
Marica Branchesi, astrofisica presso il Gran Sasso Science Institute
La rivista “Nature” la considera una delle personalità scientifiche più importanti del 2017 e per il “Time” è una delle 100 persone più influenti al mondo nel 2018. Marica Branchesi è una astrofisica marchigiana, oggi ricercatrice alla Scuola universitaria superiore Gran Sasso Science Institute (Gssi) dell’Aquila dove vive con il compagno e due bambini piccoli. Si è laureata e ha conseguito il suo dottorato a Bologna studiando radioastronomia, buchi neri e ammassi di galassie, ha poi continuato le sue ricerche negli Stati Uniti, al California Institute of Technology e nel 2012 ha vinto un bando del Miur per giovani ricercatori che le ha permesso di tornare in Italia, all’Università di Urbino. Qui ha creato un suo gruppo di lavoro e svolge ricerche legate agli interferometri.
Per il suo contributo alla ricerca sulle onde gravitazionali, ha ricevuto importanti riconoscimenti internazionali. Ci spiega in cosa è consistito il suo lavoro negli ultimi due anni?

MARICA BRANCHESI
Ho lavorato con gli interferometri Ligo e Virgo, delle grandi antenne che grazie allo sviluppo di una tecnologia avanzatissima sono in grado di registrare le onde gravitazionali, cioè quelle increspature dello spa- zio-tempo prodotte dalla fusione di buchi neri o di stelle di neutroni. Ligo ha due rilevatori, uno a Hanford, nello Stato di Washington, uno a Livingston, nella Louisiana; l’antenna di Virgo si trova invece da noi, in Italia, a Càscina, vicino a Pisa.
Quando avviene qualcosa nel cielo, gli interferometri lo registrano e a me arriva un avviso. Io allora mi metto in contatto con gli operatori dei siti e con gli esperti di analisi dati dalle due parti dell’oceano. È importante inviare rapidamente un’allerta e una localizzazione in cielo per permettere ai telescopi tradizionali di osservare attraverso la luce la sorgente di onde gravitazionali.
Il 17 agosto è successo proprio questo: dopo pranzo gli interferometri hanno lanciato un’allerta sul telefonino e mi sono collegata immediata- mente. Le onde gravitazionali c’erano eccome: un segnale bellissimo, di cento secondi. Incrociando i dati di Virgo e Ligo siamo riusciti a inviare una localizzazione molto precisa.
Il telescopio cileno Swope è stato il primo a individuare l’oggetto, a 130 milioni di anni luce. Le osservazioni ci hanno fornito una quantità incre- dibile di dati, anche sulla formazione degli elementi pesanti come l’oro. Credo che il mio principale contributo sia consistito nel mettere in dialogo due comunità, quella degli astronomi e quella dei fisici che la- vorano attorno alle onde gravitazionali. La mia figura è stata un ponte e ha aiutato a creare un’atmosfera di reciproca comprensione, di dialogo. Questo ha permesso di trasformare il sospetto in fiducia e collaborazione.
Si è laureata in Italia ed è andata subito negli Stati Uniti, ma poi è tornata a lavorare nel Belpaese. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di fare ricerca in Italia?
In realtà sono stata solo sei mesi in America, mesi fondamentali anche per la mia vita personale, dal momento che lì ho incontrato il mio compagno, Jan Harms. Un finanziamento del Miur mi ha permesso di tornare in Italia e costruire il mio gruppo di ricerca nell’Università della mia città, Urbino. Successivamente sono approdata al Gran Sasso Science Institute, un centro di ricerca d’eccellenza, la massima aspirazione per chi oggi voglia dedicarsi a studi come i miei in Italia. Qui, grazie alla guida del nostro rettore Eugenio Coccia, si respira un’aria di internazionalità, oltre al fatto che sia per me che per il mio compagno c’è la possibilità di lavorare in un contesto d’eccellenza. L’Italia fornisce una formazione esemplare, ci sono alcuni poli straordinari. La mia storia mostra come quando ci siano dei finanziamenti adeguati si possano raggiungere risultati importanti. Certo, succede che ancora troppe menti siano costrette a trovare una stabilità lavorativa e le risorse per le loro ricerche all’estero. Non c’è dubbio che per la scienza, e per la cultura in genere, bisognerebbe fare di più, aumentare gli investimenti.
Le onde gravitazionali entrano nella sua vita di tutti i giorni: come è possibile conciliare il lavoro di astrofisica con quello di mamma di due bambini piccoli?
Premesso che la scoperta più bella degli ultimi anni è stata diventare mamma, non è sempre facile far quadrare il cerchio. C’è un vantaggio, però, nella mia professione: si può lavorare molto a casa. Mio figlio maggiore ha tre anni e sa che la mamma studia le stelle, dice che anche lui “lavora al Gssi”. Gli piace guardare il cielo. Certo, è difficile staccarsi dal lavoro di astrofisica e d’altronde si è mamma ventiquattr’ore su ventiquattro, ma per fortuna Jan è un compagno straordinario, ci sosteniamo e aiutiamo in tutto. E poi ci sono i nonni, senza il loro aiuto tutto sarebbe molto più difficile. Anche lo Stato dovrebbe fare di più la sua parte, con supporti economici, asili nei luoghi di lavoro e altre iniziative che favoriscano una parità sostanziale.
Durante la sua carriera ha mai pensato che il suo potesse essere considerato un lavoro maschile?
Ho avuto la fortuna di incontrare grandi esempi sulla mia strada: le relatrici di tesi di laurea e dottorato, Carla Fanti e Isabella Gioia, le direttrici di istituti di ricerca e altri modelli che mi hanno ispirato. Non ho mai pensato che fosse un mestiere per soli uomini. Però, guardandosi intorno, si nota immediatamente che la percentuale di donne nella fisica è bassa e che è diffuso lo stereotipo dello scienziato che dedica interamente la sua vita alla scienza isolandosi dal mondo. Nei gruppi di ricerca è sempre importante avere donne e uomini che lavorano insieme. Le grandi scoperte degli ultimi anni, che hanno aperto a una nuova esplorazione dell’Universo e dell’infinitamente piccolo, sono state scoperte globali a cui hanno contributo scienziate e scienziati di tutto il mondo e la diversità di genere, di luoghi di lavoro, di studi è stata la grande ricchezza che ha portato a raggiungere questi importanti risultati.