L’interesse per l’Estremo Oriente risale al 1980 quando a Singapore venne aperto un primo monomarca.
Abbiamo parlato con Bruno Fantechi, Amministratore delegato dell’azienda. Per capire le opportunità del mercato coreano e asiatico in generale.
Complessivamente oggi qual è il vostro business sui mercati asiatici?
Siamo presenti da più di 35 anni sui mercati asiatici.
Siamo partiti negli anni Ottanta a Singapore, sviluppandoci rapidamente e arrivando nel tempo ad esportare scarpe, borse e capispalla uomo e donna non solo a Singapore, ma anche ad Hong Kong, Taiwan, in Cina, Corea e Giappone.
Il brand è riconosciuto e affermato come simbolo del made in Italy ormai da molti anni, grazie ad un’ampia rete retail, che tocca tutte le città più importanti, e ad una attenta distribuzione nei multibrand più selettivi. Oggi quindi l’Asia rappresenta una parte importante del nostro mercato.
In particolare, come si è strutturata nel tempo la vostra presenza in Corea del Sud? Quali elementi vi hanno consentito di far breccia?
Sicuramente la leva fondamentale è stato il made in Italy e l’estrema qualità del prodotto, da sempre caratteristiche molto importanti per il cliente coreano, attento ai dettagli e ricercatore dell’eccellenza e del lifestyle italiano.
Il primo approccio a.testoni in Corea risale al 1993 con l’apertura della filiale a Seoul. Era diventato fondamentale avere una presenza diretta per poter sviluppare il brand. Nel tempo si sono susseguite aperture di negozi a Seoul e in altre città chiave. Questa presenza sia con boutique monomarca, sia nei principali punti vendita multibrand, unita a una strategia d’immagine mirata grazie anche al supporto del management locale, ha permesso ad a.testoni nel tempo di crescere in visibilità e affermarsi come brand d’eccellenza.
Nel vostro settore quello sudcoreano è un mercato in crescita?
In ambito fashion luxury la Corea attualmente non è in crescita, ma è un mercato stabile.
In generale la Corea del Sud può essere un mercato interessante per un imprenditore italiano?
È molto interessante. Come detto l’attenzione al made in Italy è alta e quindi le aziende italiane trovano nella Corea un mercato molto recettivo e aperto verso il nostro Paese e in generale verso i brand del fashion italiani.
A prescindere dal settore nel quale si opera, secondo lei ci sono delle accortezze da avere per approcciare con successo il paese?
Sicuramente bisogna essere molto reattivi e attenti all’evoluzione del cliente, che evolve rapidamente ed è sempre alla ricerca di novità e contemporaneità. Bisogna essere dinamici e pronti al cambiamento. Fondamentale è anche avere una presenza forte in loco, un management locale in grado di interpretare in modo corretto e tempestivo le esigenze del mercato e di interfacciarsi attivamente e in modo puntuale con la casa madre italiana.
Come viene percepito il made in Italy dal consumatore asiatico? Qual è il modo più efficace per raccontarlo?
È sinonimo di qualità, di un prodotto realizzato ad arte e al massimo dell’eccellenza. La sfida è raccontare il made in Italy riuscendo a trasmettere sia i valori della tradizione artigiana, sia lo spirito più contemporaneo e innovativo del brand. Coniugare il “fatto a mano” e il know how tecnico alla proiezione verso il futuro.
Fino a qualche anno fa il mercato coreano era molto reattivo verso l’aspetto dell’artigianalità e della manifattura, tutto ciò che era tradizione affascinava. Oggi ci viene richiesto di andare oltre e aggiungere al valore artigiano, che rimane imprescindibile, l’appeal del design, la freschezza di stile, la dinamicità di un brand innovatore che interpreta con gusto unico i trend più contemporanei. L’immagine del brand deve trasmettere attualità e contemporaneità.