Osservando Seul da un’auto imbottigliata nel traffico a destra e a manca del fiume Han o gli stessi coreani durante un incontro di lavoro o semplicemente passeggiando, la sensazione è quella di trovarsi in una città moderna, dinamica, efficiente, sicura e ordinata con gente cortese, amichevole, rispettosa e preparata, seppure con uno scarsissimo inglese parlato.
Lungo la strada, sorprendentemente, considerato che è pur sempre una città dell’Asia dove il tè è la bevanda più diffusa in assoluto, tantissimi coffee shop (un recente studio ne ha stimati 12mila).
Davanti ai negozi delle più battute vie dello shopping gruppetti di ragazze che improvvisano balletti per attrarre clienti; i grandi magazzini, in ogni piano, super affollati oltre che da coreani anche da cinesi e giapponesi con i loro trolley da riempire approfittando dei numerosi duty free e dei prezzi più bassi (circa il 20% o il 30% in meno rispetto agli stessi acquisti fatti nei loro paesi); e, tutto attorno, grattacieli che svettano con le insegne dei nomi dei grandi gruppi industriali coreani (i cosiddetti “chaebol”): Samsung, Hyundai, LG, SK, Lotte, Daelim, Hyosung, Shinsegae e così via.
Girato l’angolo, però, nei mesi freddi ci si può imbattere anche in antiestetici tendoni arancioni dentro ai quali sono allestite cucine precarie, con tavolini lungo il perimetro, dove la gente del posto si ferma per mangiare piatti caldi tipici a buon prezzo e per bere il liquore nazionale, il “soju”.
Pur tuttavia la dieta dei coreani si sta occidentalizzando e il consumo di prodotti a base di farina (pane e pasta) piuttosto che di riso è in aumento. Le importazioni coreane di formaggio sono cresciute dal 2010 con una media annuale del 10% e il tipo di formaggio più consumato dai coreani è la sottiletta, spesso abbinata anche a piatti tradizionali.
Dopo aver considerato per anni il vino come un lusso per pochi, oggi nella Corea del Sud il vino ha sorpassato il whiskey ed è diventata la bevanda alcolica più importata. L’abbassamento dei prezzi ha certamente influito sul suo successo, grazie anche ai vari accordi di libero scambio (Free trade agreement, ndr) stipulati dalla Corea del Sud con l’Unione europea, il Cile e gli Stati Uniti; ma altrettanto ha fatto l’aumento, tra le donne, del consumo di bevande alcoliche. Il vino, infatti, rispetto al “soju” (che contiene il 20% di alcol) ha una gradazione alcolica più bassa e risulta più gradevole ai palati delicati.
Restando in tema di accordi di libero scambio, quello firmato l’anno scorso dalla Corea del Sud con la Cina risulta essere il più consistente per volumi commerciali mai siglato finora da Pechino, che conta su un interscambio di quasi 300 miliardi di dollari.
La Corea del Sud nel 2015 si è confermato il primo paese fornitore della Cina, davanti al Giappone e agli Stati Uniti.
Il 10% delle importazioni cinesi è “made in Korea”, le “memory chip” coreane costituiscono il 50% del mercato cinese dei semiconduttori d’importazione, mentre la seconda voce coreana più importata è quella dei prodotti cosmetici, che si posizionano prima di quelli provenienti dalla Francia.
Si parla infatti da tempo del fattore “K-Beauty” (prodotti di bellezza provenienti dalla Corea), che spopola e segna la tendenza predominante sugli scaffali di mezzo mondo, in Cina come negli Stati Uniti.
La grande attenzione alla ricerca, che ne fa dei veri e propri cosmetici d’avanguardia, l’uso di ingredienti non tradizionali come per esempio l’estratto di lumaca, il packaging innovativo anche se un po’ kitsch per i nostri gusti, insieme all’ottimo rapporto qualità/prezzo rendono i prodotti coreani estremamente competitivi.
Ad ogni modo questo ampio uso della cosmesi da parte dei consumatori coreani così come, in generale, la spiccata sensibilità nei confronti dei prodotti del made in Italy rappresentano una grande occasione sia per le nostre pmi del settore dei beni di consumo che hanno sì marchi più piccoli e meno noti ma ugualmente di qualità e ricercati, sia per le aziende del lusso.
Ad esempio nel 2014, anno del proprio centenario, Maserati ha registrato una delle migliori performance sul mercato coreano con una crescita che ha toccato il 469%, facendo sì che la Corea diventasse uno dei cinque mercati più importanti per la casa automobilistica italiana.
L’elemento chiave per le imprese che vogliono cogliere le opportunità offerte dal mercato coreano sta sicuramente nel recepire i nuovi trend e rispondere tempestivamente alle diverse esigenze di questi consumatori.
Confindustria, dall’8 al 10 marzo scorso, ha portato a Seul 41 aziende e otto associazioni industriali appartenenti a diversi settori: abbigliamento, cosmetica, calzature, pelletteria, automotive ed Epc – Engineering, Procurement, Construction.
Una missione imprenditoriale a distanza di cinque anni dall’entrata in vigore dell’Accordo di libero scambio, che fino a oggi ha visto aumentare le nostre esportazioni di oltre il 40%.