Con un fatturato pari a circa 30 miliardi di euro, un export prossimo ai dieci miliardi e un’occupazione che, incluso l’indotto, supera le 680mila unità, la filiera della carta – alla quale aderiscono le sette associazioni Acimga, Aie, Argi, Asig, Assocarta, Assografici e Fieg – rappresenta un attore di tutto rispetto del sistema manifatturiero italiano. Numeri importanti in valore assoluto, ma che tuttavia non sono stati risparmiati dalla crisi economica, che dal 2008 in poi ha visto sostanzialmente decrescere i principali indicatori, ad eccezione di una breve parentesi fra il 2011 e il 2012.
Nel 2015 la situazione resta stazionaria: il fatturato complessivo ha chiuso con un +0,2%, mentre la domanda interna ha segnato un modesto +0,7% rispetto all’anno precedente. C’è dunque preoccupazione per il futuro.
Da qui l’urgenza di una proposta di politica industriale che i rappresentanti delle associazioni hanno formulato in occasione dell’incontro “Più lettura, più comunicazione”, svoltosi a Roma presso l’Hotel & Conference Center Nazionale lo scorso 16 marzo.
Due le misure sul tavolo: la prima, illustrata da Alfieri Lorenzon, direttore di Aie, consiste in una detrazione fiscale per acquisti di libri, quotidiani e periodici in formato cartaceo o digitale pari al 19% dell’importo speso nel corso dell’anno; la seconda, presentata da Carotti, mira a detassare gli investimenti pubblicitari incrementali su quotidiani e periodici. Per avere accesso all’incentivo, si legge in una nota, occorre realizzare nel corso dell’anno investimenti almeno pari a quelli dell’anno precedente. In realtà la norma è già contenuta come criterio di delega del disegno di legge sull’editoria attualmente in discussione al Senato, ma “sarebbe auspicabile – ha specificato Carotti – trasformarlo in disposizione di legge per rendere immediatamente operativa la misura”.
Il calo degli investimenti pubblicitari resta infatti un vulnus profondo. Dal 2007 al 2015 si è osservata una contrazione pari al 32,4% con introiti passati da nove miliardi di euro a poco più di sei. Il quadro peggiora se restringiamo il campo agli investimenti su quotidiani e periodici, dove il calo è stato del 61,5% con investimenti scesi da 2,8 miliardi di euro a poco più di un miliardo. E mentre la flessione su stampa e periodici non conosce inversioni di tendenza nemmeno nel corso del 2015, gli investimenti pubblicitari sulla tv hanno invece registrato un modesto +0,7%.
Da cosa dipende tutto ciò? Gli italiani leggono poco? Consultando gli ultimi dati Audipress, che monitora la lettura della stampa quotidiana e periodica in Italia, non si direbbe. Infatti, nella nota diffusa lo scorso febbraio e relativa al 2015 risulta che “ogni mese l’85,8% della popolazione italiana (di 14 anni e oltre) sceglie almeno un titolo stampa, in un percorso di ricerca e scoperta che coinvolge anche la fruizione della stampa in versione digitale”. “Ogni settimana – si legge ancora – sono più di 28 milioni le letture di testate settimanali (per 16.220.000 lettori) e ogni mese sono quasi 31 milioni le letture di testate mensili (per 15.845.000 lettori), con una quota di lettori di digital edition in aumento (+4,3%) per i periodici nel complesso”.
La domanda di lettura dunque c’è, almeno per il segmento stampa, che resta la fonte di informazione per 45,5 milioni di italiani, ma non si tramuta automaticamente in acquisto. Diversi e meno incoraggianti invece sono i dati dell’Aie, che confermano come gli indici di lettura di libri in Italia siano fra i più bassi al mondo: “I lettori di almeno un libro non scolastico nei dodici mesi precedenti nella popolazione con più di sei anni – si legge – sono calati dal 46,8% del 2010 al 42% del 2015”.
Il calo del numero dei lettori e la progressiva diminuzione degli investimenti pubblicitari spiegano gran parte della dinamica produttiva della filiera della carta, ma non va trascurata anche la ridotta propensione alla spesa da parte delle famiglie: il meno 7% registrato tra il 2007 e il 2015 ha avuto conseguenze anche sul budget destinato a prodotti culturali con un calo di acquisiti stimabile intorno al 35%.
Fra le cause Massimo Medugno, direttore di Assocarta, include anche la concorrenza dei paesi emergenti, mettendo in guardia in particolare rispetto all’ipotesi di concessione dello status di economia di mercato alla Cina da parte della Commissione europea: “In questo momento sono in vigore strumenti di difesa commerciale, principalmente dazi antidumping, sulla produzione delle carte tecniche. Se questi venissero rimossi, si riverserebbero in Europa enormi quantitativi di carta di provenienza cinese. Gli Stati Uniti, ai quali spesso guardiamo come esempio di libero mercato, hanno già confermato i loro strumenti di difesa. Cosa fa l’Europa?”. Va da sé infatti che l’impatto sul mercato interno sarebbe tutt’altro che trascurabile.