Si tratta di una trasformazione endogena, guidata in prima persona dalle imprese e dagli imprenditori in risposta alle sfide epocali poste dalla globalizzazione e alle drammatiche implicazioni della crisi che ha profondamente colpito il nostro sistema industriale a partire dalla fine del 2008.
È una trasformazione che ha avuto un periodo di incubazione lungo quasi un ventennio, da quando, cioè, sulla scia dei successi delle imprese giapponesi, anche in Italia si iniziò a conoscere il sistema di produzione Toyota e se ne provarono a importare le tecniche produttive e manageriali, più come una moda e spesso senza successo.
È una trasformazione che ha assunto ormai dimensioni e significati rilevanti e particolari, come testimoniano il fiorire di iniziative convegnistiche, la crescita di un florido settore consulenziale specializzato e il moltiplicarsi di occasioni formative in ambito universitario, dell’associazionismo imprenditoriale e della formazione professionale.
È una trasformazione che sta contribuendo a rimettere in moto la struttura industriale italiana, nel senso che è attraverso l’adozione dei principi e delle tecniche del Lean Thinking che una parte significativa (e probabilmente la migliore) delle imprese italiane ha iniziato a invertire il processo di declino che aveva caratterizzato la nostra industria negli ultimi due decenni (soprattutto in termini di produttività, ovviamente con le citatissime e lodevolissime eccezioni) iniziando la rincorsa per allinearsi ai livelli di competitività delle altre imprese, soprattutto europee, soprattutto tedesche.
È una trasformazione che si basa su un diverso modello produttivo, organizzativo e manageriale (l’eliminazione dello spreco e della variabilità non necessaria attraverso un processo incessante di risoluzione dei problemi) e che, come tale, è prima di tutto basata sulla conoscenza. Per questa sua caratteristica fondamentale essa è anche e soprattutto una trasformazione sociale e culturale che richiede profondi adattamenti nei modelli di comportamento e che determina resistenze e costi, all’interno delle imprese e presso gli attori che costituiscono il contesto in cui operano.
È una trasformazione che ha già generato, in parte, una serie di cambiamenti collaterali nel mondo confindustriale, sindacale, dell’educazione scolastica, universitaria e post-universitaria, contaminando anche mondi in teoria lontani come quello delle burocrazie pubbliche e in particolare della sanità. Tali cambiamenti sono ancora insufficienti e troppo lenti a supportare la trasformazione delle imprese.
È una trasformazione che, da sola e con le attuali dimensioni, non consente al nostro sistema industriale di riconquistare posizioni di leadership a livello internazionale. Molti altri problemi, strutturali e di contesto, devono essere risolti (e non possono essere risolti solo dalle imprese) per consentire alla trasformazione basata sul Lean Thinking di esprimere pienamente il proprio potenziale.
Rispetto all’enfasi prevalente del dibattito economico e politico su queste spiegazioni esogene del ritardo delle imprese italiane, e rispetto alle ricette prevalentemente macro sul come risolverlo, la trasformazione industriale basata sull’applicazione dei principi e delle tecniche del Lean Thinking si pone su un piano diverso e privilegiato, sul piano autonomo e operativo dell’iniziativa imprenditoriale e manageriale, sul piano micro.
Contrariamente a chi pensa che il Lean Thinking sia un insieme di tecniche produttive giapponesi adatte solo al settore automobilistico e utili per ridurre i costi l’esperienza delle imprese italiane impegnate in processi di Lean Transformation invece insegna che esso è una disciplina, un approccio sistematico, apprendibile e continuamente perfettibile, attraverso cui il management si mette nelle condizioni di affrontare e risolvere problemi sempre più complessi.
Il recupero di competitività potenzialmente associato all’adozione del Lean Thinking è enorme. Purtroppo, però, sono ancora poche le aziende italiane che hanno davvero applicato in modo complessivo i principi e le tecniche del Lean Thinking. Molti imprenditori e manager italiani, soprattutto nelle dimensioni di impresa medio-piccole, rimangono estranei o restii ad avvicinarsi al nuovo modello o perché non lo conoscono, o perché non lo ritengono necessario/applicabile per le loro realtà aziendali. Le sperimentazioni tentate sono ancora insufficienti: una stima grossolana suggerisce che solo l’1% delle imprese italiane associate a Confindustria ha provato ad adottare qualcuna delle tecniche del Lean Thinking.
Ma l’accelerazione dello sviluppo del Lean Movement italiano sarà inevitabile perché il quadro competitivo e di mercato per le imprese italiane continuerà a essere difficile e a porre problemi di sopravvivenza. E non esistono scorciatoie rispetto alla strada rigorosa del miglioramento continuo dei prodotti e dei processi. In estrema sintesi, i principi e le tecniche del Lean Thinking sono un insieme di regole organizzative per essere più razionali, più capaci di vedere i problemi e di risolverli, di percepire i rischi e di evitarli. Il Lean Thinking, per l’attuale generazione di imprenditori e manager, non è importante tanto come insieme di tecniche risolutrici (soluzione da applicare per ridurre i costi e rimanere competitivi), quanto invece come l’equivalente funzionale di quella “povertà naturale” vissuta nel secondo dopoguerra dai loro padri, di quella stessa chance per provare a costruire di nuovo un miracolo economico italiano.
MAGGIO 2014