenza e del bene comune, la convinzione che chi corrompe ruba.
Il coinvolgimento della comunità nella lotta alla corruzione è espressamente richiesto dalle organizzazioni politiche internazionali, perché questo fenomeno può essere concretamente contrastato solo attraverso un controllo sociale diffuso. In Italia le cosiddette “sentinelle della legalità” crescono di giorno in giorno.
Si tratta di comuni cittadini onesti che segnalano situazioni sospette o vigilano sulla gestione di beni e gare pubbliche.
Sono ambasciatori volontari della nostra visione della legalità.
Questo riguarda in particolare le amministrazioni pubbliche e la gestione degli appalti?
Oggi esistono gli strumenti affinché tutti i cittadini possano controllare come vengono gestite le gare e le spese dei vari enti. Tutte le Amministrazioni hanno l’obbligo di mettere in linea, in un linguaggio comune, i dati relativi alla gestione, dati che possono essere facilmente accessibili e confrontabili.
Negli Usa c’è addirittura una app messa a disposizione direttamente dal governo per confrontare costi delle varie amministrazioni.
Ritiene che la crisi economica possa in qualche modo aver condizionato in questi anni il fenomeno della corruzione?
Direi che le crisi sono un po’ come le guerre. Quando non c’è ricchezza sicuramente cresce la tentazione di trovare soluzioni alternative, magari puntando ad una via che sembra più facile e che sembra consentire risposte più veloci. Per quanto riguarda l’attività d’impresa, penso ad esempio a quelle situazioni in cui si è giunti con “acqua alla gola” e si soffrono ancora di più i diversi vincoli, i tanti controlli e la discrezionalità delle norme.
Si tratta in realtà di un circolo vizioso in cui ci si dovrebbe interrogare su quanto la corruzione abbia pesato sulla crisi e viceversa.
Per questo è fondamentale che venga affrontato il tema della semplificazione della pubblica amministrazione. È un percorso che i decreti Madia hanno iniziato e che va proseguito con forza. Dietro l’opacità normativa e l’eccesso di burocrazia si possono nascondere facilmente i funzionari corrotti e quelli pigri: entrambi sono dannosissimi per l’economia. Se si vuole garantire ricchezza e competitività al Paese bisogna proseguire con forza nella strada della semplificazione assicurando chiarezza e stabilità alle norme e riducendo gli oneri burocratici superflui spiegando esattamente alle imprese cosa lo Stato vuole da loro. In questo modo la legalità diventa volano di sviluppo e non verrà più percepita, neanche in periodi di crisi, come ostacolo all’innovazione e alla crescita.
Il nuovo Codice degli appalti punta a un riconoscimento del merito delle imprese. Le imprese socialmente responsabili possono avere una marcia in più?
Siamo davvero ad un momento di svolta.
Per la prima volta la Commissione Europea ha chiesto ai paesi membri, con delle Direttive molto chiare, di mettere in atto una politica degli appalti. Questa è sintetizzata nel nuovo Codice degli Appalti che è stato approvato, che tra l’altro pone particolare attenzione alle pmi, che sarà supportato da specifiche Linee Guida di Attuazione che l’Anac sta mettendo a punto. Il Codice, frutto di un confronto preliminare anche con Confindustria e le altre associazioni di categoria, introduce il cosiddetto rating di legalità e richiama la qualità del lavoro, quanto viene prodotto e come.
Da qui nasce un rating delle amministrazioni, un indice che impone agli enti appaltanti di dimostrare la capacità di gestire in maniera adeguata le gare d’appalto.
Un punto qualificante è inoltre la qualificazione delle stazioni appaltanti.
Non sarà richiesto più solo alle imprese di dimostrare i propri requisiti di qualificazione ma anche alle pubbliche amministrazioni che, per potere bandire gare di appalto, dovranno essere iscritte ad un albo tenuto dall’Anac a cui si accede solo dopo avere dimostrato la professionalità dei propri dirigenti. In questo modo si ridurrà drasticamente il numero delle stazioni appaltanti che oggi non si riesce neanche a censire e che, si ritiene, si aggiri intorno alle 130.000. Il 18 aprile è la data di entrata in vigore del nuovo Codice, contemporaneamente alle Linee Guida dell’Anac.
Si tratta di una grande operazione di semplificazione normativa e procedurale, indispensabile per una applicazione coerente e per evitare quelle tante interpretazioni che spesso alimentano e consentono distorsioni.
Siamo passati dalle circa 1.000 norme, cambiate oltre 200 volte in soli 8 anni, ad un Codice di poco più di 200 norme, la cui applicazione e interpretazione è chiarita da Linee Guida scritte in modo chiaro e, per la prima volta, non in giuridichese con articoli e commi spesso incomprensibili, ma italiano comune.
Come un manuale di istruzioni, seguendo l’esperienza anglosassone dell’Handbook che garantisce chiarezza e flessibilità.
È una operazione che vuole promuovere una maggiore partecipazione alle gare da parte delle imprese, con un’attenzione particolare sia alle medio- piccole sia alle micro che costituiscono l’asse portante del tessuto produttivo italiano, consentendo anche una maggiore competizione e una maggiore trasparenza.
È uno strumento fondamentale nella battaglia per la legalità e per lo sviluppo.